Russian Arias for Bass – Brani da: “Aleko” (Rachmaninov), “Ruslan y Ludmila”, “Žizn’ za carja” (Glinka), “Demon” (Rubinstein), “Knjaž Igor” (Borodin), “Evgenij Onegin”, “Iolanta” (Čajkovškij), “Vojna i mir” (Prokof’ev), “Sadko” (Rimskij-Korsakov), “Boris Godunov (Musorgskij). Kaunas City Symphony Orchestra, Kaunas State Choir. Constantine Orbelian (direttore). T.Time:66′.49″ 1 CD DELOS DE3456
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Il basso Ildar Abdrazakov è sicuramente uno dei cantanti più interessanti presenti oggi sulla scena internazionale e forse la più significativa voce di basso quanto riguarda il repertorio italiano – specie verdiano – e quello russo. Nonostante la giovane età – Abdrazakov è nato ad Ufa nella regione degli Urali meridionali nel 1976 – in questi anni ha già conquistato i maggiori palcoscenici internazionali e affrontato i ruoli più prestigiosi scritti per la sua corda vocale, il pubblico italiano lo ricorderà soprattutto per il “Moïse et Pharaon” scaligero con la direzione di Riccardo Muti o per il “Don Carlo” torinese diretto da Gianandrea Noseda, uno dei momenti culminanti delle celebrazioni verdiane del 2013.
Arriva ora per l’etichetta Delos il primo recital discografico, interamente dedicato al repertorio russo. Il titolo “Power players” è per altro abbastanza ingannevole, se le dinamiche e le tragedie del potere sono un elemento frequente nell’opera russa i brani scelti non sono tutti connotati in tal senso – e si nota la totale assenza di un’opera politica per definizione come “Chovanščina” – trattandosi piuttosto di una selezione delle arie più note e amate per basso del repertorio russo otto – novecentesco.
Il cantante è accompagnato per l’occasione dai complessi della città lituana di Kaunas – la Kaunas City Symphony Orchestra e il Kaunas State Choir – che forniscono una prestazione di solida professionalità ma priva di particolari slanci ed in alcuni momenti si nota l’assenza di una maggior brillantezza e presenza sonora tanto più che la direzione di Constantine Orbelian presenta non solo grande proprietà stilistica ma apprezzabili doti di cantabilità e espressività che emergono maggiormente nei brani lirici dove l’orchestra riesce a seguirlo al meglio mentre in quelli più drammatici in cui le masse orchestrali sono chiamate a maggior impegno resta come un’ombra di incompiutezza.
Il recital si apre con la cavatina di Aleko “Ves’tabar spit…” dall’omonima opera di Rachmaninov. Pur scritta originariamente per baritono, l’aria – in virtù della tessitura sostanzialmente medio grave – è stata da sempre affrontata anche dai grandi bassi di scuola slava e Abdrazakov si inserisce al meglio in questa tradizione fornendone un’interpretazione più che convince specie nel registro acuto sicuro e squillante. Di particolare interesse i due successivi estratti da “Ruslan y Ludmila” il capolavoro fiabesco di Glinka dall’omonimo poema di Puškin caratterizzato da moduli vocali di pretta matrice italiana. La significativa frequentazione del repertorio belcantista da parte di Abdrazakov lo rende interprete ideale per la musica di Glinka riuscendo a far convivere la dimensione espressiva e stilista di matrice nazionale con le forme vocali derivate dall’Italia. La grande scena di Ruslan “O pole, o pole” è un autentico banco di prova per il cantante sia sul piano vocale per la tessitura decisamente acuta della parte sia per le differenze espressive che la caratterizzano. La prima parte “O pole, o pole” è un ampio arioso con la voce che si dipana su una scrittura orchestrale molto ricca non immemore della lezione di Weber in cui la descrizione della desolazione del campo di battaglia si unisce all’intensità della preghiera che il giovane eroe rivolge a Perun – il sommo Dio del pantheon slavo. Sezione che Abdrazakov regge con facilità – al più si può percepire qualche piccola durezza in acuto – dominando le masse orchestrali e facendo valere una dizione scandita e solenne ma ad un certo punto – dopo che l’intervento del Dio ha rivelato la collocazione della spada magica necessaria per compiere l’impresa – l’arioso si trasforma in un’autentica cabaletta “Dai, Perun, bulatnyi mech…” in cui lo slancio vocale deve esprimere la determinazione di Ruslan che il pensiero di Ludmila e la protezione divina rendono ormai certo del successo e qui Abdrazakov può far valere la sua conoscenza del belcanto italiano superando con sicurezza i passi di coloratura – non estremi ma comunque presenti – e scandendo con assoluta efficacia il ritmo crescente del brano. Se la grande scena di Ruslan appare caratterizzata da moduli stilistici ed espressivi diversi il rondò di Farlaf “Ya ves’drozhu” ci porta pienamente nel campo dell’opera buffa italiana; questo vichingo pavido e fanfarone si esprime infatti con virtuosistici sillabati di pretta derivazione rossiniana che forniscono ad Abdrazakov la piena possibilità di far valere le proprie doti di belcantista e una naturalezza con questo tipo di vocalità non così frequente fra i cantanti di aria slava.
Dal “Knjaž Igor” (“Il principe Igor”) di Borodin è presentata la prima aria del protagonista “Ni sna ne otdykha” e se si può nutrire qualche dubbio su come la voce di Abdrazakov possa rendere in scena un ruolo pensato per baritono in modo da segnare un netto distacco anche timbrico fra l’eroismo magari ingenuo ma sincero del principe e la diversa negatività dei suoi antagonisti – il barbaro Khan Konchak e il subdolo traditore Galitskij – affidati ad autentici bassi resta il fatto che al semplice ascolto discografico non si può non restare ammirati da una voce così ampia e sonora e da un accento così nobile e intenso senza dimenticare la facilità con cui viene affrontata una tessitura decisamente molto acuta per una voce di basso.
La successiva serie di arie di carattere essenzialmente lirico e malinconico fornisce forse meno spunti di riflessione ma all’ascolto conferma la bellezza vocale e l’intensità espressiva del canto di Abdrazakov sempre grande nobiltà e intensità e dove emerge una voce di bellissimo colore e grande omogeneità con un perfetto controllo del fiato e acuti timbrati e squillanti. Pagine come l’aria del Demone dall’omonima opera di Anton Rubinstein, quella celeberrima del principe Gremin dall”Evgenij Onegin” di Čajkovškij o la melanconica meditazione del Feldmaresciallo Kutuzov “Velichavaya v solnechnykh” da “Vojna i mir” (“Guerra e pace”) di S. Prokof’ev esaltano al meglio le doti del cantante. Per certi versi sorprendente l’aria del Re Renato in “Iolanta” dello stesso Čajkovškij pagina da autentico basso profondo che impegna spesso il cantante nel settore più grave della voce è per la quale Abdrazakov trova uno spessore vocale quasi inatteso per una voce come la sua sostanzialmente da basso-baritono mentre per l’aria di Ivan Susanin da “Žizn’ za carja” (“Una vita per lo Zar”) di Glinka valgono le considerazioni fatte per “Ruslan y Ludmila” anche se l’andamento è più declamato e meno aperto a stilemi di matrice italiana.
L’aria del mercante variago “A skaly groznyie drab’atsa” da “Sadko” di Nikolaj Rimskij-Korsakov invece non raggiunge pienamente l’effetto desiderato principalmente per l’accompagnamento orchestrale privo di quella grandiosità con cui l’orchestrazione rimskijana evoca le tempeste del grande Nord e lo stesso cantante sembra non riuscire ad esprimere al meglio le proprie possibilità soprattutto sul piano espressivo.
Infine sono presenti due estratti dal “Boris Godunov” di Musorgskij opera simbolo della tradizione musicale russa. Dell’opera sono presentati due brani di carattere molto diverso, la canzone di Kazan cantata da Varlaam “Kak vo gorode bylo vo Kazane” di taglio decisamente folklorico e la grande scena dell’incoronazione con coro ed è ovviamente questo brano – posto in chiusura del CD – a suscitare maggiore interesse. L’approccio di Abdrazakov è decisamente interessante, il cantante cerca infatti già in questo punto una lettura più sfumata del personaggio evitando di puntare solo sulla ieratica sontuosità; il Boris di Abdrazakov non si presenta tanto come un’epifania della regalità divina ma come un sovrano profondamente umano, il cantante rinuncia ad una declamazione aspra e scandita – come vorrebbe una certa tradizione russa – e la sostituisce con un canto legato, di grande morbidezza e intensità che trasmette l’idea di un sovrano illuminato, affettuoso con il suo popolo e attento ai suoi bisogni in ultima analisi quello che Boris vorrebbe essere e che la storia gli impedirà. Sicuramente un personaggio tanto complesso richiede di essere ancora approfondito ma quanto si ascolta sembra indicare in Abdrazakov un interprete di prima importanza per la parte già nel prossimo futuro ed è un vero peccato che il Coro di Stato di Kaunas risulti troppo povero di suono e di slancio per dare piena riuscita alla pagina nel suo complesso.