Verona, Teatro Filarmonico, Fondazione Arena. Stagione Sinfonica 2013-2014
Orchestra e Coro dell’Arena di Verona
Direttore Boris Brott
Viola Anna Serova
Maestro del Coro Armando Tasso
Gija Kancheli: “Styx”(1999) per viola, coro e orchestra
Hector Berlioz: “Symphonie Fantastique” op.14
Verona, 12 aprile 2014
Se dovessimo trovare un fil rouge per il sesto concerto della stagione sinfonica della Fondazione Arena, potremmo affermare senza esitazione: i riferimenti extramusicali. Sia Gija Kancheli che Hector Berlioz, per quanto in epoche relativamente lontane, hanno infatti compiuto una scelta compositiva basata su rimandi autoreferenziali esterni allo spartito. Se infatti Berlioz sceglie la forma del poema sinfonico per narrare il suo amore non corrisposto per l’attrice Harriet Smithson, Kancheli plasma il suo Styx sullo stile del θρήνος, il lamento funebre di antichissima tradizione greca. L’occasione è la morte dei compianti amici Avet Terterian e Alfred Schnittke, i cui nomi risuonano più volte sulle labbra dei coristi, sottoforma di sillabe e fonemi che rimbalzano in eco ossessive e dolenti. Il concerto, in prima esecuzione italiana, risale al 1999, quando venne dedicato al celebre violista Yuri Bashmet. La viola infatti riveste il ruolo centrale di traghettatore delle anime tra il regno dei vivi e quello dei morti, un Caronte che si muove con perizia nelle atmosfere fluide e spaventose dello Stige. Pertanto il compito di Anna Serova, russa di adozione veronese (vive in Valpolicella da ormai dodici anni) non era dei più facili. La splendida violista fa il suo ingresso sul palco, e, dopo i primi durissimi accordi, si inserisce soavemente nel pianissimo delle voci femminili. Kancheli è noto per amare molto i grandi contrasti dinamici e timbrici, pertanto non ci stupiamo se nell’organico orchestrale figurano anche pianoforte, clavicembalo, basso e tastiera elettrica.
Tutta la musica del compositore georgiano si nutre di accostamenti quali cluster e frammenti di melodie arcaiche, e Styx non fa eccezione: si tratta di una pagina che riesce ad essere contemporaneamente atroce, solenne e soave, alternando momenti di frenesia gitana con altri di intenso lirismo. Molto ricorrente l’espediente del crescendo al fortissimo che si spegne in un piano improvviso o addirittura nel silenzio dell’orchestra, da cui germoglia il suono sublime della Serova. Coro e orchestra, che avevamo già avuto modo di lodare in occasione della Maria Stuarda, reagiscono con duttilità al gesto chiaro ed equilibrato del canadese Boris Brott.
Le atmosfere liquide che Brott è in grado di evocare, rese ottimamente dall’effetto vocale del coro a bocca chiusa, sono di un fascino spiazzante. La solennità funebre degli ottoni e delle percussioni riemerge dall’atmosfera vorticosa di una frenesia quasi da danza tribale. Il pubblico, discretamente numeroso e ancora molto provato dalle allergie primaverili, rumoreggia quando si accorge che i contrabbassi stanno suonando il ponticello e che la viola sta passando l’arco sulla fascia laterale. Il pezzo si chiude con un glissando di coro e orchestra in crescendo, chiamando un caloroso applauso. Come bis la Serova esegue il delizioso Capriccio per viola sola in do minore, omaggio a Paganini del compositore belga Henri Vieuxtemps, dandoci un ulteriore saggio della sua sensibile musicalità. Non inizia invece sotto le migliori premesse la Symphonie Fantastique op.14 di Berlioz, poema sinfonico in cinque movimenti. Il primo movimento si nutre di atmosfere rarefatte che si condensano con i crescendo dei settori più gravi dell’orchestra. Brott mantiene il controllo sull’agogica, ma il suono non sempre è ben amalgamato e il colore risulta spesso piuttosto uniforme, condizionando negativamente le dinamiche e appesantendo quell’idée fixe che caratterizza per definizione il poema sinfonico.
All’inizio del secondo movimento, il ballo, sul ribollio degli archi si innestano i guizzi dell’arpa, risolvendo sul tempo di valzer in La maggiore, uno dei momenti più noti della Fantastica, reso dall’orchestra con grazia ma senza particolare pathos. Paradossalmente le cose migliorano con il precipitare della vicenda narrata dal poema, nel terzo movimento. È qui che il protagonista prende coscienza della drammatica realtà: la sua amata non lo corrisponde; egli decide pertanto di avvelenarsi con l’oppio, dando inizio alle visioni che fanno da sfondo a quarto e quinto movimento. Le sezioni dei legni e delle percussioni conoscono qui il loro momento più alto. Talvolta Brott sembra quasi perdere gli ottoni, ma forse è solo la sensazione confusa e frenetica delle allucinazioni oppiacee. Il momento della visione del sabba funereo è decisamente il più convincente. Il pubblico non aspetta il bis ma copre di applausi anche il Maestro del Coro Armando Tasso. Prossimo appuntamento il 17 aprile con lo “Stabat Mater” di Rossini. Foto Ennevi per Fondazione Arena