Verona, Arena Opera Festival 2014
“AIDA”
Opera in quattro atti su libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
Il re d’Egitto SERGEJ ARTAMONOV
Amneris, sua figlia VIOLETA URMANA
Aida, schiava etiope HUI HE
Radamès, capitano delle guardie FABIO SARTORI
Ramfis, capo dei sacerdoti RAYMOND ACETO
Amonasro, re d’Etiopia, padre di Aida GENNADII VASHCENKO
Un messaggero ANTONELLO CERON
Una Sacerdotessa MARIA LETIZIA GROSSELLI
Orchestra, Coro e Corpo di ballo dell’Arena di Verona
Direttore Julian Kovatchev
Maestro del Coro Armando Tasso
Regia Carlus Padrissa e Àlex Ollé / La Fura dels Baus
Scene Roland Olbeter
Costumi Chu Uroz
Luci Paolo Mazzon
Coreografa Valentina Carrasco
Verona, 28 giugno 2014
Tutto esaurito per la Prima di Aidaall’Arena di Verona. Anche quest’anno la regia di buona parte delle rappresentazioni è affidata al team catalano La Fura dels Baus, già nel 2013 oggetto della venerazione mista a riprovazione che accompagna d’ufficio molte regie, per così dire, “avveniristiche”. Le migliori penne si sono già espresse in merito all’interpretazione di questo complesso sistema scenografico. Durante lo spettacolo capita spesso di chiedersi in che percentuale le idee della Fura siano state effettivamente realizzate e quale sia invece la portata degli spunti rimasti incompleti per le negligenze e i costi di un teatro dai meccanismi tanto complessi. Eppure ricordo che una delle più frequenti accuse mosse ai registi Carlus Padrissa e Àlex Ollé era quella di aver messo già troppa carne al fuoco, distogliendo il pubblico da fatti musicali e librettistici. Certo, durante L’insana parola, tra il fruscìo degli impermeabili (in cartapesta?) del pubblico e le dune che si gonfiavano sui gradoni, nemmeno una Hui He, che a volte sembra faticoso immaginare in un ruolo diverso, è riuscita a commuovere con il toccante conflitto interiore di Aida; ma d’altra parte l’Arena è un teatro che, per le sue distanze smisurate, si presta fin troppo bene alla radicalizzazione dell’opposizione pubblico/palcoscenico, e questo La Fura sembra averlo capito perfettamente: l’idea di far scendere le comparse dagli arcovoli della gradinata non numerata, oltre a sfruttare produttivamente lo spazio areniano, ha permesso un diverso coinvolgimento del pubblico, finalmente “integrato” in uno spettacolo meno didascalico e asettico. Il discorso scenico presenta un forte legame con i quattro elementi: aria (il vento che alza la sabbia negli occhi degli archeologi del “Prologo”), terra (le dune gonfiate nell’Atto I), fuoco (i fuochi accesi in scena e sui geroglifici fatti sfilare sui gradoni, l’enorme “croce fotovoltaica” montata durante il Trionfo) e acqua (il palcoscenico viene letteralmente allagato prima dell’inizio dell’Atto III). La struttura è circolare: il “fossile” Art Nouveau dei due amanti uniti in un bacio, “scoperto” da un team di archeologi nel Prologo all’Atto I, si ripresenta sulla sommità della “fatal pietra” (la croce costruita nel corso del Trionfo fatta scivolare sempre più in basso) nel finale dell’opera, con un risultato particolarmente d’effetto. Una menzione particolare va fatta alle comparse, veramente eroiche: prima sono figure incappucciate che si affannano su e giù per i gradoni con lunghe vesti insidiose, poi etiopi frustati con foga a volte davvero eccessiva dai colleghi “egiziani”, dulcis in fundo, coccodrilli e giunchi “umani” stesi a pancia in giù nell’acqua fredda. Geniali gli animali meccanici e la danza dei piccoli schiavi mori realizzata con un gioco di ombre, quando poco prima la scena della consacrazione con la ballerina sospesa aveva lasciato veramente a bocca aperta. Complessivamente una regia che, con le sue contraddizioni, non lascia cadere mai l’attenzione, nemmeno in una serata come quella di ieri, iniziata con un’ora di ritardo a causa del maltempo. Dal punto di vista musicale questa Prima è stata sostanzialmente di alto livello, a partire dal soprano Hui He che, dopo una prova non proprio entusiasmante come Amelia ne Il ballo in maschera, ritorna al ruolo che l’ha consacrata come un fiore all’occhiello del repertorio verdiano: Aida, la principessa prigioniera. Alle timbriche a tratti veramente sublimi Hui He accosta il consueto ottimo utilizzo dei fiati. Se talvolta il fraseggio, soprattutto nelle tessiture più gravi, risulta un po’ nebuloso, il soprano cinese riesce a sopperire con l’intensità dell’interpretazione e con momenti di mirabile lirismo. Buona prova anche per i due bassi: il russo Sergej Artamanov, nei panni del Re d’Egitto, e l’americano Raymond Aceto, che ritroveremo nei panni di Escamillo nella Carmen da metà luglio in poi. Davvero ottimo il suo Ramfis, di cui Aceto ha saputo rendere più umano e credibile il caratterere tradizionalmente severissimo grazie al suo timbro caldo e suadente. La lituana Violeta Urmana, già ottima Amneris nell’Aida “rievocativa” della scorsa stagione, controlla con perizia il proprio poderoso strumento, particolarmente nella zona centrale, ma forse nella sua interpretazione la potenza aggressiva di Amneris prevale un po’ troppo sui tratti di disperata umanità, particolarmente nell’atto IV, dove forse avremmo auspicato una trasformazione più radicale del personaggio (il suo “anatema” resta comunque di grande effetto). Interessante il Radamés di Fabio Sartori, non sempre perfettamente intonato nei duetti ma dal timbro caldo e potente nella zona centrale; forse il migliore tra gli interpreti quanto a coinvolgimento e intensità della recitazione. Bene Amonasro, interpretato da Gennadii Vashchenko, preciso e calibrato in tutte le zone; il duetto del III atto con Aida risulta particolarmente intenso e struggente. Hanno adeguatamente completato il cast: Antonello Ceron (Un messaggero) e Maria Letizia Grosselli (Una sacerdotess) Il direttore Julian Kovatchev, è un buon padrone di casa e dimostra di essere a suo agio nel dominare il rischioso podio areniano; a maggior ragione per i tempi piuttosto spinti che decide di seguire, soprattutto per secondo e terzo atto (complice forse il forte ritardo nell’inizio della rappresentazione), mettendo talvolta in difficoltà il Coro ma lasciando complessivamente ampi spazi di manovra al fraseggio dei cantanti. Non si rilevano grossi incidenti sull’insieme dell’orchestra o con la banda di palcoscenico, tuttavia il colore risulta a tratti un po’ uniforme, soprattutto in momenti cruciali come il duetto Amneris/Radamès . Buona la prestazione del Coro, preparato da Armando Tasso: nonostante le voci più gravi rimanessero a tratti un po’ indietro, non si sono avuti grossi intoppi. Grande successo di pubblico nonostante il maltempo (lo spettacolo si è iniziato dopo un’ora e di conseguenza si è concluso a notte inoltrata) e profluvio di applausi per le due cantanti protagoniste. Foto Ennevi per Fondazione Arena