Roma, Auditorium “Parco della Musica”, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, stagione 2013-2014
Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Direttore Lorin Maazel
César Franck: Sinfonia in re minore
Ottorino Respighi: Fontane di Roma, Pini di Roma
Roma, 28 gennaio 2014
Dopo la splendida Nona di Beethoven regalataci nel dicembre del 2012, Lorin Maazel torna sul podio dell’Accademia di cui è socio onorario oramai dal lontano 1984. Il programma è abbastanza classico: la Sinfonia in re minore del francese César Franck e i due celebri poemi sinfonici che Ottorino Respighi dedicò a Roma, Fontane di Roma e Pini di Roma, tutti pezzi eseguiti all’ASC con una certa frequenza (la Sinfonia in re minore non si vedeva dal 1998, ma ha un’ininterrotta tradizione fin dal 1912 e può vantare le premure di Toscanini, De Sabata, Votto, Gui ecc.; stesso dicasi dei due poemi respighiani, ancor più amati e eseguiti).
La sezione più interessante del concerto è certamente quella dedicata a Respighi, beniamino di casa (è stato docente al Conservatorio di Santa Cecilia e suo direttore per diversi anni), di cui si eseguono i due famosi poemi sinfonici facenti parte della ‘Trilogia romana’: l’escluso dalla serata è Feste romane. Maazel è un sofisticato lettore di Respighi: infonde nei poemi una linfa tutta particolare, rendendo epocale quest’interpretazione (anzi, mi piacerebbe definirla addirittura storica). Maazel rende pienamente quell’ «estetismo crepuscolare o pagano» (Franco Serpa, dal programma di sala), l’autentica firma dei due poemi. Eseguendo Fontane di Roma (1916), indugia placido negli arabeschi cromatici dell’alba pastorale della fontana di Valle Giulia (forse una delle più belle albe mai musicate), passa festante attraverso la liquida orchestrazione della fontana berniniana del Tritone, arrivando al tripudio nella contemplazione della fontana di Trevi e concludendo placidamente nel tramonto sulla fontana di villa Medici: memorabile il clarinetto sul vapore orchestrale, che conclude, a mo’ di notturno, questo affresco in un’estasiante sordina. Il poema è di un estetismo decadente, orientaleggiante, che ha la sua matrice in modelli chiaramente ispiratori della fantasia respighiana: Debussy, Ravel e i grandi russi del ‘Gruppo dei cinque’ (Respighi, prima viola del Teatro Imperiale di San Pietroburgo, poté studiare con Rimskij-Korsakov). Di tutt’altra pasta la rutilante partitura del Pini di Roma: Maazel rende magnificamente i puerili giochi sotto i pini di Villa Borghese – riesce a far “sentire” gli sprazzi dei raggi solari; repentinamente si passa alla cupa austerità dei pini che fanno ombra alle catacombe, culminante in una preghiera orchestrale con una tromba retroscenica (l’effetto del suono è stupendo, mercé l’ottima acustica della sala); un intermezzo crepuscolare, un plenilunio sui pini del Gianicolo (un clarinetto sembra farsi eco sul velo dell’orchestra – qui Respighi svela il suo immenso debito alla musica di Puccini, ovviamente del Puccini romano di Tosca e, in particolare, dell’inizio del III atto), prepara il gran finale, la fantasia classicheggiante del trionfo diretto al Campidoglio, contemplato dai pini della via Appia, dove Maazel sfrena l’orchestra fino a toccare un poderoso fortissimo (flicornisti e trombettisti sono disposti lungo la ringhiera della galleria di fronte al palco). Una qualità straordinaria del Maazel lettore di Respighi è certo quella di saper scivolare da un bozzetto all’altro dei due poemi senza perdere la precipua caratterizzazione di ognuno: non c’è da stupirsi se Alberto Cantù annoverava tra i migliori interpreti contemporanei di Respighi proprio Maazel, accanto a Muti e Sinopoli.
La prima parte del concerto è dedicata alla poderosa, asimmetrica Sinfonia in re minore (1889) di Franck: un lavoro certo più ostico, una partitura anche all’ascolto più sfuggente dei Pini o delle Fontane, con cui condivide il carattere quasi di poema sinfonico. Maazel dirige saldo, quasi impassibile, l’enorme massa tematico-sonora che si dipana per i tre movimenti (Lento/Allegro non troppo – Allegretto – Allegro non troppo), ma a sensazione v’è immerso leggermente meno rispetto a quanto non lo sia in Respighi: ciò non inficia il controllo e la compattezza del suono, con attenzione a tutti i complessi giochi di rimandi tematici. I momenti migliori sono certamente lo splendido II movimento, dove i pizzicati di arpa e violini e la melodia slavizzata del corno inglese creano affreschi languidamente esotici, e il finale del III movimento, dove si abbandonano gli spettri malinconici che hanno percorso tutta la sinfonia.
Grandi applausi e un incontrastato amore del pubblico romano accompagnano l’uscita di Maazel, personalità geniale. Quel «God bless you» che Toscanini nel 1941 gli tributò dopo averlo ascoltato dirigere a soli undici anni – autentico enfant prodige, Maazel esordì nei panni di direttore d’orchestra, pensate, a soli nove anni! –, oggi, mentre si muove a fatica sul palco per il peso dell’età, e appare schivo agli applausi, ha trovato piena attuazione.