Catania, Teatro Massimo Bellini, Stagione Sinfonica 2013/2014
Arpista Marie-Pierre Langlamet
Wolfganga Amadeus Mozart: Sonata in fa magg. K. 332 (arrang. M.P. Langlamet)
Pierre Houdy: Sonata per arpa
Germaine Tailleferre: Sonata per arpa
Reinhold Glière:Impromptu per arpa
Franz Schubert:Quattro improvvisi, D. 899, op. 90 2 – in mi bem. magg. 3; in sol bem. magg. 4; in la bem. magg. (arrang. M.P. Langlamet)
Jean Cras: Due improvvisi
Catania, 28 febbraio 2014
Marie-Pierre Langlamet, la giovane arpista francese che ha tenuto un applaudito recital per la stagione sinfonica del Teatro Massimo venerdì scorso, è una artista di sicuro talento e di piena padronanza tecnica. Con la sua arpa segue i minimi dettagli della connazionale Germaine Tailleferre (1892-1983: faceva parte dei Six parigini), Pierick Houdy (maestro nobile della musica francese attuale), di Jean Cras (1879-1932), dalla tavolozza chiaramente impressionistica; di Reinhold Glière (1875-1956 ) che fu cantore dei ritmi e delle melodie dell’Azerbaigian: ognuno di questi compositori, nella sua interpretazione, ha ricevuto il dovuto lustro di toni e sfumature, in una antologia di stili quanto mai variegati, abbracciando sperimentazioni e colorazioni delle più diverse ispirazioni, tra Occidente e Oriente. L’artista si è misurata anche con la mozartiana sonata K 332 (da lei stessa arrangiata), concepita in origine per pianoforte (1778) che sulle più dolci risonanze dell’arpa eolica ha acquistato una ombreggiatura più preziosa di quella che i tocchi netti del pianoforte rifiutano. Ed è parimenti sua la trascrizione dei quattro improvvisi schubertiani dell’op. 90 (1827). Trascrizioni tutte assai “musicali” che nella loro traduzione su altre corde conservano l’ispirazione romantica e vi aggiungono sfumature sentimentali di remota risonanza. L’artista, tra l’altro, ad ogni brano accordava la tensione della sua arpa benissimo temperata. Insomma una maestria tecnica che ammette pochi paragoni e una competenza musicologica di primo piano. Gli applausi del pubblico sono stati prolungati. Ma la musica oltre la tecnica e la sapienza stilistica, comporta l’ispirazione: che non si studia sugli spartiti, antichi o moderni che siano, ma si avverte, impalpabile nell’aria e nel muto dialogo che si instaura tra chi trae le note dalle corde e lo trasferisce nell’anima di chi ascolta. E questo dialogo in questa serata era molto attutito. Forse perché l’artista ha evitato i maestri barocchi (del barocco francese) che massimamente hanno contribuito alla letteratura bucolica di tutti i tempi che meglio si sposa con le capacità espressive dell’arpa? Forse perché l’arpa fornisce il meglio quando emerge da un coro orchestrale? Difficile dare una risposta certa, ma sta di fatto che l’artista, con tutta la sua maestria tecnica sarebbe stata la magnifica protagonista di una serata di musica sentimentale, e non soltanto la applaudita virtuosa di una antologia, sapiente e sceltissima di brani di non comune frequentazione o aggregati alla locandina usando qualche forzatura ai compositori originali.