Accademia Nazionale di Santa Cecilia: Nicolaj Miaskovskij, chi era costui?

Roma, Auditorium “Parco della Musica”, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, stagione 2013-2014 
Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Direttore Manfred Honeck
Violoncello Mario Brunello
Johann Strauss Jr.:”Frühlingsstimmen” (“Voci di primavera”), valzer op. 410
Nicolaj Mjaskovskij: Concerto per violoncello e orchestra in do minore op. 66
Pëtr Il’ič Čajkovskij: Sinfonia n. 5 in mi minore op. 64
Roma, 27 maggio 2014        
Oramai sta volgendo al termine anche quest’ennesima, stupenda, stagione dei concerti patrocinati dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Tra gli ultimi, questo concerto (trasmesso su RaiRadio3 e su Rai5), certamente singolare per la scelta degli autori e delle opere accostate: due famosissimi, come Johann Strauss Jr e Čajkovskij, cui in mezzo fa capolino lo sconosciuto (ai più) nome di Mjaskovskij. Anche le opere scelte sollevano una certa curiosità: un valzer da salotto viennese fin de siècle, una sofferta sinfonia e un enigmatico fiore di loto, il concerto per violoncello di Mjaskovskij. E se Mjaskovskij e Čajkovskij sono legati, naturalmente, dalla patria di nascita − ma, al contrario di quanto si potrebbe ritenere, non dalla concezione culturale e estetica della musica −, Strauss Jr. rimane veramente un’incognita: Mjaskovskij, è vero, avrebbe trovato un modello in uno Strauss…ma tratta vasi di Richard.
Mi viene da pensare, dunque, che Manfred Honeck l’abbia inserito nel programma memore del suo passato concerto di capodanno all’Accademia, ove sì che avrebbe trovata più consona posizione. Il gusto di Honeck ama crogiolarsi in momenti di così squisita, frizzante gaiezza musicale: lo si vede da come predispone l’orchestra alla resa del celeberrimo refrain del valzer “Voci di primavera”, tra i più noti e amati di Strauss Jr. Nella conduzione, non si esime da tutti i rallentando per permettere al tema principale di sfociare più dirompente; proprio su questi continui giochi di dilatazione e accelerazione dei tempi, dopo una buona sezione centrale, ecco di nuovo la ripresa del tema e la veloce stretta. L’applauso è contento e il pubblico non mostra la stizza che, poco prima, aveva provocato qualche rumore per il ritardo con cui s’è cominciato il tutto. Proprio l’aperitivo, il valzer “Voci di primavera”, è il brano per lui meglio riuscito della serata (se si voglia perdonargli qualche leziosità accademica di troppo). Il secondo brano è la sorpresa della serata: il Concerto per violoncello op. 66 del compositore russo Nicolaj Mjaskovskij, per la prima volta in programma nei concerti dell’ANSC. Grande amico di Prokof’ev, coetaneo di Stravinskij, Mjaskovskij non ebbe la fortuna di cui godettero quei due; ma il suo concerto per violoncello, di una scrittura semplice, quasi naïf, eppure di una tersa essenzialità, è un vero gioiello del genere. Violoncellista è l’accademico Mario Brunello, dal nome affermato: all’emozionata lettura delle lunghe frasi, coniuga un’estrema facilità di fraseggio, di legato, assieme a passaggi virtuosistici dettati da un’eccellente senso estetico del suono. Fa respirare le corde del violoncello; l’intonazione è sempre riuscita. L’orchestra suona divinamente, senza mai occultare la bruna corda del violoncello: Honeck dirige con intelligenza. L’intensità cupa dell’introduzione del I movimento (parti basse dell’orchestra) partorisce il ‘melologo’ del violoncello, molto naturale, ricco di polposa melodia, scevro da ricerche eccessivamente sterili o accademiche: il discorso è comprensibilmente chiaro, specchiato. Tutta la partitura oscilla da momenti di una felicità pudica a altri di un animo velato di nubi. Il II movimento inizia in forte contrasto col primo; il ritmo coreutico permette al violoncello di esibirsi in virtuosismi, sposandosi con l’orchestra. La sezione finale vede momenti di un’armonia orchestrale guardinga, che vela i singhiozzi del violoncello, svettanti verso la sezione acuta. Poi arriva un’elaborata cadenza, il fulcro virtuosistico del concerto, che parte da accordi dissonanti che continuano in virtuosismi di ogni tipo, in un crescendo che termina in un trillo mozzafiato cui si unisce l’orchestra: e il concerto termina in sordina, come fosse il monologo pacato di un attore tragico. Gli applausi ringraziano adeguatamente Brunello per la bella performance.
Il secondo tempo è dedicato all’esecuzione di un monumento della musica: la Quinta sinfonia di Čajkovskij. Honeck legge la partitura, arrivando talvolta a esiti buoni, più ispirati: ma nell’insieme gli manca una profondità d’interpretazione, o se si vuole anche un apporto più personale, rispetto alla tradizione esegetica imperante. Il I movimento, di notevole difficoltà, presenta momenti resi in maniera gradevole: l’incipit con i fagotti che accompagnano la linea bassissima del clarinetti, conduce verso una sorta di danse (latamente) macabre,slavizzata, cui troppo spesso Honeck sovrappone una retorica magniloquente, perdendo qualcosa del guizzo magnifico e tetro dei legni. La struttura a pennellate decise, dunque, fa prendere un po’ la mano all’austriaco; ma il tema principale, quella trama di ritmi che sorreggono una stupenda melodia dall’attacco trocaico, che prosegue in un’intensità irresistibile, riesce a emergere appieno. Il II tempo vede un riuscito assolo del corno, che introduce il tema principale, struggente ed elegiaco; indi il tema si espande a tutta l’orchestra. Honeck rende bene il cuore melodico orientaleggiante del II (proprio della poetica musicale di molte composizioni del russo). Nel III, Honeck riesce a esprimersi al meglio: la sezione è la più danzante, imperniata sui glissati degli strumenti e i pizzicati degli archi. Del IV Honeck coglie il ritmo, ma non il senso profondo, di un’epicità decadente: ingenera un moto perpetuo che sovente fagocita qualche espansione che avrebbe meritato più attenzione. Riprende bene il ‘tema del destino’ (I tempo), riesce a portarlo pomposamente fino allo pseudo-fnale, poi termina nel finale reale, contestatissimo − per cui Čajkovskij venne accusato di falsa retorica −, dalla luce (ma crepuscolare) tutta beethoveniana. Lode all’orchestra, sempre eccellente; applausi generosi anche per Honeck. Foto Riccardo Musacchio & Flavio Iannello©