“Il Dialogo del Nabucco” su libretto di Vincenzo Giattini. Fernando Guimarães (Nabucco), Alessandro Meerapfel (Daniele), Fabián Schofrin (Arioco), Caroline Weynants (Anania), Mariana Flores (Azaria, Idolatria), Magdalena Padilla Osvaldes (Misaele), Matteo Bellotto (Eufrate), Capucine Keller (Superbia), Keyvan Chemirami (percussioni), Kasif Demiröz (ney). Cappella Mediterranea e Chœur de chambre de Namur, Leonardo García Alarcón (direttore). T.Time:78.18 Registrazione: Festival Ambronay, 10-13 settembre 2012. 1 CD Ambronay – Harmonia Mundi AMY036
Il nome di Michelangelo Falvetti probabilmente risulterà sconosciuto anche ai più attenti appassionati di musica sacra e la cosa non sorprende se si considera che più di trecento anni di totale oblio sono scesi sul compositore calabrese di nascita ma siciliano per formazione e scelta di vita (nato a Melicuccà nel 1642 e scomparso verosimilmente a Messina attorno al 1692). Scarse sono le fonti sulla sua vita e attività, è attestato dal 1670 come Maestro di cappella a Palermo dove è probabilmente fra i fondatori dell’”Unione dei musici” che univa le funzioni di un’associazione di artisti – secondo un modello ben noto nell’Italia barocca – con quelle di un ente assistenziale e caritativo. Negli anni palermitani compone alcuni oratori – oggi purtroppo integralmente perduti – che ottennero notevole successo: “Abel” (1676), “La spada di Gedeone” (1678), “Giuditta” (1680).
Nel 1682 si trasferisce a Messina, per la cerimonia di insediamento compone l’oratorio “Il diluvio universale” definito dialogo a cinque voci su libretto del palermitano Vincenzo Giattini; l’opera ottiene un trionfale successo anche perché la vicenda biblica venne vista come metafora della brutale repressione subita dalla città ad opere delle truppe spagnole fra il 1674 e il 1678. Sempre a Messina nel 1683 viene rappresentato “Il dialogo del Nabucco” sempre su libretto di Giattini che parrebbe confermare il successo del lavoro precedente. Questi due oratori sono allo stato attuale delle conoscenze le uniche opere di Falvetti di cui sia sopravvissuta l’autografo presso la Biblioteca Universitaria di Messina. Dopo un lungo periodo di silenzio documentario – ma vanno considerate anche le travagliate vicende vissute dalla città siciliana fra il XVIII e gli inizi del XIX secolo in cui non è inverosimile che una parte anche cospicua di documenti possa essere andata perduta – il compositore ricompare nel1692 quando presso la chiesa della S.S. Annunziata viene rappresentato l’oratorio “Il sole fermato da Giosué”. Imprecisa la data della morte: alcuni documenti del 1695 sembrerebbero indicarlo ancora in vita a quella data.
La riscoperta di Falvetti la si deve principalmente al direttore argentino Leonardo García Alarcón fondatore del complesso “Cappella Mediterranea” specializzato nell’esecuzione di titoli del repertorio barocco spesso di rarissima esecuzione e direttore del Chœur de Chambre de Namur. Alla guida di questi complessi in occasione dell’edizione 2010 del Festival di Ambronay aveva proposta la prima ripresa moderna del “Diluvio universale” ed in occasione di quella del 2012 il “Nabucco” di cui viene ora commercializzata la registrazione ad opera dello stesso festival transalpino.
Il libretto caratterizzato da una struttura drammaturgica quanto mai efficace e ricca di contrasti sul piano emotivo e stilistico si rifà sostanzialmente all’episodio dei tre giovani ebrei condannati ad essere arsi vivi in una fornace ardente per essersi rifiutati di venerare un’effige di Nabucco e miracolosamente salvati dall’intervento divino, episodio presente ai versetti III 52-90 del libro di Daniele nella sua codificazione ellenistica. L’esile trama principale viene arricchita e variata dall’introduzione di figure ausiliare, personificazioni di luoghi (l’Eufrate) o di concetti astratti (l’Idolatria, la Superbia) tanto care al gusto barocco e che richiamano le analoghe figure simboliche del teatro monteverdiano reinterpretate in chiave cristiana.
Il manoscritto conservato è lungi dall’essere completo e – come spesso succede in lavori del XVIII secolo – in esso viene indicata soltanto la linea melodica mentre mancano le indicazioni di orchestrazione in quanto la strumentazione poteva varia anche sensibilmente nelle varie esecuzioni in base alle disponibilità effettive del momento. Partendo da questo principio García Alarcón imposta un lavoro estremamente personale, forse filologicamente discutibile ma non privo di suggestione sonora. La scelta è quella di evidenziare al massimo l’ambientazione orientale della vicenda – per altro alcune suggestioni di carattere orientale sono ben presenti nella scrittura di Falvetti – e allo stesso tempo richiamandosi ai legami che uniscono la Sicilia al mondo mediterraneo e levantino optando per scelte strumentali insolite in cui i tradizionali strumenti in uso nell’Italia del tempo sono affiancati ad altri di tradizione orientale, prevalentemente iranica e turco-armena filologicamente impropri ma capaci di creare suggestivi effetti sonori.
Altra scelta del direttore è quella di inserire un vero coro che rafforza gli interventi che in origine pensati come momenti di insieme fra i solisti. La compagnia è composta da cantanti che lavorano regolarmente con García Alarcón e provenienti in gran parte dall’area ispanica i quali hanno una naturalezza con la prosodia italiana sicuramente maggiore rispetto a cantanti provenienti dal mondo anglosassone o dall’Europa settentrionale ed anche l’emissione è più vicina a quella di scuola italiana con voci più morbide e prive della fissità di tanti interpreti di estrazione nordica. Seppur priva di personalità emergenti la compagnia di canto è nell’insieme molto solida e fornisce una prestazione sufficientemente convincente per far apprezzare i non pochi meriti della partitura. Il tenore Fernando Guimarães è un ottimo protagonista dalla voce squillante e dalla dizione scandita che rende con convinzione la natura ad un tempo proterva e fragile del re babilonese, personaggio trattato da Falvetti e Giattini con sorprendente modernità. Naturale contraltare del re è il profeta Daniele affidato al basso Alessandro Meerapfel, voce ampia e ben timbrata da autentico basso profondo trova accenti di grande autorità nei confronti con il re in una dinamica di contrapposizioni musicali e psicologiche di grande maestria compositiva e drammaturgica. Bella voce e autorevole accento presenta anche l’altra voce di basso quella di Matteo Bellotto nei panni della personificazione del fiume Eufrate cui è affidata la suggestiva scena iniziale del prologo. Le parti dei tre fanciulli ebrei sono affidate per l’occasione a voci femminili, per l’esattezza a quelle di Caroline Weynants (Anania), Mariana Flores (Azaria cui è affidata anche la personificazione della Superbia) e Magdalena Padilla Osvaldes (Misaele). Mostrano tutte voci agili funzionali alla partitura mettendo in evidenza anche le diverse caratterizzazioni dei tre fanciulli più brillante e virtuosistica quella di Anania, più patetica quella di Misaele. La Flores fornisce in oltre il proprio contributo alla riuscita del bel terzetto del prologo, insieme a Bellotto e a Capucine Keller (Superbia), pagina di grande brillantezza sonora. Meno convincente invece il controtenore Fabián Schofrin come Arioco, voce spesso ingolata e poco piacevole come timbro e dall’emissione faticosa che compromette anche la corretta declamazione dei versi italiani. L’oratorio è relativamente breve – la durata è compresa in un singolo CD – e la buona qualità dell’esecuzione ne rendono particolarmente consigliato l’ascolto non solo per i più fervidi cultori della musica antica.
“Il giudizio universale”. Dialogo in musica su libretto di Vincenzo Giattini. Magali Arnault (Acqua), Mariana Flores (Rad), Caroline Weynants (Natura humana), Evelyn Ramirez Munoz (Giustizia divina), Fabián Schofrin (Morte), Fernando Guimarães (Noe), Thibaut Lenaerts (Foco), Matteo Bellotto (Dio), Benoît Giaux (Terra), Cappella Mediterranea e Chœur de chambre de Namur, Leonardo García Alarcón (direttore). T.Time:64′.35″ Registrazione: Festival Ambronay 06-10 settembre 2010. 1 CD Ambronay – Harmonia Mundi AMY026
Eseguita due anni prima della sopra descritta produzione di “Nabucco” questa esecuzione de “Il diluvio universale” vede protagonisti gli stessi complessi e ancora nell’ambito del festival di Ambronay si caratterizza per un’analoga impostazione. La composizione è di altissimo livello, per certi aspetti ancor più originale e coinvolgente del “Nabucco”specie per la straordinaria capacità di rendere musicalmente gli effetti relativi al mondo naturale e alla sua devastante potenza. I complessi orchestrali e la direzione confermano pienamente il giudizio più che positivo avanzato per la successiva incisione e anche la scelta di arricchire l’orchestra propriamente barocca con strumenti di tradizione orientale e popolare se filologicamente può suscitare qualche dubbio è innegabile che contribuisca a rendere di assoluta forza vitale e comunicativa le musiche di Falvetti. Straordinario al riguardo l’effetto teatrale e drammatico della costruzione sinfonico corale che apre la cosiddetta “Sinfonia di tempeste” brano in cui il non comune virtuosismo tecnico – in vero notevole per l’epoca di composizione – si unisce ad un raro intuito drammatico che la direzione di García Alarcón esalta con straordinaria efficacia anche a scapito forse di un po’ di rigore filologico o – sull’opposto versante espressivo – l‘autentica luminosità che promana da una pagina come “Ecco l’iride paciera” con cui si inneggia all’arcobaleno che segna la fine del Diluvio.
La compagnia di canto è in gran parte analoga a quella dell’oratorio sopra analizzato ma l’impegno delle varie parti è differente e in alcuni casi merita un giudizio più particolareggiato. Il tenore Fernando Guimarães è un ottimo protagonista, la parte di Noè non presenta particolari difficoltà sul piano vocale ma molto richiede all’interprete con il suo continuo gioco di sentimenti contrastanti, spesso resi con lievissimi tocchi, e il cantante riesce molto bene ad evidenziare questa ricca componente espressiva. Nello straordinario duetto con la moglie Rad “Dolce sposo” – pagina di alta tensione espressiva e pervasa da una rimarchevole sincerità di affetti – è affiancato dall’ottima Mariana Flores, soprano dalla voce morbida e pastosa perfetta per il ruolo di sposa devota e affezionata. Molto più impegnato rispetto a quanto ascoltato nel “Nabucco” il basso Matteo Bellotto affronta qui l’impegnativa parte di Dio in cui mette in mostra notevoli doti virtuosistiche necessarie per superare una pagina come “Empi mortali” in cui già appaiono tutti gli elementi che saranno propri delle arie di tempesta dell’opera barocca matura mentre nel duetto con Noè – non privo di echi monteverdiani, alcuni passaggi ricordano il duetto fra Seneca e Nerone de “L’incoronazione di Poppea” – sono sollecitate soprattutto le doti espressive e declamatorie. Fra i soprani si segnala la voce e agile e luminosa di Magali Arnault (L’Acqua) mentre Caroline Weymans (Natura humana) pur efficace nel complesso presenta qualche durezza. Molto positiva anche la prova di Evelyn Ramirez Munoz che nel lungo monologo della Giustizia divina durante la prima sezione dell’oratorio mostra di avere una voce di autentico contralto, di grande morbidezza e con centri rotondi e sonori.
Sul piano vocale lascia maggiori perplessità la prova di Fabián Schofrin la cui voce è più quella di un tenore falsetteggiante che di un controtenore contralto in compenso riesce però ad interpretare con intelligenza il ruolo della Morte che è una delle creazioni più originali create da Giattini e Falvetti. L’aria “Ho pur vinto” con cui festeggia quella che crede essere l’eliminazione totale della vita sulla terra è brano di assoluta originalità, si rinuncia infatti ad ogni connotazione macabra o drammatica del momento svolgendole invece in forme briose di pretta matrice popolare con il canto della Morte che si dipana su uno scatenato ritmo di tarantella. Interessante al riguardo quanto detto dallo stesso García Alarcón intervistato dopo la rappresentazione che evoca come riferimento ideale il tema della danza macabra di tradizione medioevale che Falvetti avrebbe facilmente potuto conoscere essendo presente nella cultura figurativa dell’area palermitana. Completano il cast il tenore Thibaut Lenaerts(Foco) e il basso Benoît Giaux(Terra) privi di brani solistici ma il cui buon livello è essenziale per la piena riuscita del quartetto degli elementi che accompagna la Giustizia divina.