Oratorio drammatico in tre parti per quattro solisti, coro e orchestra op.75. Christa Ratzenbröck (Antigone), Vinzenz Haab (Oedipe), Stephen Roberts (Theseus), Joseph Cornwell (Polyneikes), La Grand Société Philarmonique, Le Choerus de La Grand Société Philarmonique Kantorei Saarlouis. Joachim Fontaine (direttore).Registrazione: Evangelische Kirche Saarlouis, 14-16 ottobre 2012. T.Time:93’05. 2 CD CPO Cpo 777 825-2
La vicenda artistica e umana di Louis Théodor Gouvy è fra le più tormentate e complesso fra quelle dei compositori dell’Ottocento ed ha influito non poco sulla mancanza di fortuna di un musicista di altissime capacità ma rimasto in qualche modo isolato rispetto al grande pubblico del tempo che ne ha decretato un incomprensibile oblio che tutt’oggi perdura. Nato il 2 giugno 1919 a Goffontaine nella Saar appena divenuta provincia prussiana da genitori francesi crebbe in un paese sostanzialmente straniero ma di cui acquisì in parte la cultura e le tradizioni e che contribuì a fare di lui quell’inestricabile coacervo di cultura tedesca e francese che sempre accompagnò la sua vita e la sua produzione artistica. Nonostante dimostri fin da bambino uno straordinario talento musicale la sua formazione musicale è irregolare, frequenta il Licée de Metz dove riceve le prime lezioni di pianoforte e successivamente si reca a Parigi dove diviene allievo di Adolphe Adam ma non termina gli studi in Conservatorio e prosiegue prendendo lezioni private tanto a Parigi quanto a Berlino. Sul versante personale sono anni molto travagliati, le continue richieste per ottenere la cittadinanza francese vengono sistematicamente respinte gettandolo nello sconforto tanto più che anche il mondo culturale francese – di cui si sente parte integrante – lo guarda con sostanziale disinteresse nonostante l’appoggio di alcune personalità di spicco come Hector Berlioz. Gli insuccessi francesi sono in parte compensati dalla buona accoglienza che la sua musica riceve in Germania, in Gran Bretagna ed in Russia. A Berlino dove è ben inserito nei circoli artistici grazie al’amicizia con il poeta Friedrich Förster conosce Liszt e Brahms che lo sosterrà con entusiasmo. Negli ultimi anni della sua vita si trasferirà a Lipsia dove la morte lo raggiunse il 21 aprile 1898. Apprezzatissimo dai colleghi ma mai totalmente capito dal pubblico – anche la sua fortuna nell’Europa centro-settentrionale fu principalmente circoscritta alla musica da camera – Gouvy venne rapidamente dimenticato e ancor oggi attende la meritata riscoperta.
La casa discografica tedesca CPO propone in quest’occasione la registrazione dal vivo di “Oedipe à Colone” oratorio drammatico composto nel 1880 e liberamente tratto dall’omonima tragedia di Sofocle. L’oratorio rientra all’interno di un ciclo di composizione drammatiche pensate per l’esecuzione concertistica e non per il teatro che hanno un posto non secondario nella produzione di Gouvy. In esse il compositore franco-tedesco si avvicina alle riflessioni delle frange più radicali del movimento romantico e alle loro ricerche di un teatro puramente musicale in cui la componente teatrale si sublima nella stessa struttura musicale svincolandosi dalle necessità della rappresentazione scenica e che si accompagna – fra le altre possibilità – alla riscoperta del modello dell’Oratorio di stampo settecentesco ormai svincolato da necessità liturgiche e utilizzato come struttura portante di questo teatro di suoni. I lavori di Gouvy si inseriscono pienamente in questa tradizione esplicitata fin dalla scelta del temine “oratorio” per composizioni ispirate a soggetti di tradizione classica e pagana.
L’ascolto è sorprendente per la qualità musicale dell’insieme e per la capacità di Gouvy di integrare in un linguaggio assolutamente coerente stilemi e modelli di origine spesso diversissima. La scrittura orchestrale è molto ricca e sfrutta al meglio le possibilità raggiunte dalle masse orchestrali nella seconda metà del XIX secolo ma al contempo non perde mai di vista la tradizione precedente e in più punti si riconoscono echi mozartiani seppur riletti alla luce del gusto contemporaneo – ad esempio nell’ouverture che mostra una diretta conoscenza di quella del “Don Giovanni”. La scrittura vocale rifugge dall’uso di pezzi chiusi ben definiti ma più che richiamarsi al modello del dramma wagneriano – pur ben conosciuto e riconoscibile in filigrana dietro a determinate soluzioni – recupera le forme del declamato arioso di tradizione neoclassica derivante da Gluck e Spontini arricchendolo però con un più esplicito senso per la melodia secondo un gusto ben affermato nella produzione francese contemporanea.
La struttura drammaturgica, il libretto è dello stesso Gouvy, evidenzia al massimo i legami esistenti fra queste sperimentazioni oratoriali e il teatro musicale contemporaneo per cui la critica ha avanzato termini di confronto con il teatro verdiano per le tematiche del rapporto padre-figlia e del senso dell’onore e della devozione. Il risultato complessivo è quello di una composizione di grande ricchezza e forza drammatica, in cui l’origine spesso eterogenea dei modelli trova punto di incontro in un linguaggio estremamente coerente e compiuto.
Joachim Fontaine alla guida dell’orchestra della Grand Société Philarmonique riesce a rendere in modo più che convincente questo materiale pluristratificato. Il passo imposto dal direttore è deciso, di forte impatto drammatico – di grande riuscita la straordinaria scena della morte di Edipo nella III parte in cui ci si ritrova in un’atmosfera molto prossima a quella del III atto del “Simon Boccanegra” – ma anche capace di lasciarsi andare all’abbandono melodico dei passaggi più lirici. L’orchestra pur senza il prestigio di altre compagini suona con ottime proprietà di stile e notevole impatto sonoro superando con sicurezza le non poche difficoltà presenti in partitura.
Il coro Kantorei Saarlouis offre una prestazione di altissimo livello. La scrittura di Gouvy impegna particolarmente le masse corali rifacendosi alla tradizione degli oratori barocchi e anche la scrittura musicale richiama spesso quei modelli e presenta costruzioni armoniche e contrappuntistiche di grande complessità. I Kantorei Saarlouis sono formazione specializzata nell’esecuzione di musiche del XVII e XVIII secolo e mostrano non solo una particolare naturalezza nell’affrontare questo tipo di scrittura così volutamente arcaicizzante – si pensi allo splendido “ Sommeil, doux repos “ che apre la terza parte o il fugato su cui è costruito “Oedipe est l’ennemi” con la loro atmosfera di evidente derivazione bachiana – ma riesce anche a rendere pienamente il mutevole gioco di emozioni e affetti che Gouvy assegna alla massa corale e alla sua funzione di commento alla vicenda secondo il modello funzionale che era stato proprio del coro nella tragedia attica di età classica.
Il cast, pur privo di elementi di particolare spicco fornisce una prestazione nel complesso più che apprezzabile che permette di apprezzare al meglio i valori musicali di questa composizione. Nel ruolo del protagonista il basso Vinzenz Haab specialista del repertorio oratoriale e cameristico canta con grandi doti di gusto e musicalità e soprattutto lavora di cesello sul fraseggio e sull’accento rendendo al meglio le sfumature espressive richieste dal complesso personaggio che passa dalla dolente dolcezza dei duetti con Antigone alla ferocia degli scontri con Polinice fino alla sublimità tragica del finale. La voce è forse un poco leggere per la parte e mentre il settore medio e acuto suona pieno e sonoro in quello grave la voce tende a perdere di corpo testimoniando una natura più da bass-baritone che da autentico basso ma Haab dimostra intelligenza musicale nel non forzare la voce e di giocare piuttosto sul colore e sugli spessori vocali riuscendo a compensare più che egregiamente anche le ricordate lacune.
Al confronto con la sfaccettata e complessa identità di Edipo il personaggio di Antigone appare più lineare tanto sul piano vocale dove prevale un taglio lirico e melanconico tanto su quello drammaturgico in cui risulta dominante la tematica della dedizione e dell’amore filiale. Christa Ratzenbröck è un autentico soprano lirico dal timbro luminoso e carezzevole e dall’emissione compatta ed omogenea su tutta la linea che gli permette di rendere al meglio la scrittura vocale del personaggio per certi versi assimilabile a quella dell’Elsa wagneriana. Sul piano interpretativo la parte è come già ricordato abbastanza lineare e pone meno problemi alla cantante, la Ratzenbröck è comunque molto brava nel rendere la dolce pietà che del personaggio è il tratto dominante ma anche a trovare colori e accenti più drammatici e scolpiti nel duetto della terza parte con Polinice “Antigone, ma soeur “ in cui il personaggio è chiamato ad esprimer una forza emotiva e caratteriale assenti nel resto della composizione. Qualche imprecisione nel controllo della prosodia e dell’articolazione francese non compromettono una prova decisamente convincente.
La parte di Teseo è pensata per un baritono dalle caratteristiche squisitamente liriche: luminoso nel timbro e nobile nell’accento e spesso chiamato a cimentarsi su tessiture decisamente acute. Stephen Roberts è cantante di grande professionalità e di pluridecennale esperienza soprattutto nel repertorio oratoriale – grande interprete bachiano prima di tutto – ma al contempo la lunga carriera e l’età non certo freschissima hanno lasciato più di un segno sulla sua vocalità che tende ad indurirsi e a diventare fibrosa salendo in acuto. L’interprete è però di grande sensibilità e riesce ancora a giocare al meglio le sue carte raggiungendo momenti di grande poesia come nella splendida aria “Vous que l’innocenza même”.
Il tenore Joseph Cornwell affronta la non facile parte di Polyneikes caratterizzata da una scrittura vocale decisamente insolita che tende a rileggere nel gusto del secondo Ottocento la tradizione dell’haute contre francese settecentesco. La tessitura è generalmente molto alta e spesso si trova a cantare su una base strumentale decisamente densa; la voce di Cornwell non è potentissima – e questo si nota specialmente nelle scene con coro – ma elastica e squillante e sorretta da buone proprietà stilistiche. Il fraseggio è molto curato così come l’interpretazione non secondaria in un ruolo complesso e sfuggente come questo tormentato dal rifiuto della figura paterna e dai contrasti che questo provoca e che trova pieno espressione nello scontro con Antigone e la caratterizzazione del personaggio è complessivamente ben tratteggiata.
Scene drammatiche per quattro solisti, coro e orchestra op. 7 da Johann Wolfgang von Goethe. Christine Maschler (Iphigenie),Vinzenz Haab (Orest), Benjamin Hulett (Pylades), Ekkehard Abele (Thoas). Kantorei Saarlouis, La Grande Société Philarmonique. Joachim Fontaine (direttore). Registrazione: Saarlouis, Evangelische Kirche, 10-11 dicembre 2006. T.Time:106′ 15. 2 CD CPO 777-504-2
Si era già parlato di Louis Théodore Gouvy e della sua particolare concezione del teatro e dell’oratorio di soggetto classico in relazione all’”Oedipe a Colone”. Fa quindi estremamente piacere avere la possibilità un altro di questi oratori, di composizione leggermente posteriore al precedente, per comprendere meglio le linee di sviluppo della sua arte. Questa “Iphigenie en Tauride” composta nel 1883 (tre anni dopo l’”Oedipe a Colone” del 1880) non deriva direttamente da una fonte antica ma si rifà alla versione del mito reinterpretata da Goethe nel 1787 secondo il gusto neoclassico del tempo. Rispetto al precedente “Oedipe a Colone” quello che colpisce in quest’opera è proprio il richiamo ancor più pregnante ad una dimensione volutamente neoclassica caratterizzata dalla ripresa di moduli formali e stilistici propri della tradizione della tragedie lyrique della fine del XVIII e degli inizi del XIX secolo pienamente leggibili pur in un trattamento delle masse orchestrali pienamente calato nel gusto contemporaneo dell’autore e non scevro da influenze di matrice wagneriana.
Particolare risalto tanto musicale quanto espressivo è qui affidato alle masse corali in perfetto richiamo alle forme proprie dell’oratorio sacro; inoltre questo è trattato con grande maestria e finalizzato a rendere musicalmente ben definite le contrapposizioni fra le varie parti in gioco. In particolar modo risulta evidente il contrasto fra l’assoluta purezza classica dei cori delle sacerdotesse compagne di Ifigenia e dei prigionieri greci che raggiunge vertici di austera e commossa grandezza nella grande scena che chiude la prima parta della composizione “Contemplez ces triste apprêts” e la dimensione volutamente brutale e barbarica che permea i cori degli sciti e delle furie anche se in quest’ultimo appare esplicito l’omaggio alle analoghe scene gluckiane. Fortunatamente la presente incisione può contare su una compagine corale di altissimo valore come i Kantorei Saarlouis che confermano pianamente le ottime impressioni fatte nella precedente incisione e rendono con pieno marito tutte le potenzialità vocali ed espressive delle pagine corali qui presenti.
La parte orchestrale è affidata a La Grande Société Philarmonique sotto la guida di Joachim Fontaine, principali interpreti di questa valorizzazione delle composizioni di Gouvy e profondi conoscitori del suo stile. Ne risulta una lettura di grande suggestione che evidenzia al meglio il ricco tessuto orchestrale e il sapiente uso che il compositore fa dello stesso così come le riprese di forme e di modi espressivi della tradizione, pienamente leggibili nonostante il processo di trasformazione e adattamento ad un diverso contesto storico e culturale cui sono fatti oggetti.
Sul piano della vocalità ritroviamo un’esplicita preferenza per un declamato melodico capace di aprirsi in grandi squarci ariosi all’interno di scene di vasta concezione che affonda le sue radici nell’opera neoclassica di matrice riformata mentre più rari sono gli autentici pezzi chiusi.
La compagnia di canto è limitata alle quattro parti principali sul modello dello schema a quattro solisti della musica sacra ma con una sola voce femminile (Ifigenia) e tre maschili cui sono affidati i ruoli di Oreste, Pilade e Toante. Nel ruolo della protagonista troviamo Christine Maschler la cui prova suscita qualche perplessità. Ci si trova di fronte ad una voce dotata di un significativo corpo vocale e – a quanto può trasmette la registrazione – di una buona proiezione ma il controllo tecnico non è sempre perfetto e specie nel settore acuto tende a diventare eccessivamente fissa con effetti fischiati sulle note più alte inoltre il timbro è eccessivamente metallico e si nota una certa difficoltà a piegarlo ad accenti più morbidi e sfumati. Una voce così impostata riesce ad ottenere una buona efficacia nei momenti più drammatici ma risulta decisamente più a disagio in quelli lirici e sognanti come la scena del sogno “Ô mes pressentiments!” o l’arioso con coro della seconda parte “O malheureuse Iphigénie”. Nei panni di Orest ritroviamo il baritono Vinzenz Haab (interprete anche di Oedipe). La parte del giovane principe gli risulta decisamente più congeniale e il suo timbro sostanzialmente chiaro e l’accento deciso ed imperioso esprimono al meglio un personaggio che seppur sofferto e tormentato mantiene una natura giovale ed eroica e se l’interprete risulta a tratti impulsivo questo può comunque rientrare nella psicologia del personaggio. La linea di canto e buono e la voce mantiene una buona compattezza in tutta la gamma avvantaggiata anche dall’assenza di particolari discese nel settore grave. Assolutamente degna di nota il tenore Benjamin Hulett come Pylades. Unico francese della compagnia fa valere la sua naturale propensione linguistica rendendo al meglio quella sfuggente retorica che è sempre alla base del canto francese. La voce è decisamente bella e rievoca alla perfezione il tipo dell’haute-contre tanto caro a Rameau e Gluck seppur aggiornato al gusto tardo ottocentesco illuminando i due duetti con Orest nella II e III parte. Ekkehard Abele si limita invece a cantare la parte di Thoas ma l’accento è troppo piatto e rende in modo molto parziale la terribilità del re scita e anche la voce troppo chiara e priva di mordente non lo aiuta nella costruzione del personaggio così che un’aria come “Ah! Le malheur en toux lieux” non riesce a trasmettere la forza teatrale che la parte orchestrale lascia egualmente intuire.