Torino, Auditorium “Giovanni Agnelli”, I Concerti del Lingotto 2013-2014
Mahler Chamber Orchestra
Prague Philharmonic Choir
Direttore e pianoforte Leif Ove Andsnes
Maestro del Coro Lukáš Vasilek
Igor Stravinskij : Concerto in mi bemolle maggiore Dumbarton Oaks
Olivier Messiaen : “O sacrum convivium!” per coro a cappella a quattro voci
Ludwig van Beethoven : Fantasia per pianoforte, coro e orchestra in do minore op. 80;Concerto per pianoforte e orchestra n. 5 in mi bemolle maggiore op. 73 “Imperatore”
Torino, 18 maggio 2014
“The Beethoven Journey” è un’iniziativa internazionale della Mahler Chamber Orchestra e di Leif Ove Andsnes che prevede l’esecuzione dei cinque concerti per pianoforte e orchestra e della Fantasia per pianoforte, coro e orchestra nel periodo 2012-2015 in varie parti del mondo (Sony Classical ne curerà la versione discografica). Una sorta di preludio concertistico e corale alla IX Sinfonia beethoveniana, ora che il pianista e direttore norvegese Andsnes è giunto alla conclusione del ciclo in Italia, presso l’Auditorium “Giovanni Agnelli” del Lingotto di Torino.
Tutta la prima parte del programma è evidentemente finalizzata alla “costruzione” sinfonica della fantasia beethoveniana, perché prima si ascoltano voci della sola componente orchestrale, con il concerto Dumbarton Oaks di Igor Stravinskij; poi si apprezza il coro a cappella con il brevissimo, ma intenso, brano di Olivier Messiaen; infine, a coro e orchestra riuniti si aggiunge il pianoforte, che coordina e lega le varie sezioni della Fantasia op. 80.
Quindici strumentisti in piedi, coordinati da Cordula Merks, primo violino concertatore, per i tre tempi del breve concerto americano di Stravinskij: è sempre nitida la miscela dei tre timbri fondamentali (archi, legni, ottoni), uniti non da un un unico colore, o da un suono omogeneo, bensì dal ritmo. Gli estremi (Tempo giusto – Con moto) sono risolti nella cifra della danza, mentre il movimento centrale (Allegretto) si snoda sornione e ironico, come un gatto che abbia appena gustato una piccola e succosa preda … Non c’è modo migliore per delibare l’intarsio di citazioni e reminiscenze (ed è importante che gli esecutori conservino la dimensione del piacere musicale, perché l’occasione di composizione fu il trentesimo anniversario di matrimonio dei facoltosi committenti, Robert e Mildred Wood Bliss, e la prima esecuzione avvenne nella tenuta eponima del brano, Dumbarton Oaks nei pressi di Washington D.C.: era l’8 maggio 1938).
O sacrum convivium è una pagina brevissima, perlacea, di intensa profondità, scritta da un Messiaen trentenne: bellissima occasione per valorizzare i registri vocali del coro, mantenuti sempre distinti (al pari di quelli strumentali nella gemma stravinskijana).
Finalmente giunge il protagonista della serata, il pianista norvegese, che ad apertura della Fantasia sfoggia subito la nitidezza con cui affronta Beethoven: ogni nota è distinta, ma è anche lasciata risuonare a lungo, come per introdurre meglio l’attacco degli archi, che sembrano così un naturale prolungamento del pianoforte stesso. Gioca poi sugli arpeggi, sempre con molta scioltezza ed eleganza, quando introduce il famoso tema sul pedale dei corni; bellissime le variazioni enunciate anche dagli altri strumenti, uniti tra loro da una passione entusiastica dal principio alla fine. Prima che subentri il coro si apprezza un giusto contemperarsi di virtuosismo e di nitidezza del suono; con le voci, poi, tutto si consuma in un ritmo più rapido, marcato dalla parola poetica. Ed è anche didascalico, Andsnes, è capace di guidare alla struttura dell’opera, perché i punti di snodo, tra variazione e variazione, sono segnalati dai suoi trilli, a mezza voce e in pianissimo. Molto buono, infine, il dialogo tra voci soliste del coro (anche se una femminile risulta un po’ troppo fissa). Il vaticinio della IX sinfonia, così, si compie nel più risonante dei modi.
Dopo il saggio composito dei primi tre, il concerto Imperatore è, come si poteva prevedere, il brano che delinea meglio le scelte interpretative del pianista e direttore: all’introduzione molto brillante dell’Allegro si accompagna una sempre imprevedibile impostazione agogica del pianoforte. Non c’è nulla di scontato, neppure quando un effetto potrebbe apparire facilmente immaginabile, perché Andsnes rilassa il tempo oppure lo stringe in funzione dell’affetto emotivo; tutto senza alcuna pesantezza, considerato che il direttore sottrae all’Imperatore i caratteri marziali che certa tradizione esecutiva ha applicato alla composizione. Andsnes riesce piuttosto a esprimere quella “nobile semplicità e quieta grandezza” più volte scandita dai sereni e netti colpi di timpano, con un pulsare rassicurante che risveglia il tempo, e che conclude il movimento d’apertura come se fosse l’Andante, aereo e sognante, di una serenata. Nell’Adagio un poco mosso risaltano le enunciazioni propriamente calligrafiche dei trilli, mentre nel movimento conclusivo (Rondò. Allegro) si ravvisa di nuovo il profilo interpretativo dominante all’inizio: il Beethoven di Andsnes si trasfigura così nel Mozart della Jupiter – tanto per intendersi -, il traboccare delle passioni in una tranquilla ed elegante compostezza, il nerbo marziale in una grana musicale neoclassica e luminosa. A questo proposito sono davvero pregevoli i tempi e le variazioni ritmiche di ripresa in ripresa del tema fondamentale (e non soltanto dello strumento solista; oltre al pianoforte, anche il primo corno regala uno svolazzo serafico poco prima della clausola: il viatico positivo trascorre dunque dalla tastiera agli ottoni).
Grandissimo trionfo per la Mahler Chamber Orchestra e per il pianista-direttore; il quale risponde con un brano fuori programma perfettamente congruo rispetto al clima emotivo e stilistico di tutto il concerto: un’amabilissima Bagatella, che sembra ridurre il mondo a una miniatura viva e, per una volta, tutta sorridente. Foto Pasquale Juzzolino