Una triste notizia ha accompagnato il risveglio degli appassionati di lirica, la scomparsa nella notte del tenore toscano Renato Cioni. Nato a Portoferraio sull’Isola d’Elba il 15 aprile 1929 da una famiglia di modeste origini mostra fin da bambino una naturale predisposizione per il canto. La svolta decisiva della sua vita avviene quando una zia residente a Chiusi lo accompagna a Firenze facendolo ascoltare dal maestro Tito Petralia, allora direttore dell’EIAR, che resta impressionato dalle doti del ragazzo e comincia a farlo studiare regolarmente al Conservatorio Cherubini di Firenze.
Nel 1956 vince il concorso “Adriano Belli” organizzato dal Teatro Sperimentale di Spoleto e nello stesso anno debutta nella città umbra come Edgardo nella “Lucia di Lammermoor”. Nello stesso anno si rivela al grande pubblico interpretando Pinkerton in una trasposizione televisiva della “Madama Butterfly” pucciniana al fianco di Anno Moffo dove oltre alle buone doti come cantante sfoggia un’invidiabile presenza scenica che colpisce l’attenzione di pubblico e registi.
Cioni comincia a cantare regolarmente sui maggiori palcoscenici italiani ed europei e nel 1959 debutta negli Stati Uniti. Al 1961 risale il debutto scaligero sempre come Pinkerton. Negli stessi anni conosce a Bruxelles Franco Zeffirelli che avrà un ruolo non secondario nella sua carriera. Sarà infatti il regista toscano a volerlo nel 1964 a Londra come Cavaradossi in occasione di una delle ultime recite sceniche di Maria Callas e ancora lui a insistere per averlo allo Scala nel 1964 per “La traviata” diretta da Herbert von Karajan. Ma soprattutto fu Zeffirelli a chiamarlo per una “Lucia di Lammermoor” veneziana al fianco di Joan Sutherland, la necessità di avere un partner fisicamente prestante da affiancare alla cantante australiana, particolarmente alta, spinse Zeffirelli a puntare su Cioni che con i suoi quasi due metri di statura risultava perfetto per il confronto. Quello spettacolo segna l’inizio di una proficua collaborazione che porterà all’incisione Decca dove i due saranno diretti da John Pritchard (1961), esecuzione esemplare per valutare i meriti del tenore che sfoggia un bellissimo timbro da autentico tenore belcantista che compensa qualche difficoltà in acuto che ha sempre accompagnato la sua carriera e una naturale morbidezza e luminosità di canto.
Sempre nel 1961 e sempre per la Decca incide “Rigoletto” questa volta con la direzione di Nino Sanzogno ancora al fianco della Sutherland. Se l’esplosione del fenomeno Pavarotti segnerà la fine della collaborazione discografica questa continuerà in teatro e sempre al fianco della cantante australiana Cioni debutterà nel 1970 a Metropolitan come Pollione in Norma. Negli anni 60-70 Cioni si esibisce regolarmente sui maggiori palcoscenici cimentandosi in un repertorio molto vasto e poliedrico in cui al fianco dei grandi ruoli per tenore lirico del repertorio ottocentesco e primo novecentesco si affiancano titoli più rari, all’epoca in fase di riscoperta come “La straniera” di Bellini nel 1968 a Palermo al fianco di Renata Scotto e un significativo impegno nella produzione moderna e contemporanea: “Assunta Spina” di Franco Langella, “Lucrezia” di Ottorino Respighi, “L’uomo più importante” di Giancarlo Menotti cui vanno aggiunte le incisioni eseguite con i complessi della Rai di “Don Ciccio” di Ottorino Gentilucci e “Daphni” di Giuseppe Mulè.
Terminata la carriera si era ritirato a vita privata con la moglie Loretta che gli è stata accanto per oltre quaratan’anni di vita comune, i famigliari e gli amici. Persona schiva e riservata era stato colpevolmente dimenticato dallo stesso mondo musicale e aveva sofferto per questo immeritato oblio. Mi sembrava per questo ancor più giusto ricordarlo in questo triste giorno augurandosi che la sua arte possa essere riscoperta da tanti appassionati, soprattutto quelli più giovani, che ancora non lo conoscono.