Six Fantasies on Hymn Tunes, Op. 72 [1. Helmsley; 2. Aus der Tiefe (Heinlien); 3. Lumetto: Little canonic variations on ‘Jesus bids us shine’; 4. St Columba (Erin); 5. Veni Emmanuel; 6. Toccata on Hanover]; Martyrs: Dialogues on a Scottish Psalm-tune, Op. 73, for organ duet; Improvisation in Memoriam Maurice de Sausmarez; Missa de Gloria (Dublin Festival Mass), Op. 82 (1980) Kyrie – Gloria – Credo – Sanctus – Agnus Dei – Ite, Missa est. Stephen Farr, organ (with John Butt, organ). Registrazione presso la St Giles Cathedral, Edinburgh, 9-10 settembre 2013. Resonus, RES10134, 2014 Disponibile solo in download
Una delle più grandiose caratteristiche musicali della scrittura organistica del Novecento è la capacità di costruire legami tematici forti, anche tra materiali apparentemente irrelati, o addirittura disomogenei. Quando l’ambito esecutivo è quello dello spazio sacro, tale capacità si trasforma in slancio, in espressione di fede, in certezza dell’assoluto. Quando poi l’ambito compositivo è quello anglosassone, si percepiscono affinità di scuole e di generi, le cui originalità e novità conoscono adeguato apprezzamento soltanto da pochi anni. È sufficiente ascoltare la prima delle Six Fantasies on Hymn Tunes op. 72 di Kenneth Leighton per entrare in un clima artistico senza tempo, che rivisita tutto il Novecento storico in funzione dell’espressività religiosa e della funzionalità liturgica. Ottima, dunque, la scelta di inaugurare il primo di tre cd destinati a comprendere tutta la produzione organistica di Leighton con la raccolta delle Six Fantasies del 1975; anche perché l’indicazione stilistica apposta dal compositore alla fantasia incipitaria (il tema Helmsley, per un inno dell’Avvento), «Exultant and fast», costituisce eloquente viatico all’intero ascolto.
Kenneth Leighton (1929-1988) iniziò la propria formazione musicale come corista della cattedrale di Wakefield, la cittadina dello Yorkshire in cui era nato, ma completò gli studi a Oxford, dove conobbe Gerald Finzi e Ralf Vaughan-Williams, e a Roma, dove ebbe come maestro Goffredo Petrassi. Edimburgo, la sua cattedrale e la sua università divennero poi le sedi di un’operosa e quieta esistenza, tutta devota alla composizione corale, strumentale, organistica, perché Leighton era musicista completo, virtuoso del pianoforte, concertista e anche direttore d’orchestra.
Il primo volume della sistematica raccolta propone opere risalenti a periodi diversi della biografia di Leighton, sistemate non in ordine cronologico, ma stilistico, a partire dalla poliedricità delle fantasie fino ad approdare al genere sacro per eccellenza, la messa e l’intonazione delle sue parti canoniche. Numerose pagine sono davvero rimarchevoli: la Toccata on Hanover è, per esempio, ancora una rielaborazione del corale luterano, ma con le sue drammatiche progressioni conclude in chiave assai moderna le Six Fantasies, ben lontano dall’atmosfera di liturgico raccoglimento dei brani centrali (in particolare Aus der Tiefe e Veni Emmanuel). Certamente il brano più drammatico è Martyrs, duetto per organo basato su una salmodia irlandese, opera imponente e spettacolare, non soltanto per l’accostamento di registri molto diversi, e di piani sonori lontani, ma anche per la ricerca armonica particolarmente solenne (un elemento che per esempio manca nelle Fantasies) e per la costruzione tutta rivolta alla climax conclusiva.
A permettere l’ascolto di tutte le pagine è un unico esecutore: Stephen Farr, che domina alla perfezione le partiture di Leighton, in quanto specialista della musica d’organo del Novecento e contemporanea, tanto che più compositori (come Patrick Gowers, Francis Pott, Robert Saxton) gli hanno affidato la première delle loro opere. In più, lo strumento utilizzato è proprio il monumentale organo Rieger della cattedrale di Edimburgo, sul quale Leighton studiava e grazie al quale ha pensato molte delle sue realizzazioni. L’approccio di Farr a Leighton è essenzialmente “teatrale”, poiché l’organista tende a esaltare gli estremi opposti dello stile compositivo, quell’alternanza di raccolto misticismo, di gusto narrativo misterioso e arcaizzante, di solennità liturgica e monumentale. Specchio perfetto di tale accostamento è il brano più antico contenuto nella raccolta, vale a dire la Improvisation in Memoriam Maurice de Sausmarez del 1969: Leighton stesso ebbe a definirla espressione di un conflitto simbolico tra contrappunto lirico e un tema ostinato soggetto a variazioni (come si legge nelle accurate note introduttive di Adam Binks). Si può dire che l’ambivalenza della scrittura diventi per Farr un’ambivalenza di stile esecutivo, grazie alla quale ogni brano risulta particolarmente vitale, mobile, continuamente sottoposto al cambiamento di piani, di colori, di affetti, oltre che – ovviamente – di volumetrie sonore. Lionel Maurice de Sausmarez (1915-1969) era stato professore di Fine Art all’Università di Leeds; Leighton lo aveva conosciuto negli anni Cinquanta in occasione di una fellowship presso lo stesso ateneo. Nel 1964 de Sausmarez gli aveva commissionato un’opera in memoria della madre, le Seven Variations for String Quartet; il fatto ricorda una particolarità della scrittura organistica di Leighton, quasi interamente realizzata su commissione, come l’opus magnum della Missa de Gloria op. 82 che conclude la raccolta: lavoro tardo, scritto tra l’autunno del 1979 e la primavera dell’anno successivo, in occasione del primo Dublin International Organ Festival (da cui il sottotitolo di Dublin Festival Mass), divenne nelle intenzioni dell’autore il suo pezzo d’organo più importante e composito (ha una durata di circa 35 minuti). Dall’articolazione spicca appunto il Gloria, il più articolato dei sei segmenti che plasmano la composizione, ancora connotato dall’inquieto plurilinguismo di cui si diceva, oltre che da una ricerca sperimentale di incantate progressioni ascendenti. Al mistero inspiegabile e a un suo linguaggio enigmatico e concentrico ricorre invece il Credo, tutto teso a raccontare la storia di Cristo, più che a confessare incrollabili verità di fede. Spalanca la cattedrale, eleva ogni architettura, squarcia il cielo l’Ite, Missa Est finale, la pienezza del cui accordo conclusivo è paragonabile alla chiusa di una sinfonia mahleriana.
La registrazione è molto buona, anche se risulta sempre difficile rendere in modo adeguato attraverso il disco le gigantesche sonorità dell’organo dall’interno di una cattedrale, con la multiformità dei suoi registri e dei suoi volumi. Non c’è strumento, anzi, che più dell’organo soffra a essere “imprigionato” nel supporto digitale, il quale inevitabilmente rimpicciolisce un po’ tutto, e lo riconduce alla spazialità domestica della fruizione iterata. Ma il prodotto della Resonus è tecnicamente all’altezza della qualità esecutiva: ed è davvero prima parte di un trittico importante, di cui si attende con grande interesse il completamento.