Palazzetto Bru Zane, Festival “Félicien David, da Parigi Al Cairo”
Trio Chausson
Violino Philippe Talec
Violoncello Antoine Landowski
Pianoforte Boris de Larochelambert
Félicien David: Trio con pianoforte n. 3
Hector Berlioz :“Un Bal” de la Symphonie fantastique
René Lenormand: Trio con pianoforte
Venezia, 6 aprile 2014
Un altro importante appuntamento nell’ambito del festival Félicien David, da Parigi al Cairo, il giorno successivo alla récréation dell’opéra-comique Le Saphir; un’ulteriore occasione per riscoprire un musicista generalmente considerato un esponente dell’orientalismo, la cui limitata notorietà è più che altro legata a partiture per voce e orchestra quali l’ode sinfonica Le Désert e gli opéra-comique La perle du Brésil e Lalla-Roukh, mentre – come sta emergendo nel corso della rassegna del Palazzetto Bru Zane – il musicista francese si è cimentato dignitosamente anche in generi più “colti” come testimonia la sua cospicua produzione cameristica, tra cui Les Quatre Saisons per quintetto d’archi, quattro quartetti d’archi (l’ultimo incompiuto) e tre trii con pianoforte, generi in cui eccellevano “i tedeschi” (Schubert, Mendelsshon, Schumann), dai quali appare indubbiamente influenzato. Il suo Trio con pianoforte n. 3 in do minore – dedicato all’industriale Aarlès Dufour, membro come David della comunità sansimoniana e suo sostenitore – ricorda appunto Mendelssohn, “il classico tra i romantici”, di cui ricalca il nitore formale, oltre ad un empito romantico e una suadente cantabilità. Splendidi gli esecutori, componenti il Trio Chausson. Molto vigorosa e appassionata l’esecuzione del primo movimento, Allegretto: smagliante e piena la sonorità del violino, morbida e rotonda quella del violoncello, gli strumenti cui è affidato il materiale tematico; raffinato e pulitissimo il pianoforte, che offre il sostegno armonico spesso mediante accordi ribattuti o a batteria e arpeggi. Soave, ma non sdolcinato l’Andante, dove gli strumenti dialogano insieme pacatamente, evocando un’atmosfera sentimentale, screziata di mestizia e languore. Brillante l’interpretazione dello Scherzo, che ricorda analoghe pagine mendelsshoniane con un pizzico di Schumann. Ancora qualche accenno a Schumman nel Finale, eseguito con energia e bel suono.
Il secondo pezzo in programma rappresentava un altro omaggio alla musica francese, anche se in una forma inedita. Si trattava infatti della trascrizione per violino, violoncello e pianoforte, del secondo movimento, Un bal, della Symphonie fantastique di Hector Berlioz, realizzata dagli stessi musicisti del Trio Chausson, continuando la tradizione ottocentesca di ridurre per pianoforte o piccoli ensemble partiture per orchestra da proporre nei salotti. La trascrizione, che si è sentita eseguire, non faceva rimpiangere i colori orchestrali originali, dovuti alla sensibilità di uno dei più insigni esperti in materia, autore di un celebre trattato di orchestrazione. Ancora una volta hanno incantato il suono corposo, il perfetto affiatamento, la musicalità, grazie a cui è emerso il carattere del brano, che si basa su un valzer sognante, ma poi assume un andamento vorticoso fino alla riapparizione dell’idée-fixe, per poi concludersi con una coda brillante.
Una gradita sorpresa anche l’ultimo titolo in programma: il Trio in sol minore op 30 di René Lenormand. Il che ha confermato il ruolo fondamentale del giovane Trio Chausson nella divulgazione della musica francese, proponendo al pubblico composizioni anche rare. È il caso appunto di questo trio praticamente sconosciuto come il suo autore, la cui musica emana un pathos languidamente tardo-romantico e rivela innegabili affinità con l’analoga produzione tedesca del suo tempo. Dedicato al violinista Édouard Nadaud, il trio – caratterizzato dal respiro melodico dei due primi movimenti, cui seguono due tempi ritmicamente più vivaci – conobbe subito un grande successo. Anche in questo caso l’esecuzione del Trio Chausson è stata esemplare nel rendere la densità quasi orchestrale della scrittura di Lenormand nell’Allegro iniziale, prevalentemente in modo minore con qualche breve digressione in quello maggiore, come nel successivo Andante, in cui l’atmosfera si fa più triste e cupa, rasserenata solo dalla sezione centrale. Lieve e briosa, come dev’essere, la ronde che costituisce il terzo tempo, Prestissimo, intramezzata da due episodi lirici. Ricco di pathos l’Allegro finale.
Un prezioso bis, sollecitato dai prolungati applausi: il terzo movimento dal Trio n. 2 di Cécile Chaminade, un’altra delle riscoperte che vanno a merito del Trio Chausson, un talento, che Georges Bizet considerava alla stregua di un “petit Mozart”, e che effettivamente – come è risultato dall’ascolto di questo brano, che richiede anche doti virtuosistiche – non manca certo di ispirazione e carattere. Foto Michele Crosera