Verona, Teatro Filarmonico – Stagione Opera e Balletto 2013/2014
“MARIA STUARDA”
Tragedia lirica in tre atti su libretto di Giuseppe Bardari
Musica di Gaetano Donizetti
Maria Stuarda CRISTINA GIANNELLI
Elisabetta VALENTINA BILANCIONE
Roberto Leicester FILIPPO ADAMI
Giorgio Talbot MARCO VINCO
Lord Guglielmo Cecil GEZIM MYSHKETA
Anna Kennedy DIANA MIAN
Orchestra e Coro dell’Arena di Verona
Direttore Sebastiano Rolli
Maestro del Coro Armando Tasso
Regia Federico Bertolani
Scene Giulio Magnetto
Costumi Manuel Pedretti
Allestimento del Bergamo Musica Festival “Gaetano Donizetti”
Verona, 8 Aprile 2014
Come purtroppo spesso accade con i cast alternativi, anche per questa seconda rappresentazione di Maria Stuarda siamo costretti a registrare un’affluenza di pubblico scarsa fino all’imbarazzo. Uno spettacolo, quello della platea semivuota, che non rende affatto giustizia a quello ben congegnato che ha invece avuto luogo sul palcoscenico.
Quella di Giulio Magnetto è una scenografia densa di simbolismi; prevalgono grandi contrasti di bianco e nero: gli unici altri colori che vediamo sono quelli dello sfondo, che finisce quasi per somigliare a uno screen-saver. Al centro della scena, un grande cubo su cui è posto il trono d’Inghilterra, con lo schienale rivolto verso il pubblico, forse a sottolineare l’indifferenza del potere per chi sarebbe suo compito rappresentare, un tema davvero evergreen. La regia si spinge fino a un manicheismo totalizzante, in un’opera che si nutre di grandi contrasti: bianco e nero, cattolici e protestanti, Maria ed Elisabetta, le due regine, questa sera entrambi soprani.
Infatti, se in primo cast troviamo il mezzosoprano Sonia Ganassi, qui (come da spartito) il ruolo di Elisabetta è ricoperto da un soprano, la giovane Valentina Bilancione (vincitrice del “X Concorso Internazionale di Canto” promosso dall’Istituto Internazionale per l’Opera e la Poesia di Verona). Un’Elisabetta davvero severa, la sua, dai movimenti secchi e isterici: talvolta la Bilancione sembra non saper bene che fare delle proprie mani e raramente riusciamo a vederle il mento, sempre rivolto verso il basso ad aumentare ulteriormente la durezza dei suoni. Col tempo si riscalda, ma la crudeltà del soggetto che mira appassionatamente a rappresentare, trasferita nella vocalità, rischia di ottenere un indesiderabile effetto metallico, in particolare nei recitativi.
Filippo Adami, nel ruolo di Leicester, ce la mette tutta ma non migliora la situazione, anzi: l’appassionata presenza scenica non riesce a far dimenticare gli accentacci sugli acuti. Il ruolo è certamente ingrato, ma la voce è sfibrata e il fraseggio ne risente. Superato il loro faticoso duetto, la strada è in discesa.
L’orchestra reagisce diligentemente al gesto puntuale del giovane Sebastiano Rolli che esegue tutto a memoria, dimostrando un’ottima padronanza dello spartito.
L’intervento di Marco Vinco (Talbot), che si dimostra ancora una volta un interprete eccellente, è un sospiro di sollievo, ma anche Gezim Myshketa (Cecil), col suo timbro caldo e suadente, merita una menzione particolare. La scena del carcere si apre con un pavimento ricoperto da quelli che somigliano a tanti fazzoletti, perfino Maria Stuarda sembra aver addosso un fazzoletto bianco, che ben ne riassume innocenza e sofferenza.
Davvero pregevole l’interpretazione di un’altra vincitrice del “X Concorso internazionale di Canto”, Cristina Giannelli (Stuarda): il suo fraseggio è ben strutturato, i pianissimi eleganti, si muove con grazia nella zona centrale con incursioni negli acuti acerbe ma interessanti. Buone le agilità. I brividi che ci aspettavamo sul “Figlia impura di Bolena” arrivano, anche grazie all’ottima regia di Federico Bertolani, che gioca su coinvolgenti effetti luce/contrasto. Anche Diana Mian, nel ruolo minore di Anna Kennedy, è precisa e convincente.
Il secondo atto si apre su uno scenario davvero angosciante: Elisabetta appare in costume nerissimo dai rimandi goth, che non giova molto all’interpretazione della Bilancione. Notevole il duetto tra Giannelli e Vinco nella scena della confessione. Movimenti di ombre introducono il coro, questa sera in forma smagliante, anch’esso in tenuta nera con drammatiche croci rosse appese al collo. Elisabetta resta in scena, seduta sul trono, non vista, fino alla fine. Maria, come aveva fatto all’inizio creando un lungo effetto di flash forward, si incammina nel cubo bianco ai piedi del trono e lì resta rinchiusa da un pannello nero, mentre Elisabetta si alza guardando torva verso il pubblico e lasciandoci quasi l’interrogativo: quale delle due regine si avvia al vero patibolo? Foto Ennevi per Fondazione Arena