Ballet Preljocaj, “Empty moves (parts I, II & III)

Teatro Comunale Bolzano, Bolzano danza 2014
Empty moves (parts I, II & III)
Ballet Preljocaj
Coreografia Angelin Preljocaj
Creazione sonora John Cage (Empty words)
Interpreti Nuriya Nagimova, Yurié Tsugawa, Fabrizio Clemente, Baptiste Coissieu
Assistente direzione artistica Youri Van den Bosch
Coreologo Dany Lévêque
Coproduzione Festival Montpellier Danse 2014, Théâtre de la Ville-Paris
Bolzano, 21 luglio 2014, Part III, Prima Nazionale

Empty moves è un atto unico, formato da tre parti che si ripetono con qualche variante e si riconoscono per l’identico inizio. Dura più di un’ora e mezza ed è privo di intervallo. Non dà tregua agli occhi, né alla orecchie: vista e udito sempre impegnati a cogliere l’armonia dei movimenti, in contrasto con la disarmonia delle voci fuori campo. Empty moves è vera maestria, quella che sa dimostrare chi per esperienza è capace di estrarre dal movimento coreografico non un senso ma un segno, che in sostanza vuol dire fare del puro astrattismo. Non è il Preljocaj contemplativo, che racconta per suggestioni e citazioni (“Le nuits”, ParmaDanza, Teatro Regio, maggio 2013), ma quello assertivo, che non commenta per difetto di sensualità e ammiccamento. Si scorge comunque il piacere del contatto ludico tra i corpi, del ripetersi speculare di ogni movimento, corsa e gesto.
Empty moves vuole riprendere con gli atti della danza quello che la voce fa con le parole: quel gorgoglio senza senso emesso per due ore e mezza da John Cage al Teatro Lirico di Milano nell’inverno del ’77.
Empty moves, come “Empty words” è provocazione. Oggi “le moves”, come trent’anni fa “le words”, si rifiutano di significare, rimangono senza consistenza materica. A differenza delle parole, le movenze, gli atti composti in quadri, tradiscono qualche emozione che inevitabilmente scaturisce dal contatto tra i corpi che inesorabilmente si toccano: quella bella energia che si accumula e poi si libera. Quindi il pubblico presente in sala oggi reagisce con qualche risatina dovuta agli sfottò di quello registrato al Lirico che inveiva contro Cage. Quindi altri a grappoli si alzano e fuggono dalle uscite laterali, incapaci di resistere alla provocazione che chiede loro di stare al gioco, di fare quel che fa un astante, far parte della rappresentazione. Forse già diverso è il clima a teatro; allora gremito di studenti militanti nei gruppi filo socialisti e comunisti, in lotta continua, espressione della disobbedienza civile, oggi cara alla cittadinanza attiva che trova altro luogo ideale per manifestarsi: i socialnetwork.
Empty moves è polisemico com’è policromatico. I colori degli indumenti dei quattro ballerini ha un suo senso, l’essere ben distinti e accostati quanto invece è dissociato il segno che vi è impresso: dalla scritta “non sense” (in francese) del “salvare il tonno mangiato da uno squalo” all’icona Bruce Lee; dalla paperina sulle mutandine alla canotta con la scritta-logo degli ABBA.
Quel che riesce sempre magistralmente a fare Preljocaj è quel richiamare quelle forme artistiche che sembra lo ispirino senza soluzione di continuità. Insomma le “composizioni corporee” che vengono, come dire, edificate davanti ai nostri occhi, richiamano, per accostamento cromatico, le sculture cinetiche di Alexander Calder (penso sempre a quella appesa in una stanza del Guggenheim di Venezia) e alle macchine di John Tinguely (quelle personalmente azionate nell’omonimo museo di Basilea), perché viste, come quelle, come sculture stabili-mobili: il braccio che alza la gamba che gira la testa che solleva il corpo che si inclina e spinge e di nuovo dà avvio alla “macchina” successiva. Sembrano addirittura nodi marinareschi, dei giochi con gli elastici; quelli che si facevano in colonia, tanti e tanti anni fa. Foto JC Carbonne