Torino, Teatro Regio, I Concerti 2013-2014
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Direttore Pinchas Steinberg
Maestro del Coro Claudio Fenoglio
Mezzosoprano Natascha Petrinsky
Sergej Prokof’ev: “Aleksandr Nevskij”, cantata per mezzosoprano, coro e orchestra op. 78
Pëtr Il’ič Čajkovskij: Sinfonia n. 4 in fa minore op. 36
Torino, 19 febbraio 2014
La sera del 19 febbraio 1914, sul palcoscenico del Teatro Regio di Torino aveva luogo la prima rappresentazione assoluta di Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai. L’opera è uno dei rari titoli di teatro musicale italiano del Novecento (Puccini escluso) ad aver avuto un duraturo successo di pubblico e una ricca prassi esecutiva; certo, il suo fascino, col passare dei decenni, è divenuto via via un po’ fané, ma non è mai totalmente scomparsa dalle scene, e non sono mancati, in tempi recenti, teatri italiani e stranieri (il Verdi di Salerno, l’Opéra di Monte-Carlo, l’Opéra di Parigi) che l’abbiano ripresa e valorizzata con interpreti di rilievo. Tutti, compresi coloro che, come il sottoscritto, non amano particolarmente il teatro musicale del Decadentismo, si attendevano come atto dovuto che, la sera del centenario, sul palcoscenico del Regio tornasse Francesca da Rimini, celebrata in grande stile con una produzione memorabile. Invece – che sia oblio della propria storia, che sia (come affermato dal sovrintendente Vergnano rispondendo a una domanda in conferenza stampa) una banale, ma forse ancor più preoccupante, motivazione economica: la Turandot in scena in queste settimane costa meno e, con undici recite esaurite, fa incassare molto di più al botteghino – a Torino, se non fosse per l’iniziativa di piccole realtà concertistiche e culturali, il centenario sarebbe passato sotto silenzio. Non bastano certo una buona produzione (già recensita da Giordano Cavagnino e dal sottoscritto) dell’ultimo titolo pucciniano, né un concerto raffinato e interessante di musica russa, per giustificare e scusare una mancanza di queste proporzioni; ma, reso a Cesare ciò che è di Cesare (nel caso: reso alla storia ciò che le compete), possiamo spendere alcune parole per raccontare quello che, sul palcoscenico del Regio, è avvenuto il 19 febbraio 2014. E, sicuramente, è avvenuto qualcosa di piacevole.
La cantata Aleksandr Nevskij costituisce uno di quei rari casi in cui la sala da concerto segue quella cinematografica e non viceversa: Prokof’ev la scrisse infatti nel 1938-39, rielaborando le musiche che egli stesso aveva composto per l’omonimo film di Sergej Ejzenštejn. Si tratta di un grande affresco di epica russa che nella sala del Regio, complici l’ottimo coro del teatro e la direzione curata e sensibile di Pinchas Steinberg, è suonato al tempo stesso maestoso e commovente. Nel primo episodio (La Russia sotto il giogo dei Mongoli) l’orchestra ha nitidamente delineato l’atmosfera desolata dell’oppressione, quindi, con l’ingresso del coro, nel secondo quadro (Canto di Aleksandr Nevskij) si è entrati nella dimensione dell’epos, caratterizzata prima dalla solennità religiosa, poi, nelle scene successive (I Cavalieri della Croce a Pskov e Sorgi, popolo russo), dalla contrapposizione tra le dissonanze e le asperità che individuano i nemici, la cui presenza è paragonata a un indebito artificio, e le melodie semplici, fondate su intervalli tipici della musica popolare, che tratteggiano la genuinità del popolo russo. Il quinto episodio (La battaglia sul ghiaccio) è un esempio di musica a programma in cui si percepisce il mondo del cinema che irrompe nell’orchestra classica sulle spoglie del poema sinfonico ottocentesco; la raffigurazione della battaglia, da parte dell’orchestra – sempre capace di valorizzare coi giusti colori le atmosfere suggerite dal compositore – è stata quanto mai vivida, sia nei tratti più brutali e ferini, sia nella stasi opaca che segue i combattimenti. Il passo solistico affidato al mezzosoprano (Il campo della morte) è un canto sconsolato, affidato alla voce calda e accorata di Natascha Petrinsky, in cui nuova forza etica sorge dallo spettacolo devastante del campo di battaglia coperto di vittime. Infine, la scena conclusiva (Ingresso di Aleksandr Nevskij in Pskov), con il ritorno dell’innodia epica, travolge in un’entusiasmante apoteosi esecutori e pubblico.
Un po’ meno travolgente ed entusiasmante è risultata, al paragone, la Sinfonia n. 4 di Čajkovskij. Il primo movimento di quest’opera rivela, fin dalle indicazioni agogiche (Andante sostenuto – Moderato con anima (in movimento di Valse) – Moderato assai, quasi Andante – Allegro con anima), una complessità che è difficile restituire con immediatezza all’ascoltatore; i momenti migliori sono stati i toccanti ritorni del tema di danza, mesto, lento e straniante, di sapore cameristico. E di sapore cameristico (anche dove sia prevista la piena orchestra) sono le pagine più geniali della sinfonia, dall’Andantino in modo di canzona – il cui tema, rimpallato senza che mai riesca a prendere il volo, disegna un’atmosfera di profonda oppressione, sia pure mascherata in un panno di velluto – allo Scherzo, con la fresca ma pungente ironia del suo pizzicato ostinato. La performance torinese ha valorizzato la straordinarietà dei movimenti centrali, molto curati nelle dinamiche e nelle atmosfere, mentre solo in parte è riuscita a dare coerenza alla materia sonora che sostanzia i grandi ensemble orchestrali dei movimenti estremi. Forse, nonostante la maggiore notorietà della sinfonia di Čajkovskij, sarebbe stato più efficace invertire l’ordine d’esecuzione dei brani in programma.