Verona, Teatro Filarmonico – Stagione Opera e Balletto 2013/2014
“MARIA STUARDA”
Tragedia lirica in tre atti su libretto di Giuseppe Bardari
Musica di Gaetano Donizetti
Maria Stuarda MARIELLA DEVIA
Elisabetta SONIA GANASSI
Roberto Leicester DARIO SCHMUNK
Giorgio Talbot MARCO VINCO
Lord Guglielmo Cecil GEZIM MYSHKETA
Anna Kennedy DIANA MIAN
Orchestra e Coro dell’Arena di Verona
Direttore Sebastiano Rolli
Maestro del Coro Armando Tasso
Regia Federico Bertolani
Scene Giulio Magnetto
Costumi Manuel Pedretti
Allestimento del Bergamo Musica Festival “Gaetano Donizetti”
Verona, 10 Aprile 2014
Accoglienza entusiastica per questa terza Maria Stuarda al Filarmonico: l’accoppiata Ganassi-Devia ha nuovamente mandato in delirio il pubblico veronese, che è accorso in massa per le “regine del belcanto”, il cui sodalizio artistico è già stato ampiamente celebrato in lavori come Capuleti e Montecchi, Zelmira e Anna Bolena. Sonia Ganassi ci dona un’ Elisabetta sbalorditiva, che chiama un meritato e lunghissimo applauso già dopo la cabaletta Ah dal ciel discenda un raggio. Il suo incedere regale e la classe con cui indossa il costume di scena, opera di Manuel Pedretti, rendono il suo personaggio estremamente credibile e non stereotipato. L’apparente naturalezza dell’emissione è in realtà frutto di una formidabile tecnica vocale: alle spalle c’è uno studio meticoloso e feroce che la Ganassi sublima nella limpidezza del fraseggio, confermandosi come una delle più apprezzate interpreti del belcanto. La sua eccezionale performance è coadiuvata dall’accorta regia di Federico Bertolani che rende perfettamente l’orrore destato dalla figura di Elisabetta nei gesti terrorizzati di coro e comparse. Stasera ancora più spavaldi Marco Vinco e Gezim Myshketa, l’uno ardente difensore della cattolica Stuarda, l’altro sanguinario sostenitore della sua condanna a morte. Nonostante la morbidezza del fraseggio e l’appassionato gesto scenico, il tenore Dario Schmunk non convince particolarmente nell’ingrato ruolo di Leicester: tirato per le braccia da due primedonne di questo calibro, non era certo facile interpretare l’oggetto della loro rivalità; il timbro è delicato, i fiati ben calibrati, ma in più occasioni l’emissione risulta un po’ trattenuta e la voce fatica a proiettarsi oltre i volumi orchestrali. In ogni caso, se il duetto con la Devia risulta un po’ insipido, quello con Sonia Ganassi è intenso e feroce.
L’attesa per l’ingresso di Mariella Devia, nei panni di Maria Stuarda, si fa febbricitante quando il sipario si alza sulla scena dell’incontro tra le due regine rivali. Ed è proprio questo il momento della profonda evoluzione dei due personaggi: Maria Stuarda, da “sommessa” supplice, provocata dalla crudele Elisabetta (una Ganassi veramente in splendida forma), esplode nell’accorata rivendicazione del proprio ruolo e nella feroce accusa verso la tiranna usurpatrice. Un grandissimo contrasto, sottolineato dalla contrapposizione di bianco e nero che prevale nella scenografia di Giulio Magnetto. Mariella Devia, fresca di compleanno (sessantasei anni il 12 aprile) sopperisce alla naturale usura della voce con una tecnica eccezionale che manda in deliquio il pubblico per la nitidezza cristallina dei passaggi di registro e delle agilità. Il suo acclarato fraseggio è di una dolcezza sublime, la lunga esperienza del mestiere e la profonda conoscenza dello spartito di Donizetti le suggeriscono di evitare puntature scomode e poco filologiche. La scena della confessione a Talbot è una delle più riuscite: il lungo duetto tra Devia e Vinco emoziona non solo per l’eccezionale professionalità dei due interpreti, ma anche per le puntuali scelte registiche. Molto brava anche Diana Mian, che risulta convincente e misurata nel piccolo ma significativo ruolo di Anna Kennedy. La direzione di Sebastiano Rolli è eccellente, il suo gesto sicuro guida l’orchestra attraverso concertati e strette di fine atto lasciando respirare i cantanti ma senza mai far cadere la tensione musicale. Il momento della grande preghiera dei cattolici vede un’ottima prestazione del coro, preparato egregiamente da Armando Tasso. Insomma, davvero uno spettacolo di altissimo profilo. Sul finale Maria Stuarda si avvia verso l’interno del grande cubo bianco posto al centro della scena, sul quale, come una scure, si abbatte un pannello nero. La carnefice Elisabetta si alza dal trono sovrastante posto di spalle al pubblico, ma il suo ghigno trionfante è destinato a rimanere nell’ombra. Foto Ennevi per Fondazione Arena