Catania, Teatro Massimo Bellini, Stagione Sinfonica 2013/2014
Trio di Parma
Violino Ivan Rabaglia
Violoncello Enrico Bronzi
Pianoforte Alberto Miodini
Franz Schubert: Adagio in mi bem. magg. “Notturno”per violino, violoncello e pianoforte, D. 897, op. 148; Trio n. 1 in si bem. magg., D. 898, op. 99
Felix Mendelssohn-Bartholdy: Trio n. 1 in re min. per pianoforte, violino e violoncello, op. 49
Catania, 7 marzo 2014
Se è vero, come dice l’adagio popolare, che la perfezione non è di questa terra, il trio di Parma vi si avvicina moltissimo, e ne ha dato ampia prova nel concerto tenuto al Teatro Massimo di Catania, nella austera stagione sinfonica ridotta da tempo alla sola componente di recitals. Onore al merito artistico: Alberto Miodini al pianoforte, Ivan Rabaglia al violino ( un Guadagnini del 1744) ed Enrico Bronzi al violoncello hanno raggiunto i vertici dell’espressione musicale. Assoluta padronanza tecnica, perspicua espressione dei sentimenti romantici, incredibile reciproco accordo conservato senza necessità di sguardi di intesa o di scambievoli cenni. Ovviamente sono tre solisti che partecipano delle medesime emozioni ed esprimono la medesima partitura senza artifizi concertistici. Ognuno segue la propria ispirazione e quando il canto di uno strumento completa una frase, l’altro la riprende, la amplia, la varia. Quel che normalmente accade in un dialogo tra persone sagge che non hanno bisogno di concordare quando l’uno debba cedere la parola all’altro o dove sia possibile sovrapporre armonicamente le voci.
Il Notturno op. 148 e il trio op. 99 di Schubert (1827-1836), il trio di Mendelssohn Bartholdy, op. 49 (1836) hanno un empito di passioni così intenso che rapiscono gli interpreti per primi e dopo di loro tutto l’uditorio: sono tre protagonisti, anzi cinque, perché agli stupendi interpreti si aggiungono i due compositori che sembrava stessero rivivendo in diretta le loro appassionate creazioni. Il fuori programma richiesto con calorosi applausi è stato il degno coronamento della serata, trattandosi de una Dumka ucraina di Dvořák (1891), in cui l’autore moravo riprese manifestamente i temi popolari, la festosa irruenza della vita campagnola. Dalle raffinate elegie strumentali alle danze allegre dei paesani. Tutto è musica. Il pubblico è rimasto vivamente commosso dalla perizia e dalla varietà stilistica dei Maestri. E, in questi mesi di magra musicale ha compreso – e queste considerazioni ripeteva a conclusione della serata, siglata con sorridente simpatia dal personale di sala – che queste occasioni, di musica purissima, vanno tenute care, devono essere gelosamente conservate, perché sono uno dei pochi forti soccorsi che ancora ci salvano dalla barbarie oscurantista verso cui l’ignoranza chiassosa di alcuni sembra voglia fare sprofondare il Paese: verso la “Grande Schifezza”.