Milano, Teatro alla Scala – Recital di canto 2013/2014
Basso, Ferruccio Furlanetto
Pianoforte, Igor Tchetuev
Franz Schubert: “Winterreise”, op. 89 D 911 (Viaggio d’inverno)
Ciclo liederistico su liriche di Wilhelm Müller
Milano, 3 marzo 2014
Non è trascorso neppure un anno (era il 5 aprile 2013) da quando al Teatro alla Scala è risuonato il ciclo schubertiano della Winterreise, che ora torna per inaugurare la stagione 2013-2014 dei Recital di canto. Sembra quasi fatto apposta perché il pubblico confronti le due esecuzioni, l’ultima di Matthias Goerne e quella attuale di Ferruccio Furlanetto; in realtà non c’è dubbio che la scelta di programmazione sia piuttosto discutibile, e per almeno due motivi. La vicinanza cronologica di due serate vocali dall’identico programma ha infatti indotto buona parte del pubblico a disertare il teatro (il che è sempre un peccato): decine di palchi e circa un terzo della platea restano vuoti. Il protagonista, in secondo luogo, è sì un cantante di comprovata capacità e fama, ma il repertorio previsto si può difficilmente definire a lui congeniale, anche se negli ultimi anni ha profuso in esso molte energie.
Furlanetto ha debuttato alla Scala nel maggio 1979, doppiando Nicolai Ghiaurov come Banco nel famoso Macbeth diretto da Claudio Abbado con la regia di Giorgio Strehler; nell’aprile 2010 ha sostenuto il suo ultimo ruolo operistico, come Jacopo Fiesco nel Simon Boccanegra diretto da Daniel Barenboim. Una carriera scaligera di tutto riguardo, forse culminata con il Boris Godunov del 2002 diretto da Valerij Gergiev, che gli vale il plauso rispettoso e affettuoso del pubblico, sia all’ingresso sia al termine del concerto.
Attacca il primo Lied del ciclo, Gute Nacht (Buona notte), e sembra soltanto accennare: è un modo per entrare in punta di piedi nell’atmosfera vocale del Viaggio d’inverno. A differenza delle ultime prestazioni in ruoli melodrammatici, la voce non ha fortunatamente risonanze cavernose, anche se è povera di colori. Di conseguenza manca quell’espressività che i versi di Müller e la musica di Schubert continuamente richiedono. Il porgere vocale è senza dubbio garbato, ma nulla di più. A partire dal secondo tassello del mosaico (Die Wetterfahne, La banderuola) ci si rende conto che l’empito drammatico riesce più consono alla voce di Furlanetto, ma anche che l’opportunità espressiva è purtroppo stemperata in una costante monoritmicità. Per quanto riguarda la linea di canto nel suo complesso, nelle note basse Furlanetto sortisce l’effetto un po’ curioso di un Fafner che piange disperato (e il vibrato inizia a farsi sentire dal n. 3. Gefrorne Tränen, Lacrime di ghiaccio), mentre nei passaggi dolorosi in corrispondenza delle note acute la voce si apre con portamenti e fissità di discutibile effetto. Va però detto che la pronuncia del tedesco non solo è corretta, ma anche molto curata. In alcune messe di voce di Der Lindenbaum (Il tiglio, n. 5) affiora il sospetto che l’intonazione non sia del tutto impeccabile. Furlanetto non ha voce adatta al Lied schubertiano (nonostante l’annosa pratica in tale repertorio) non per il timbro della sua voce o per capacità interpretativa; quello e questa sono anzi più che plausibili (a parte l’indulgere a stucchevoli portamenti). Il motivo principale è l’incapacità di alleggerire il peso della voce di frase in frase: il cantante a volte accenna o canta sottovoce, ma non è la stessa cosa. La scelta di tempi tutti rilassati, inoltre, non aiuta a mantenere il coinvolgimento emotivo dell’ascoltatore. Anche a questo proposito occorre precisare: il problema non è il tempo lento, ma è la totale mancanza di variazioni ritmiche nel corso di tutta l’esecuzione; se il tempo resta metronomicamente identico, e se nella voce alligna la scarsità dei colori, il risultato inevitabile è la noia. Ed è un vero peccato, perché qualche cosa di buono nella prova di Furlanetto c’è, ed è il senso doloroso del viaggio invernale, è la solitudine angosciata del protagonista (appunto l’Einsamkeit del n. 12) a partire da una voce scabra, tagliente, profonda, che non nutre alcun compiacimento nei confronti della parola poetica.
Il melomane ama molto i confronti, e spesso dalle comparazioni trae alimento la sua stessa passione per il canto e per le voci: il canto di Furlanetto permette di notare come un interprete di scuola tedesca sublimi nella mezza voce e nel fraseggio (addirittura delle singole consonanti) gli affetti che scaturiscono dal testo poetico e musicale; l’interprete italiano, al contrario, tende a risolvere le richieste espressive con emissione più marcata, cioè con la voce che si apre verso l’alto (con risultati anche un po’ sopra le righe, come nel n. 18. Der stürmische Morgen, Mattina tempestosa, un po’ troppo gridato). Va riconosciuto a Furlanetto un grande studio del complesso ciclo, come conferma l’ottimo controllo vocale nello struggente n. 21 (Das Wirtshaus, L’osteria) o nell’impervio finale (n. 24. Der Leiermann, L’uomo dell’organetto: cantato veramente bene, anche se con tempo eccessivamente slentato). Il pubblico presente segue con intensa concentrazione i ventiquattro Lieder, eseguiti senza alcuna pausa; e alla fine tributa al basso applausi convinti e prolungati. Bravissimo il giovane Igor Tchetuev, pianista ucraino dal tocco veramente delicato, tutto al servizio della voce, abile nel differenziare i piani sonori e a creare quinte paesaggistiche in fuga prospettica, in termini di profondità del suono. Completa la sua sintonia con Furlanetto, di cui è l’accompagnatore d’elezione (anche alla Scala, dove si sono già esibiti insieme in un recital liederistico nel febbraio 2008: ma allora dominavano Rachmaninov e Musorgskij).Foto Marco Brescia © Teatro alla Scala