Teatro alla Scala:”Csarskaja Nevesta” (Una sposa per lo Zar)

Milano, Teatro alla Scala – Stagione d’opera e balletto 2013-2014
 “CSARSKAJA NEVESTA” (Una sposa per lo Zar)
Opera in quattro atti. Libretto di Il’ja Tjumenev
Musica di Nikolaj Rimskij-Korsakov
Vasilij Stepanovič Sobakin ANATOLY KOTSCHERGA
Marfa OLGA PERETYATKO
Grigorij Grigor’evič Grjaznoj JOHANNES MARTIN KRÄNZLE
Grigorij Luk’janovič Maljuta TOBIAS SCHABEL
Ivan Sergeevič Lykov PAVEL ČERNOCH
Ljubaša MARINA PRUDENSKAYA
Elisej Bomelij STEPHAN RÜGAMER
Domna Ivanovna Saburova ANNA TOMOWA-SINTOW
Dunjaša ANNA LAPKOTVSKAJA
Petrovna CAROLA HÖHN
Fuochista dello zar GUILLERMO BUSSOLINI
Cameriera STEFANIA GIANNÌ
Un giovane MASSIMILIANO DI FINO
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Daniel Barenboim
Maestro del coro Bruno Casoni
Regia Dmitri Tcherniakov
Costumi Elena Zaytseva
Luci Gleb Filshtinsky
Video Raketa Media
Coproduzione con Straatoper Unter der Linden, Berlino
Milano, 11 marzo 2014  
Una mano invisibile che manipola il destino di tutti, piegando misteriosamente la realtà al proprio volere. Questa è l’essenza inquietante che pervade questo capolavoro di Rimskij-Korsakov, conferendogli un significativo valore aggiunto che lo solleva dal semplice intreccio amoroso tipico del melodramma. “Una sposa per lo zar” (meglio conosciuta come “La sposa dello zar” o “La fidanzata dello zar”) è ricca di elementi propri dell’opera ottocentesca italiana, sia dal punto di vista musicale (numeri chiusi ben delimitati, dalle arie ai concertati), sia dal punto di vista drammaturgico (il classico triangolo formato da un soprano e un tenore che si amano e vengono ostacolati dai sotterfugi di un baritono geloso). Allo stesso tempo però, la vicenda è immersa nella cultura russa del Cinquecento, con il suo folklore ben espresso in cori e canti popolari e la sua precisa impronta politica che ha al suo vertice lo spietato zar Ivan il Terribile, mai in scena ma costantemente presente e dominante.
Un’opera avvincente e musicalmente trascinante, rappresentata spessissimo in Russia ma davvero troppo di rado in Italia, ed è un peccato.
Per la prima volta a Milano, “Una sposa per lo zar” va in scena al Teatro alla Scala in coproduzione con la Straatoper di Berlino per la regia di Dmitri Tcherniakov, che incontriamo nuovamente al Piermarini dopo la sua Traviata inaugurale, per chi scrive piuttosto deludente. Che lasci pure a noi il buon Verdi, ma mettetegli tra le mani capolavori della sua madre patria ed estrarrà dal cilindro soluzioni straordinarie. Tcherniakov vede nell’opera di Rimskij-Korsakov un fil rouge di straordinaria contemporaneità e decide di evidenziarlo con schiettezza. Quello zar spietato, protagonista del contesto storico originale, che organizza un corpo monastico-militare – l’opričnina  – per mantenere ed affermare con la violenza il suo dominio assoluto, viene riletto in chiave moderna cercando una situazione assimilabile ai giorni nostri. Si chiede il regista: “Quale potere, oggi, può influire su di noi in modo così ineluttabile e aggressivo come il potere dell’opričnina nel XVI secolo? Chi potrebbe, ai nostri giorni, corrispondere alla figura dello zar? E chi guida i nostri destini e le nostre passioni?” (Tratto dalle note di regia tradotte dal programma di sala tedesco dello scorso ottobre). La risposta di Tcherniakov è acuta e interessante: i mass media. Di questi sceglie la televisione, il medium che probabilmente più di tutti entra nelle nostre case e servendosi dell’impatto visivo diventa per noi come una finestra sul mondo, ma non altrettanto trasparente. Una sorta di filtro che si interpone tra noi e la realtà, manipolandola secondo il volere di chi questo medium lo governa. E chi sono quei malefici burattinai che stanno dietro tutto questo? Il regista li identifica con gli opričniki, che dai guerrieri della vicenda originale si trasformano in dirigenti televisivi. E così il contesto in cui si svolge l’azione si trasforma anch’esso in studios in piena regola, con tutti gli operatori e l’attrezzatura necessaria: giornalisti, fotografi, registi, presentatrici, tecnici, telecamere, microfoni, cavi, luci artificiali, still life verdi, sale da riunione, computer, telefoni, schermi enormi. Le scene sono iperrealistiche e davvero ben realizzate, firmate dallo stesso Tcherniakov che pensa ad un’enorme piattaforma girevole per consentire rapidi cambi scena. Lo studio televisivo compare nel primo e nell’ultimo atto, mentre nel secondo e nel terzo ci troviamo a spiare dall’esterno Casa Sobakin attraverso una grande finestra. All’interno vediamo il salotto di una normale abitazione con tappezzeria fiorata, poltrone bianche e, naturalmente, un grande televisore al plasma che dal punto di vista spaziale e di significato sta al centro della stanza e della vita di tutti.
E in questa grande metafora del potere, che ruolo assume Ivan il Terribile? Tcherniakov fa di lui un prodotto mediatico assolutamente virtuale: quella presenza incombente nel libretto, assoluta e mai manifesta, immateriale…diventa così immateriale da non esistere del tutto. Sono gli opričniki a creare un ipotetico zar, come vediamo chiaramente nel video proiettato durante l’overture, in cui grazie a potenti software gli operatori uniscono i tratti somatici di sovrani, politici e dittatori russi (riconosciamo, tra gli altri, lo stesso Ivan, Troskij e Stalin) per generare questa figura perfetta, evanescente e misteriosa. Successivamente, per dare credibilità al tutto, nonché un po’ di cronaca e gossip al popolo credulone, decidono di affiancare allo zar inesistente una zarina in carne ed ossa. Sempre durante l’overture assistiamo ad una chat istantanea tra due dirigenti che si accordano su questo punto, aprendo schede di diverse ragazze e individuando in Marfa la zarina perfetta. La scelta della futura moglie da parte del sovrano cui assistiamo nel terzo atto è tutta una messa in scena, ed è impostata quasi come un casting per ragazze immagine, di cui vedremo le sorridenti gigantografie scorrere una per una su uno schermo gigante, nonché nella tv installata nel salotto di Sobakin. E’ tutta finzione, è tutto già scritto e il pubblico subisce passivamente la costruzione di una realtà pilotata, muovendosi impotente come una pedina inanimata. Viene mostrato ciò che vuol essere mostrato, selezionato, manipolato, comunicato a piacimento per far credere ciò che è meglio che il popolo, passivo e ignorante, creda. Ed è così che la tragedia finale dell’intreccio amoroso (anche questo come sempre attuale, essendo le passioni umane universali ed eterne) viene abilmente censurata: è necessario fare in modo che il popolo non veda le vittime del sistema e la follia di Marfa, che dagli schermi non appare sofferente, ma serena e sorridente davanti alle telecamere come una disinvolta first lady. Marshall McLuhan, il più illustre studioso del fenomeno mass media, scriveva nel suo saggio Gli strumenti del comunicare: “Archimede disse una volta: «Datemi un punto d’appoggio e solleverò il mondo». Oggi avrebbe indicato i nostri media elettrici dicendo: «M’appoggerò ai vostri occhi, ai vostri orecchi, ai vostri nervi e al vostro cervello, e il mondo si sposterà al ritmo e nella direzione che sceglierò io»”. Ecco il nocciolo di questa grande metafora registica e di questa messa in scena avvincente e intrisa di significato, da vedere e rivedere.
Non è da meno la resa musicale, grazie all’ottima prestazione dei cantanti in scena e dell’Orchestra della Scala, diretta magistralmente da Daniel Barenboim. La sua lettura è a fuoco, precisa e decisa, efficace in tutte le sfumature in una gamma che va dagli impulsi lugubri dell’overture agli spensierati squarci lirici riservati alla protagonista Marfa. Il Maestro riesce perfettamente a valorizzare una partitura già di per sé suggestiva e trascinante, calcando con particolare enfasi sulle tinte fosche e scure, quasi a sottolineare quel velo inquietante che ricopre l’intera opera. Apprezzabilissimo anche lo stacco dei tempi, più incalzante che dilatato, che trasporta lo spettatore e lo lascia in apnea durante tutto l’incedere impietoso della tragedia.
Eccezionale anche la performance del cast vocale nel suo complesso, con al vertice la prova maiuscola dei due principali personaggi femminili. Olga Peretyatko (Marfa) convince da subito grazie ad una vocalità morbida e pulita totalmente in linea con l’essenza innocente della giovane protagonista. Sorridente e spensierata, interpreta la futura zarina sventurata con luminosa dolcezza, fin dall’aria di sortita “A Novgorod vivevamo vicini” in cui confida alla sua amica Dunjaša come nacque l’amore con il suo Lykov. L’atmosfera cambia con lo svilupparsi della tragedia, quando i suoi sogni vengono distrutti dal capriccio dello zar virtuale che individua in lei la futura moglie. Le sue speranze d’amore si trasformano in un incubo che esplode nella grande scena della pazzia del quarto atto, richiamando eroine folli di memoria donizettiana o belliniana. Una Marfa intensa, smarrita, disperata, in un’interpretazione drammaticamente reale grazie all’indiscussa padronanza vocale e alle spiccate doti attoriali. Così la vediamo barcollante in preda all’illusione di scorgere l’amato perduto, per poi riaversi e accorgersi della cruda realtà, nella sua pietosa condizione di vittima sacrificale schiacciata da un sistema cieco e spietato. Una sofferenza imposta e inevitabile che non risparmia in fondo nessun altro personaggio, a cominciare dalla Ljubaša interpretata da una Marina Prudenskaya in gran spolvero. Donna sola e amante tradita in cerca di vendetta: un personaggio complesso e affascinante che il mezzosoprano russo ha saputo impersonare con poliedrica intensità, sia sul fronte scenico che su quello vocale. Se ne può apprezzare la bella voce brunita in particolare nella famosa Canzone a cappella “Presto, presto, o madre cara” che risuona in tutta la sala facendo sfoggio di gran volume ed impeccabile intonazione nonostante la difficoltà di questa pagina. Disperata nel primo duetto con Grjaznoj, infiammata mentre medita vendetta sotto la finestra di Marfa, risoluta nel duetto con Bomelij: la bravura della Prudenskaya sta nel riuscire a rimanere sempre in bilico tra la rabbia e la desolazione, chiave di lettura perfetta per entrare appieno in questo ruolo.
Si difende bene anche il comparto maschile, capeggiato dal Grjaznoj di Johannes Martin Kränzle, ottimo baritono forse perfettibile quanto a tecnica vocale, ma attore di altissima levatura che mantiene il personaggio credibile e magnetico per tutto il corso dell’opera. Il fedifrago opričnik è un altro personaggio assai tormentato, il cui amore per la giovane Marfa è significativo nell’intreccio sentimentale dell’opera e innesca le reazioni a catena che – pur sempre con l’invisibile mano dello zar come arbitro assoluto – conduce al tragico finale. Pavel Čhernoch ha tutto sommato convinto nel ruolo di Lykov, forte di una bella voce tenorile inficiata solo talvolta dall’eccessivo impeto del cantante, ma che si è dimostrata gradevolmente soave e ben gestita nell’aria dell’atto III “Le nubi tempestose sono sparite”. Convincenti anche il mefistofelico Bomelij di Stephan Rügamer e il freddo opričnik Maljuta di Tobias Schabel.
Buona anche la prova di Anatoli Kotscherga, e anche se la voce soffre ora di una certa usura, il suo Sobakin è ancora di tutto rispetto. Di voce sfiorita si può parlare anche per la settantatreenne Anna Tomowa-Sintow, applaudita con entusiasmo forse più per cordiale affetto verso questo grande nome che per la sua effettiva prestazione nei panni di Domna Saburova. Contributi soddisfacenti anche da parte di Anna Lapkovskaja (Dunjaša) e Carola Höhn (Petrovna), fino ad arrivare all’affidabile trio di comprimariato (Guillermo Bussolini, Stefania Giannì, Massimiliano Di Fino).
Il coro diretto da Bruno Casoni non sbaglia un colpo, e ancora una volta ci rende partecipi di una prova eccellente nonostante l’apparente ostacolo della lingua, disimpegnandosi con facilità nei bei pezzi d’insieme che impreziosiscono la partitura (peccato per il taglio brutale sulla Danza con coro “Il luppolo selvatico” che non abbiamo avuto il piacere di ascoltare). Alla fine il pubblico ha tributato un meritato successo a tutti gli artisti, con particolare entusiasmo riservato a Prudenskaya, Peretyatko e Kränzle. Ovazioni anche per il Maestro Barenboim, che ha riportato ripetutamente alla ribalta tutto il cast generando applausi interminabili. Ci si chiede se anche questa sera fosse uscito il regista come avrebbe reagito il pubblico: stando ai commenti fuori dal teatro e nel foyer, si sarebbe probabilmente diviso nettamente tra entusiasti e nostalgici delusi. Perché vedere sempre nel nuovo il male a priori?Foto  Brescia/Amisano © Teatro alla Scala