Palermo, Teatro Massimo, Stagione Sinfonica 2014
Orchestra del Teatro Massimo
Direttore George Pehlivanian
Violino Salvatore Greco
Soprano Marjorie Owens
Wolfgang Amadeus Mozart: Serenata in Re maggiore K 250/248b ‘Haffner’
Richard Strauss: Vier letzte Lieder; Also sprach Zarathustra op. 30
Palermo, 8 aprile 2014
Concepito come rassegna a sé all’interno della stagione sinfonica 2014 del Teatro Massimo di Palermo, il ‘Festival Mozart-Strauss’ intende innanzitutto celebrare i 150 anni dalla nascita di Richard Strauss, proponendo un interessante accostamento con alcune delle più celebri pagine di Mozart, al quale si ricollega l’atmosfera settecentesca di una significativa parte della produzione straussiana. Sviluppandosi nel mese di aprile, il progetto però si rivolge anche ad altri compositori, come Francis Poulenc (di cui verrà eseguito lo Stabat Mater) o Johannes Brahms (protagonista dell’ultimo concerto con l’Alt-Rhapsodie op. 53 e lo Schicksalslied op. 54 d). In tal modo – ha spiegato il commissario straordinario Fabio Carapezza Guttuso – si è voluto instaurare un rapporto ancor più simbiotico con la stagione operistica, rimandando soprattutto all’opera inaugurale (Feuersnot di Strauss) e al Don Giovanni, che andrà in scena nella seconda metà di maggio. E dopo il convincente e apprezzato avvio con la proiezione di Der Rosenkavalier (1925) – film muto di Robert Wiene accompagnato dall’esecuzione dal vivo delle musiche di Strauss – il secondo appuntamento è stato anticipato dall’inaugurazione di una variopinta mostra nella Sala Pompeiana, tutta dedicata agli allestimenti mozartiani nel teatro palermitano dagli anni ’50 sino ad oggi, con l’esposizione di bozzetti, figurini, costumi di scena, programmi di sala, fotografie e locandine (la mostra rimarrà aperta sino all’8 giugno).
L’impressione è stata quella di sfogliare un album di ricordi tra le mura della propria abitazione, sensazione che si è mantenuta anche all’avvio del concerto. Ospite abituale del palcoscenico del Massimo, George Pehlivanian propone di solito una buona sintonia con la compagine orchestrale, ma in questa occasione i risultati sono apparsi irregolari, determinando un forte disequilibrio fra le due parti del programma. Incide forse la struttura atipica della Serenata ‘Haffner’, opera che può essere letta come combinazione di due brani – un concerto per violino seguito da una sinfonia – oppure come lavoro sinfonico più complesso, introdotto da una ouverture in due tempi e contraddistinto al suo interno da tre movimenti concertanti, con il violino nel ruolo di solista. Le discontinuità della composizione la rendono dunque poco adatta ad un ascolto in sala da concerto, rivelando quelle caratteristiche di musica da occasione che le sono proprie (la Serenata venne composta nel 1776 per il matrimonio tra Marie Elisabeth Haffner con Franz Xaver Späth). Dal canto suo il direttore ha adottato una linea interpretativa piuttosto uniforme, riflessa in un’omogeneità di gesto che è rimasta sostanzialmente indifferente alla molteplicità stilistica delle sezioni. Pehlivanian, dunque, si è espresso in una direzione abbastanza disincantata, allegramente superficiale e pressoché priva di sfumature. A sua volta l’orchestra ha risposto alcune volte con partecipazione, altre volte quasi di malavoglia, non raggiungendo in alcuni passaggi l’auspicato rapporto di amalgama fra sezione dei fiati e degli archi. A Salvatore Greco, primo violino dell’orchestra del Teatro Massimo, il difficile compito di solista in una parte apparentemente agevole, ma in realtà impervia per tessitura acuta, passaggi arditi, note scoperte. Nel complesso la sua prova ottiene una convincente purezza di suono in alcuni punti – in particolare nell’Andante – alternata a momenti decisamente sottotono. Soprattutto nel Minuetto, Greco ci è sembrato piuttosto ingessato nell’esecuzione, con sbavature nella tenuta di suono, per poi sciogliersi nel Rondò (sebbene nel ritornello la sincronizzazione ritmica non fosse sempre perfetta).
Tutt’altra atmosfera nella seconda parte della serata, dedicata ad uno Strauss poco settecentesco e più autenticamente tardoromantico. In questo caso la buona prova dell’orchestra ha confermato l’impressione delle ultime esibizioni, e cioè che la compagine mostrasse qualche difficoltà più o meno evidente nella prima parte del concerto (o nei primi atti dell’opera, come nel caso del recente Otello) per poi riaversi completamente nella seconda, quasi stentasse ad ingranare. Certamente la raffinata scrittura dei Vier letzte Lieder si prestava in modo particolare a sprigionare le buone qualità degli strumentisti, supportati da un Pehlivanian più ispirato e dalla significativa presenza di Marjorie Owens. Il soprano statunitense, per quanto specializzato nel repertorio straussiano e soprattutto wagneriano, sembra possedere un timbro e un fraseggio non del tutto adatti alla morbidezza cangiante dei Lieder. Tuttavia la Owens ha dalla sua due importanti punti a favore: la straordinaria intensità del volume, equilibrata nelle diverse zone del registro e sempre alla pari con la densità orchestrale, e una particolare sensibilità di interpretazione, grazie alla quale ha saputo modulare effetti di continuo diversi (per quanto spesso in modo impercettibile), con apici di intensità in Beim Schlafengehen e Im Abendrot. Anche Greco si è qui trovato a maggior agio, dando il meglio nello struggente assolo che caratterizza il breve interludio del penultimo Lied. La mobilità gestuale che il direttore d’orchestra ha saputo recuperare nei Lieder è poi giunta a piena maturazione nel poema sinfonico Also sprach Zarathustra, senza dubbio una delle opere più conosciute del compositore monacense. L’incipit più celebre nella storia della musica sinfonica – insieme a quello della Quinta di Beethoven – è risuonato subito con veemenza monumentale, trovando sostegno nell’attacco potente degli ottoni, nel fuoco degli archi e nella sfrontatezza delle percussioni. Grande merito alla sezione grave degli archi, in particolare ai violoncelli, ai quali è stato affidato l’arduo intento di sviluppare il decorso musicale (apprezzati su tutti Das Grablied e Das Tanzlied), tenendo alta l’attenzione di un pubblico generalmente interessato ed emotivamente coinvolto.