München, Bayerische Staatsoper, Münchner Opernfestspiele 2014
Tenore Jonas Kaufmann
Pianoforte Helmut Deutsch
Robert Schumann: Aus den Kerner-Liedern, Op. 35 (Lust der Sturmnacht; Erstes Grün; Wanderung: Frage; Stille Tränen) Dichterliebe, Op. 48
Richard Wagner: Wesendonck-Lieder
Detlev Glanert: Schatten schlafen
Franz Liszt: Petrarca-Sonette
Monaco, 15 luglio 2014
Dei molti volti che compongono la personalità artistica di Jonas Kaufmann due in particolare si impongono con immediata chiarezza. Il primo richiama subito alla mente l’immagine tradizionale del tenore lirico di spinta, che trova negli acuti il mezzo privilegiato per esprimere sentimenti e dirompente passionalità, con un modus operandi generalmente associato ad un modello di ascendenza mediterranea. Il secondo sembra puntare sull’utilizzo di meccanismi più delicatamente sfumati, curando con attenzione il singolo dettaglio e lavorando intimamente sul rapporto fra musica e parola, alla ricerca di una naturalezza interpretativa che va a rivelare in modo diretto la matrice tedesca del cantante. L’esibizione del 15 luglio presso il Nationaltheater di Monaco – incentrata sul repertorio liederistico del XIX secolo, con una breve incursione nel contemporaneo – si è tenuta in precario equilibrio fra i due poli, conferendo inevitabile risalto al secondo, ma con una selezione che in diversi momenti ha rivelato stili vocali appartenenti alla prima sfera. L’occasione appariva poi particolarmente significativa, non soltanto perché ci trovavamo nella città natale del cantante, ma anche per la ricorrenza dei 50 anni dalla riapertura del nuovo teatro (inaugurato il 22 novembre 1963 conDie Meistersinger von Nürnberg), motivo in più per presentare un cartellone ricchissimo di eventi, sia operistici che concertistici. Nel celebrare questo importante anniversario il recital si è dunque inserito nel ‘Festspiele-Liederabend’ di cui costituiva il secondo appuntamento, affiancando il nome di Kaufmann a quello di interpreti più o meno specializzati nel genere (Anja Harteros, Marlis Petersen, Michael Volle, Thomas Hampson, René Pape) impegnati quasi esclusivamente nell’esecuzione di opere di compositori tedeschi (da Johannes Brahms a Wolfgang Rihm).
Pur non potendo considerarsi un puro interprete di Lieder, il cantante monacense sembra offrire il meglio di sé in questo repertorio e nella sua forma più convenzionale, qui identificabile con la produzione di Schumann. Ma ancor più che nelle composizioni su testo di Kerner, è in Dictherliebe che si sono raggiunti i risultati più luminosi, dimostrando l’abilità di Kaufmann nel saper sfruttare le proprie doti in chiave espressiva. Con il supporto del fedelissimo Helmut Deutsch, le immagini di Heine hanno preso vita grazie ad un prontuario di accorgimenti canori che andavano dal sapiente utilizzo delle mezze voci ad un atteggiamento di apparente distacco, di rado indulgente a patetismi, ma spesso contraddetto da uno stile colloquiale e di aperta disponibilità nei confronti dello spettatore. L’instaurarsi di un’atmosfera di condivisione fra artista e pubblico si è distintamente avvertita a partire dal secondo brano (Aus meine Tränen sprießen), ponendo le basi per un percorso di intensificazione emotiva che ha raggiunto il proprio culmine nella parte centrale del ciclo. È però nel sesto Lied (Im Rhein, im heiligen Strome) che il temperamento di Kaufmann si fa strada in modo inconfondibile, per consolidarsi con forza nel brano successivo, venandosi di passione e impeto. Si tratta però di concessioni rare, poiché l’interpretazione è quasi sempre improntata a severità e moderazione, pur presentando sfumature inattese che interessano le parole-chiave del testo poetico (ad esempio in corrispondenza del verso “Dort löst sich auf in Tränen”, o ancora per lo splendido incipit di Am leuchtenden Sommermorgen). Attraverso il sottile gioco di contrasti si giunge al conclusivo Die alten, bösen Lieder, che per contenuto e ampiezza di respiro va considerato un compendio dei precedenti brani, ma dai quali si distanzia per la maggiore libertà di struttura. La strofa finale lascerebbe il discorso come sospeso se non fosse per il lungo postludio del pianoforte che ricompone le tensioni del protagonista, confermando la bravura di Deutsch nel tessere un accompagnamento discreto e coerente, con tratti di metafisica bellezza (evidenti nel decimo brano, Hör’ ich das Liedchen klingen).
L’importanza del rapporto paritetico tra strumento e voce, soltanto accennata in Schumann, diventa sostanziale nei Wesendonck-Lieder, con i quali si è aperta la seconda parte del concerto. In confronto all’elegante equilibrio raggiunto in Dichterliebe, la linea vocale si carica qui di progressive difficoltà che costringono Kaufmann a muoversi con esiti più discontinui, riproponendo alcune durezze già avvertita nei Kerner-Lieder, soprattutto in Frage. Se infatti nel registro medio il tenore raggiunge effetti di grande efficacia – esibendo quel colore baritonale che determina in gran parte il fascino del suo timbro vocale –, non appena si trova a salire all’acuto nell’ambito di dinamiche sommesse avvertiamo in più di un’occasione qualche sbavatura, come avviene nel Lied di apertura Der Engel. Fortunatamente nei brani che seguono i risultati rientrano subito nei confini di una cifra espressiva più personale e convincente, associati ad una linea di canto essenzialmente sofferta e ricca di complessità (caratteristiche che si avvertono nei due ‘studi’ su Tristan und Isolde, Im Treibhaus e Träume). La componente più mediterranea del canto di Kaufmann emerge, infine, nei Petrarca-Sonette che si distinguono per un melodizzare più disteso, ma con maggiori rischi di perdita di controllo del suono. Il tenore ne viene fuori alternando punti di forza – messe di voce ed espressività vigorosa – ad aspetti meno persuasivi, con effetti che nel complesso si pongono ad un livello inferiore rispetto al miglior esito della prima parte. A separare Wagner da Liszt si è presentato in prima esecuzione Schatten schlafen del compositore amburghese Detlev Glanert (classe 1960), le cui caratteristiche sembravano tagliate su misura per la voce di Kaufmann, ma che nel complesso è scorso via senza particolari attrattive. A Glanert, presente in sala, il pubblico ha espresso il suo vivo apprezzamento, mettendo in ombra per un attimo il protagonista assoluto della serata. Quest’ultimo alla fine emerge per quel che è: un cantante di accattivante carisma, dotato di un timbro assolutamente personale, sicuramente non privo di imperfezioni, ma che sa riscattarle attraverso simpatia e sensibilità interpretativa. E che di certo non si può accusare di poca generosità, considerando i quattro encores offerti al pubblico, tre dei quali tratti da operette di Lehár e Benatzky, che hanno coronato con spirito brillante la piacevole serata.