Busseto, Collegiata di S. Bartolomeo
Ensemble Marija Judina – Associazione Euphonia
Contralto Sara Mingardo
Violini Silvia Colli, Gian Andrea Guerra
Viola Valentina Soncini
Violoncello Gioele Gusberti
Contrabbasso Vanni Moretto
Clavicembalo e concertazione Giovanni Paganelli
Antonio Vivaldi: Nisi Dominus; Stabat Mater
Fortunato Chelleri: Sinfonia in Si bemolle maggiore
Busseto, 3 aprile 2014
Talvolta la bellezza si manifesta nei luoghi più impensati. L’associazione Favorita del Re – Centro Studi Romano Gandolfi è nata per commemorare il defunto direttore di coro e d’orchestra Romano Gandolfi, noto soprattutto come direttore del coro della Scala dal 1971 al 1983, e per creare una sede per eventi musicali e culturali nella sua villa di Medesano, in provincia di Parma. Per raccogliere fondi per le sue attività, l’associazione ha organizzato giovedì 3 aprile 2014 un concerto in cui i due mottetti per contralto e archi Nisi Dominus e Stabat Mater, tra le migliori creazioni di Antonio Vivaldi, sono stati interpretati dalla più grande cantante di questo repertorio, Sara Mingardo, che con molta generosità si è prestata gratuitamente all’iniziativa.
Il luogo prescelto è stato la Collegiata di San Bartolomeo di Busseto, splendida chiesa ricoperta di eleganti stucchi settecenteschi (purtroppo funestati da una orrenda abside neogotica tardo-ottocentesca), che conserva al suo interno alcuni capolavori del pittore cremonese Vincenzo Campi, poco ricordato genio dell’arte cinquecentesca. Un luogo ricco di ricordi verdiani: in questa chiesa, che è la principale della “città” di Busseto, fu infatti organista e maestro di cappella Ferdinando Provesi, l’insegnante di Verdi. Quando Provesi morì nel 1833, Verdi sperò di succedergli nell’incarico. Gli fu preferito invece, senza alcun concorso, un tal Giovanni Ferrari (oh, Italia!). Solo nel 1836 venne indetto un concorso, che fu finalmente vinto da Verdi.
Che cosa c’entrino Sara Mingardo e Vivaldi con Romano Gandolfi, Verdi e Busseto non è chiaro e l’associazione non deve riuscita a fare un’adeguata pubblicità all’evento, perché nonostante il prestigio della solista la chiesa era praticamente vuota (non vogliamo credere che i parmensi non vogliano sentire altro che Verdi), ma, forse anche per questo, il concerto è stato molto emozionante. Per motivi economici l’ensemble strumentale organizzato dall’Associazione Euphonia di Modena, diretto dal clavicembalo dal talentuoso direttore ventunenne Giovanni Paganelli, annoverava solo due violini, viola, violoncello, contrabbasso, ma gli strumentisti erano tutti eccellenti barocchisti e la limitazione dell’organico si è trasformata in una splendida opportunità per un’esecuzione a parti reali più libera e viva, che ha valorizzato al massimo le linee vivaldiane e ha permesso alla solista di sfoderare la più ampia gamma possibile di colori.
A giudicare da un colpo di tosse particolarmente grassa tra due movimenti, Sara Mingardo non doveva essere nella sua forma fisica migliore, ma nulla di questo si sarebbe mai potuto evincere dal canto, che è stato al contrario un modello di perfezione e pulizia. La tecnica di Sara Mingardo dovrebbe essere additata a tutte le cantanti come l’esempio più riuscito della corretta, impalpabile fusione tra il registro di petto e il registro centrale (che è una cosa ben diversa dal “tirare su” il registro di petto o del “tirare giù” il registro di testa). Sara Mingardo canta sempre con la sua voce e questo le permette di essere sempre espressiva e spesso infinitamente commovente. Per fare solo un esempio, con altre (o altri) interpreti l’”Eja Mater” dello Stabat può essere un pezzo piuttosto anodino, financo grigio. Nell’intimo concerto bussetano è stato un momento di grandissima emozione, grazie al continuum sempre cangiante del carismatico primo violino Silvia Colli e allo stupefacente chiaroscuro del contralto. Difficilmente credo che udrò una messa di voce in registro di petto più bella ed intensa di quella eseguita da Sara Mingardo sul Do basso che apre il pezzo. La masochistica richiesta alla vergine di poter soffrire con lei i suoi tormenti è stata incarnata attraverso un ventaglio inesauribile di colori che trascolorano rapinosamente l’uno nell’altro, sempre collegati tra loro e mai “finti” o “non appoggiati”, dal forte più pieno al pianissimo più impalpabile, assecondati dalla direzione sensibile di Paganelli. Tramontata definitivamente (e per fortuna!) l’epoca in cui il “barocco” doveva essere eseguito in maniera grigia e anonima per “vendicarsi” del romanticismo, viviamo oggi in un’epoca in cui “barocco” è sinonimo di eccesso, non di rado perfino di circo equestre. Lontanissima da questi due eccessi, Sara Mingardo rappresenta invece una rara realizzazione di quell’ideale settecentesco (testimoniato ad esempio dagli aurei trattati del Tosi e del Mancini) in cui bellezza (cioè naturalezza) del suono ed espressività non sono nemici ma al contrario alleati. Se questi compositori italiani come Vivaldi scrivevano cose così semplici, se confrontate con le complessità di Bach non era per mancanza di preparazione contrappuntistica o solo per abitudini stilistiche ma anche per lasciare campo libero al contributo espressivo degli interpreti, i quali però devono essere all’altezza del compito. Durante l’esecuzione di questi due mottetti, nel ristretto uditorio pochi cigli sono rimasti asciutti.
Per concedere un attimo di riposo alla cantante e per separare i due mottetti in dolorose tonalità minori, l’ensemble ha eseguito con molto brio una Sinfonia in Si bemolle maggiore in tre tempi del compositore parmigiano (poi emigrato in Svezia e Germania) Fortunato Chelleri (Parma, 1690 – Kassel, 1757), piacevolissima opera in un precoce “stile galante”, notevole soprattutto per il secondo movimento (Affettuoso) basato sul tema di “Lascia ch’io pianga” dal Rinaldo di Handel, che aveva avuto modo di conoscere durante il suo soggiorno londinese nel 1726-27. Non credo che il Centro Studi Romano Gandolfi sia riuscito nel suo intento di raccogliere fondi con questo evento, ma può se non altro andare orgoglioso di aver offerto ai pochissimi partecipanti un’esperienza musicale indimenticabile. P.V.Montanari