Tragédie-lyrique in tre atti su testo di Luois-Guillaume Pitra. Karine Deshayes (Andromaque), Maria Riccarda Wesseling (Hermione), Sébastien Guèze (Pyrrhus), Tassis Christoyannis (Orest). Orchestre et Chœr du Concert Spirituel, Les Chantres du Centre de Musique Baroque de Versailles, Hervé Niquet (direttore). Registrazione: Parigi, ottobre 2009. 2 CD Glossamusic GCD 921620 in collaborazione con Palazzetto Bru Zane
La vita musicale parigina degli anni precedenti la Rivoluzione è una realtà estremamente vivace e ricca di spunti di interesse, troppo a lunga ignorata in conseguenza di pregiudizi che solo negli ultimi decenni si è riusciti a superare. La tradizione francese della tragédie-lyrique iniziata con Lully nel secolo precedente rappresentava l’unico modello di teatro musicale nazionale autonomo rispetto all’opera italiana divenuta riferimento esclusivo in tutto il resto dell’Europa. Un modulo quello inventato alla corte del Re Sole che avrebbe segnata tutto il successivo evolversi del teatro musicale francese – e non sarebbe ardua impresa individuare gli elementi formali della tragédie-lyrique nel Grand-Opéra ottocentesco e nei suoi eredi più o meno diretti – ma che al contempo non poteva rimanere chiuso in se stesso e che nel corso della sua lunga storia ha risentito non poco del dialogo e del confronto con le altre esperienze europee.
Gli anni Settanta del XVIII secolo rappresentano un momento importante di rottura e ricostruzione di questo modello in conseguenza alla scoperta da parte del mondo francese dell’opera riformata di Gluck iniziata il 19 aprile 1774 con la prima rappresentazione di “Iphigénie en Aulide” la prima opera appositamente composta per Parigi dal maestro bavarese e destinata ad avere un’immediata eco nel mondo musicale transalpino. Rinnovamento musicale cui si affiancava un non meno importante rinnovamento di politica culturale quale quello apportato dal nuovo direttore dell’Académie royale de Musique Anne-Pierre-Jacques Devismes du Valgay a partire dal 1 aprile del 1777. Grande sostenitore tanto di Gluck quanto dell’opera italiana portò avanti un completo rinnovamento delle istituzioni musicali francesi tanto sul piano musicale quanto su quello organizzativo e teatrale in linea con le nuove tendenze del gusto neo-classico internazionale che si andava affermando in tutta Europa.
All’interno di questa politica culturale Devismes du Valgay propone a Grétry di comporre un’autentica tragédie-lyrique. Il compositore vallone (era nato a Liegi nel 1741) si era affermato a Parigi come il maestro assoluto dell’opéra-comique ma non si era mai cimentato con il più nobile genere della tragédie, l’unico precedente lavoro “serio” “Céphale et Procris” del 1773 era un lavoro fortemente sperimentale pur all’interno della tradizione del ballet heroïque che tendeva a sfuggire ad ogni catalogazione tradizionale.
L’idea che Devismes du Valgay propone a Gretry è invece finalizzata ad un deciso rinnovamento del genere della tragédie-lyrique con un avvicinamento dei moduli espressivi del teatro musicale a quello in prosa esplicitato fin dall’ambiziosa scelta di utilizzare come fonte una dei maggiori capolavori di Racine. In un sistema culturale così fortemente organizzato some quello dell’ancien régime francese i vari generi era rigidamente definiti non solo per le componenti tecniche ma anche sul piano espressivo e contenutistico. Nel caso specifico fin dal XVII era venuta a definirsi una precisa divisione degli universi espressivi fra la tragedia in prosa e quella in musica. La prima era chiamata a rispondere alla regola della “verosimiglianza” caratterizzata dalla sovrapposizione dei tempi della vicenda con quelli della rappresentazione, dalla razionalità delle situazioni e degli stati d’animo, dalla logicità dell’insieme. Di contro la tragedia in musica era la sfera della meraviglia, della ricerca dell’effetto spettacolare spesso raggiunto con il ricorso a situazioni inverosimili – presenza della magia e del divino – scissione fra il tempo della vicenda e il tempo della scena, prevalenza dell’aspetto dell’intrattenimento, del godimento estetico su quello della riflessione etica sempre presente invece nella tragedia in prosa.
Il progetto che Devismes du Valgay affida a Grétry e al librettista Louis-Guillaume Pitra è invece quello di superare questa dicotomia avvicinando il più possibile la tragedia in musica ai moduli di quella in prosa. La prefazione degli autori presente nell’edizione a stampa del libretto del 1780 insiste in modo evidente su questi punti, di fronte ad un modello tanto illustre come quello rappresentato da Racine, Pitra cerca di mantenersi il più vicino possibile al dramma in prosa riutilizzando il maggior numero possibile dei versi originali ed intervenendo il meno possibile e solo dove questo era reso necessario dalle necessità ritmiche del canto non risolvibili con il solo ricorso al verso alessandrino dell’originale e scusandosi con il pubblico delle forzature imposte al grande modello.
La struttura drammaturgica elimina ogni concessione all’elemento soprannaturale e divino – ancora così importante invece in Gluck, riduce al massimo i personaggi lasciando solo le quattro figure centrali accentrando tutta la componente drammatica sulle singole psicologie e sulle loro interrelazione e annullando gli elementi di contorno in quanto potenzialmente dispersivi mentre i balletti – componente essenziale dell’opera francese nel corso di tutta la sua storia – non solo sono fortemente ridotti ma perdono qualunque funzione meramente estetizzante e vengono collocati in precisi snodi drammatici nel segno della verosimiglianza drammaturgica e ambientale mentre le masse corali – fortemente sollecitate – svolgono un importante ruolo nella costruzione teatrale ed emotiva analogamente a quanto accede nella tragedia in prosa o nell’oratorio.
La musica di Grétry risponde ad analoghe esigenze espressive, nonostante l’inesperienza del genere il compositore mostra di saperne padroneggiare perfettamente le necessità espressive del genere. L’orchestrazione è molto curata e di grande ricchezza, si apprezza la grande capacità di sfruttare al meglio le possibilità delle orchestre del tempo e la cura per i dettagli compositivi e gli impasti orchestrali; Grétry riesce – senza mai perdere il senso di nobile classicità dell’insieme – a creare un gioco orchestrale estremamente dinamico e vitale capace di vigorose impennate come di estatici ripiegamenti. La scrittura vocale tende a modellarsi il più possibile sulle necessità declamatorie del testo, manca una distinzione netta fra arie e recitativi e si assiste ad un continuo passaggio fra l’uno e l’altro senza apparente soluzione di continuità, analogamente mancano autentici pezzi chiusi ben definiti in quanto anche nei momenti strutturalmente più canonici le necessità teatrali e prosodiche tendono ad avere il sopravvento. Le singole parti protagoniste sono spesso decisamente impegnative sul piano vocale, con una tendenza a cantare su tessiture molte acute – evidente specialmente nel ruolo tenorile di Pyrrhus – e spesso caratterizzate da ampi scarti che mettono alla prova le possibilità dei cantanti. La scrittura delle parti corali mostra una grande abilità nel gestire strutture contrappuntistiche anche complesse senza però mai sacrificare le ragioni espressive al mero dato tecnico.
Sotto la guida di Hervé Niquet i complessi dell’orchestra Le Concert Spirituel suonano con proprietà mostrando piena sintonia con questo stile e facendo valere una buona pienezza e luminosità del suono, la direzione pur efficace tende però a forzare la mano sul terreno della tensione agogica imponendo un passo sempre molto diretto e marcato che se risulta di grande efficacia nei momenti più drammatici e concitati coglie meno quelli più lirici ed estatici in cui si sarebbe apprezzato un maggior abbandono anche per evidenziare i contrasti espressivi esistenti che la lettura di Niquet tende in parte ad appianare. Assai convincente la prestazione fornita dal Chœur du Concert Spirituel di Versailles specie considerando l’impegno richiesto da Grétry al coro in quest’opera e che la compagine parigina risolve con significativa presenza vocale e ottimo senso dello stile, anche in questo caso valgono ovviamente le considerazioni fatte per la direzione e per pagine come il coro delle ancelle di Andromaca si sarebbe preferito un andamento più disteso ma questo non inficia l’alta prova offerta dai complessi corali.
Sul piano vocale autentico protagonista di questa registrazione è il Pyrrhus di Sébastien Guèze praticamente perfetto nel rendere la particolarità vocalità dell’haut-contre del tardo Settecento francese. Voce chiara, luminosissima e squillante capace di salire con la più naturale semplicità alle più alte tessiture. L’accento è sempre puntuale, attento, preciso e se è facile aspettarsi da questo tipo di voce la morbida eleganza dei duetti con Andromaque quasi sorprende lo squillo marziale e il tono eroico con cui affronta “Ils me menacent de leurs armers”. Nel ruolo del titolo il soprano Karine Deshayes offre una prova più che apprezzabile. La voce è di bel timbro e naturalmente dotata di volume e proiezione, l’accento è preciso e curato grazie anche ad un ottimo controllo dell’articolazione prosodica dei versi anche se manca la scintilla dell’autentica tragedienne e il risultato complessivo è quello di un personaggio molto ben cantato ma un po’ monocorde nella sua dimensione lirica e melanconica. Alle prese con l’impervia tessitura di Hermione il mezzosoprano Maria Riccarda Wesseling ne esce con onore pur dovendo spesso cantare ai limiti delle proprie possibilità. Il colore è quasi sopranile e se questo è congeniale ad un personaggio giovane e vitale crea forse un limitato contrasto con la voce di Andromaque. L’interprete evita di trasformare il personaggio in un’Erinni assetata di vendetta e cerca di mettere in evidenza gli aspetti più lirici dello stesso, ottenendo ottimi risultati nella bell’aria “J’enchaîne à jamais mon vainqueur”. Tassis Christoyannis è un autentico baritono più che un basso cantante ma il timbro chiaro e l’accento impetuoso non guastano in un personaggio come Orest cui certi tratti di giovanile baldanza appartengono naturalmente. La linea di canto è valida, l’emissione omogenea e la tessitura dominata con facilità, si nota però sul piano stilistico una tendenza ad un canto più diretto e meno naturalmente portato alla sublime retorica del genere forse conseguenza di una carriera in cui il repertorio tradizionale ottocentesco ha sempre avuto uno spazio significativo.