Venezia, Teatro La Fenice, Stagione sinfonica 2013-2014
I Solisti di Mosca
Direttore e solista Yuri Bashmet
Georgij Sviridov: Sinfonia da camera per archi op. 14
Dmitrij Šostakovič:Sinfonia per viola e archi Il Tredicesimo trascrizione di Aleksandr Čajkovskij del Quartetto n. 13 in si bemolle minore op. 138
Igor Stravinskij:Concerto in re per archi
Andrea Liberovici: Non un silenzio per viola e orchestra d’archi e celesta da e per Giovanni da tre impronte visive di Giovanni Morelli, 1968 (prima esecuzione assoluta)
Toru Takemitsu: Tre colonne sonore per archi
Venezia, 14 marzo 2014
Di straordinario interesse il recente concerto al Teatro La Fenice dei Solisti di Mosca, un ensemble fondato più di vent’anni or sono da Yuri Bashmet, che riunisce i migliori solisti russi provenienti dal Conservatorio moscovita, tutti vincitori di prestigiosi concorsi internazionali. Magistralmente guidati da Bashmet – che come di consueto ha alternato la funzione di direttore a quella di violista, confermandosi in entrambi i casi uno dei massimi musicisti dei nostri giorni – i solisti hanno eseguito un programma comprendente titoli alquanto rari, oltre ad una prima assoluta, nel quadro del progetto “Nuova musica alla Fenice”: un’altra opera realizzata da un musicista italiano, su commissione del Teatro veneziano, in memoria di Giovanni Morelli, intellettuale dagli interessi vastissimi, tra i quali un rilievo particolare aveva proprio la musica contemporanea. Ma questa volta l’occasione era del tutto particolare: l’autore di Non un silenzio (questo il titolo del lavoro) è Andrea Liberovici (figlio del compositore Sergio), che fin da bambino ha trovato in Morelli il suo secondo padre.
Inutile sottolineare quanto gli esecutori russi abbiano soggiogato il pubblico veneziano con il loro perfetto affiatamento, la completa padronanza dei singoli strumenti, la ricchezza di sfumature del suono, di volta in volta rotondo, tagliente, ruvido, dolcissimo. Ma quel che è apparso particolarmente evidente è la loro capacità di dissimulare con estrema disinvoltura l’eccellente preparazione tecnica, le straordinarie capacità virtuosistiche, che, come si addice a dei grandi esecutori, devono essere il supporto, solido ma discreto, che sostiene il tessuto musicale, il quale deve svilupparsi quasi con naturale semplicità con i suoi colori, i suoi motivi, le sue esigenze estetiche ed espressive. E così è indubbiamente stato.
Fin dalla neoclassica Sinfonia da camera per archi op. 14 di Georgij Sviridov, allievo di Šostakovič, si è imposto il gesto molto marcato del direttore che, assecondato dagli strumentisti, sottolineava con puntuale precisione ogni sfumatura e carattere della partitura: dall’intensa drammaticità alternata a lirismo che caratterizza il primo movimento (Moderato assai), al brioso Vivace, una sorta di Scherzo, che ricalca analoghe pagine di Šostakovič, al lamentoso Andante con moto, ancora influenzato da strutture armoniche e spunti tematici dell’appena nominato grande maestro, al concitato Allegro molto, in cui si torna al materiale tematico del primo movimento, con l’intermezzo di una sezione centrale, che riprende i toni intimistici del movimento lento.
Di grande impatto emotivo la Sinfonia per viola e archi Il Tredicesimo, consistente nella trascrizione da parte di Aleksandr Čajkovskij del Quartetto n. 13 in si bemolle minore op. 138 di Dmitrij Šostakovič, in cui si è segnalato il magistero di Yuri Bashmet in qualità di solista alla viola. Si tratta di un pezzo in un unico movimento, che si fonda su una configurazione “a specchio” (ricorrente nella produzione di Bartók), seguita da una coda finale. Superbo Bashmet nell’esposizione, intrisa di lirismo, della serie dodecafonica che apre la composizione, ripresa poi con maggiore energia dal primo violino. Perfetta l’intesa di tutto l’insieme nella sezione centrale più animata, in cui tra l’altro alla viola è richiesto di percuotere le corde con il legno dell’arco. Ancora la maestria di Bashmet si è imposta nella coda squisitamente solistica, che fa seguito al languido tempo finale.
Di nuovo un’aura neoclassica ha pervaso la Sala del Selva, seppur alla maniera sempre eccentrica ed originale di Stravinskij, con il Concerto in re per archi, tripartito in Vivace, Arioso, Rondò, secondo uno schema classico, e costruito sull’intervallo di seconda minore, dominante in tutti e tre i tempi. Nel primo l’ensemble moscovita ha fatto sentire sonorità piuttosto aspre, scandendo con vigore le ossessive figurazioni ritmiche, mentre nel secondo l’arioso – divenuto alquanto popolare in quanto sigla di una nota trasmissione di Radio 3 – è stato interpretato mettendone in risalto la sottesa vena lirica, prima del ritorno ad un ritmo ostinato nel tempo conclusivo.
Ancora Yuri Basmet alla viola per la prima esecuzione assoluta del pezzo di Andrea Liberovici, in cui il dato biografico si stempera in una ricerca sonora volta ad indagare la natura del silenzio, come del resto è tipico atteggiamento di tanti compositori contemporanei, da Cage a Sciarrino. Fonti di ispirazione: tre disegni/quadri di Giovanni Morelli, realizzati nel 1968, quando questi insegnava all’Accademia di Belle Arti di Bologna, nonché la frase conclusiva di un saggio dell’insigne musicologo, Scenari della Lontananza, uscito nel 2003, in cui afferma che dopo la perdita materiale del suono quel che rimane è solo “il profondo nulla. Non un silenzio”). In effetti il lavoro di Liberovici rappresenta una sorta di metafisica del silenzio o meglio di quella vibrazione impercettibile che laicamente egli identifica con il concetto di anima, ma anche con il suono dell’universo sconosciuto, che è inudibile, inafferrabile, se non alzato o abbassato alla portata dell’udito umano. Anche in questo brano la viola di Youri Basmet ha brillato per sensibilità musicale, sorretta egregiamente dagli altri strumenti in un gioco di accensioni e silenzi, accordi tenuti e sonorità strappate, note glaciali della celesta e colpi secchi con l’archetto, ad esprimere ciò cui solo la musica può dar voce. E per far questo, il giovane compositore è partito affettuosamente dalle vocali, corrispondenti a tre note, che compongono il nome e cognome dell’indimenticabile suo mentore: G (sol), A (la), E (mi).
Ha chiuso degnamente il concerto l’esecuzione delle Tre colonne sonore di Toru Takemitsu, un musicista che è riuscito ad instaurare, non senza qualche lacerazione interiore, un dialogo proficuo tra la musica giapponese e quella occidentale, in un originale eclettismo, che produce esiti di grande intensità espressiva, come ebbe a notare lo scaltrito Stravinskij. I tre brani in programma si sono rivelati di grande comunicativa, coniugando elementi diversi come accordi dissonanti alla Bartók, languori di musiche da film hollywoodiani, spumeggianti valzer viennesi. Anche in questo caso ineccepibile, e per certi versi travolgente, l’esecuzione dei Solisti di Mosca. Che, a fine serata, cedendo agli incontenibili applausi per tutti, compreso Andrea Liberovici, hanno concesso un altrettanto trascinante bis: la Polka del compositore russo di origine tedesca Alfred Schnittke. Dopodiché poi ancora tripudio.