Firenze, Teatro Comunale, 77° Festival Maggio Musicale Fiorentino
“La Valse”
Musica Maurice Ravel
Coreografia Davide Bombana
Luci Mietta Corli Vincent Longuemare
Corpo di ballo Maggiodanza
“After the rain”
Musica Arvo Pärt
Coreografia Christopher Wheeldon
Prima ballerina assoluta Alessandra Ferri
Partner Craig Hall
Luci Mietta Corli Vincent Longuemare
Firenze, 10 maggio 2014
C’era anche la danza al Galà di apertura del nuovo teatro fiorentino Opera di Firenze. Presenza tutt’altro che scontata viste le vicissitudini che hanno interessato la compagnia del teatro nell’ultimo anno, in procinto di chiudere i battenti ma poi salvata in extremis da una soluzione gestionale che ne prevede l’esternalizzazione.
Una serata glamour, dove vip confezionati nei loro abiti migliori si godono lo spettacolo dalla platea mentre critici e giornalisti riposti in sala attigua, interpretano il labiale dalla diretta televisiva con problemi audio. Un paradosso che sembra essere il simbolo di una nuova era per l’opera fiorentina, quella della predilezione per l’immagine e la risonanza, non importa se ha discapito di qualche lacuna o incoerenza che solo gli intenditori coglierebbero.
Non è ben chiaro infatti il file rouge della serata il cui programma, evidentemente condizionato da limiti tecnici imposti da un teatro non ancora completato, prevedeva due estratti d’opera, il IV atto di Otello e il I atto dalla Tosca di Puccini intervallati da due coreografie, La Valse di Davide Bombana e il passo a due “After the Rain” di Christopher Wheeldon interpretato per l’occasione da Alessandra Ferri e Craig Hall.
Bombana, che aveva già diretto Maggiodanza dal 1998, ritorna a guidare la compagnia fiorentina e debutta con una personale versione del poema coreografico composto dal Maurice Ravel nel 1920 su commissione di Diaghilev. Tuttavia non furono i Ballet Russes a calcare le scene con la creazione di Ravel, definita dallo stesso Diaghilev “Un capolavoro ma non un balletto”. Furono altri i coreografi che usufruirono della partitura del compositore francese, da Michel Fokine a Nives Poli (che coreografò la Valse proprio al Teatro Comunale di Firenze durante la stagione 1951-1952) e poi George Balanchine e Frederick Ashton.
Nella versione di Bombana presentata al Galà, l’ispirazione dai valzer viennesi è mantenuta anche nella scelta coreografica e rivive fedelmente nelle cinque coppie che si alternano e affiancano sulla scena. Gli abiti in seta e pizzo rosso firmati da Ermanno Scervino indossati dalle danzatrici, compensano il vuoto scenografico e ricreano l’ambientazione imperiale voluta da Ravel. In scena Gisela Carmona Gàlvez, Letizia Giuliani, Federica Maine e Linda Messina, le punte di diamante di Maggiodanza che dialogano e si intersecano con porteur abili e zelanti. L’influenza di Balanchine è viva nelle linee dei danzatori estremizzate e arabescate dallo stile personale di Bonbana. Il dinamismo e la vivacità della performance rischia di essere esasperato con qualche interpretazione frettolosa e qualche ensemble di poca sintonia ma nel complesso ne esce fuori una compagnia energica e propositiva. E’ l’immagine necessaria a legittimare Maggiodanza, un messaggio accentuato dall’inconsueta (per il balletto) direzione d’orchestra di Zubin Mehta, protagonista indiscusso della serata, sul palco a prendersi i meritati applausi insieme ai danzatori.
Se Mehta ha regnato sul podio musicale, la regina coreutica del Galà è stata senza ombra di dubbio Alessandra Ferri, perfetta nel suo ritorno sul palcoscenico fiorentino all’insospettabile età di 51 anni. E’ infatti dall’anno scorso che l’étoile internazionale ha ripreso ad esibirsi dopo 6 anni di ritiro dalla scene, periodo in cui si era dedicata alla direzione artistica del Festival di Spoleto. In scena la poesia del pas de deux tratto da After The Rain, creato nel 2005 dal coreografo inglese Christopher Wheeldon per l’American Ballet, in occasione dell’ultima performance dell’allora compagno, il ballerino Jock Soto.
A ricalcarne le sembianze durante il Galà fiorentino, Craig Hall, solista della stessa compagnia, vestito di pantaloni bianchi a palazzo ad esibire un torso statuario e plastico. Le note incantatrici di Spiegel im Spiegel di Avo Part prendono vita dal violoncello di Patrizio Serino e dalla delicatezza di Andrea Severi al pianoforte, quasi avvolti da una fragile bolla sul lato sinistro del palcoscenico. Al lento dondolare dei danzatori il pubblico entra in un’altra dimensione, ovattata e malinconica, libero di interpretare la storia d’amore nascosta tra gli intimi gesti che Alessandra Ferri, ancestrale nel suo body color carne, rivolge al suo compagno. Craig sembra cullare dolcemente la fragilità eterea della Ferri, superba nel suo fisico da ventenne e così matura nell’interpretare la fusione di un amore sacro e romantico. E poi gli interminabili applausi, la reazione all’effetto ipnotico che Wheeldon è riuscito a imprimere nella sua coreografia.
Un galà, quello della nuova Opera di Firenze, che sembra ricordarsi che la danza esiste e fa parte della scena non solo come cornice. Resta da chiarire l’identità di una compagnia che può contare su pochi validi e giovani elementi e la visione del futuro, in un teatro che si mostra come nuovo di fronte alle telecamere ma nasconde tante incompiutezze. Foto Simone Donati / TerraProject