Milano, Teatro alla Scala – Stagione d’opera e balletto 2013-2014
“SERATA PETIT”
Coreografia Roland Petit
Supervisione coreografica Luigi Bonino
Luci Jean Michel Désiré
“LE JEUNE HOMME ET LA MORT”
Balletto su libretto di Jean Cocteau
Musica Johann Sebastian Bach
Organo Lorenzo Bonoldi
Scene Georges Wakhevitch
Costumi Karinska
Le Jeune homme IVAN VASILIEV
La Mort NICOLETTA MANNI
“PINK FLOYD BALLET”
Musiche Pink Floyd
Money IL CORPO DI BALLO
Obscured by Clouds CLAUDIO COVIELLO
One of these days IL CORPO DI BALLO
Careful with that Axe, Eugene ALESSANDRA VASSALLO, VIRNA TOPPI, LUANA SAULLO, CARLO DI LANNO, MICK ZENI, ALESSANDRO GRILLO
When you’re in ANTONINO SUTERA, CLAUDIO COVIELLO
Obscured by Clouds IL CORPO DI BALLO
The Great Gig in the Sky EMANUELA MONTANARI, MICK ZENI
Echoes VIRNA TOPPI, MARCO AGOSTINO, ALESSANDRO GRILLO, MASSIMO GARON, MARCO AGOSTINO, VITTORIA VALERIO, ANTONINO SUTERA, CLAUDIO COVIELLO, MICK ZENI, IL CORPO DI BALLO
One of these days IL CORPO DI BALLO
Produzioni Teatro alla Scala
Milano, 1 giugno 2014
La Serata Petit alla Scala si è rivelata un’ottima proposta. Roland Petit (1924-2011) è universalmente conosciuto come grandissimo coreografo e instancabile rivoluzionario della danza: il numero delle sue straordinarie realizzazioni parla da solo, perché ci sono pochi coreografi suoi contemporanei che hanno sperimentato così tanto nei diversi ambiti della danza. I generi non sono uguali e neppure simili tra loro; hanno le proprie regole il musical, il jazz, la danza contemporanea, il balletto classico: sempre di danza si tratta, ma il linguaggio varia (il pubblico anche), e avere la capacità di riuscire in tutti i generi appena citati significa avere un talento e una capacità di comunicazione soprannaturali.
Le Jeune homme et la mort è una coreografia che Petit ha realizzato all’età di soli ventidue anni, prova che il maestro era destinato a diventare una stella; è vero che ha creato soltanto i passi di danza, perché la storia si deve a Jean Cocteau e la musica d’organo è di Bach (entrambi hanno fornito una sorta di ispirazione necessaria), ma la tipologia di scelte finali è toccata al solo Petit, ed è bello pensare che quest’opera sia nata in un ambiente parigino di cameratismo e scambio fra grandi artisti in grado di completarsi a vicenda.
Persino la scenografia contribuisce attivamente alla danza, parla anch’essa, perché quando si apre il sipario lo spettatore ritrova il Jeune homme, Ivan Vasiliev, nella sua stanza, adagiato sul letto di schiena e intento a fumare. Nell’importante momento di apertura la scenografia invita a guardare questo giovane, ma a guardarlo direttamente al suo interno e nel suo interno, in una scena che sin da subito è molto intima. Inizia poi la danza, e Vasiliev – con un brillio negli occhi – prende a parlare al pubblico (ma non direttamente); è inquieto, le prime mosse sono piccole contrazioni, ma della danza moderna, non già di quella classica; per essere esatti un tre, due con allungamenti, e l’ultimo con un release (vale a dire: energia accumulata, forte tensione, e poi energia rilasciata). Dopo si susseguono salti, giri che cambiano costantemente; Vasiliev non è quasi mai di fronte al pubblico, né lo guarda, segno che il dialogo corporeo è soltanto con se stesso, ed esprime bene come il personaggio non sia in pace, anzi dimostri convulsione, disperazione, dubbi. La coreografia è interamente costruita su una danza molto libera, com’è nello stile e nella scuola di Petit, che include elementi classici, neoclassici, contemporanei, acrobatici. La Mort, Nicoletta Manni, entra in scena insolente, con un abito giallo che è subito un pugno nello stomaco. Le prime sue mosse sono amplissimi grand pliés, che rimarcano il dialogo negativo e intransigente tra la morte e il giovane uomo: in quella conversazione c’erano il paradiso e l’inferno, l’amore e l’indifferenza, la speranza e il dolore. Vasiliev è un grandissimo interprete, un’étoile di lusso, superlativo nella tecnica come nell’interpretazione del pezzo; lo conclude, più che con la gestualità, con lo sguardo vuoto, perso, davvero morto. Anche la Manni è perfetta per il personaggio: si mostra subito fredda, con numerosi développés altissimi e controllatissimi sospinge in continuazione l’uomo, lo lascia cadere e soffrire per terra, ne gode. Se l’argomento non perde di attualità, la musica di Bach, con la sua maestosa cupezza, è di perfetto accompagnamento: l’organo risuona nella squallida soffitta del Jeune homme a metà tra l’angelico e il diabolico, e i rintocchi di campana nel cuore del brano annunciano la tragedia prossima a manifestarsi.
Il Pink Floyd Ballet è un’autentica ode alla danza, ricolma di disegni coreografici e di vita, sofisticata, animata da luci minimaliste e bellissime, da prese molto moderne. Mentre nell’opera prima di Petit gli spettatori hanno dovuto aprire la loro anima, e soffrire con il personaggio protagonista, ora godono i sensi, vista, udito, tatto, perché davvero tutto è palpabile, a partire dall’energia e dalla gioia sul palcoscenico. Il momento più bello è corale, nell’attimo in cui un branco di corpi è sul punto di esplodere, tutto vibrante, forte di un magnetismo tra musica-danza-corpo-energia-vita; e i ballerini della Scala sono tutti brillanti e disinvolti, sia il corpo di ballo sia il nutrito gruppo di solisti. Foto Brescia/Amisano © Teatro alla Scala