Dramma lirico su libretto di Antonio Piazza rielaborato da Temistocle Solera. Adrian Gans (Oberto), Francesca Lombardi Mazzulli (Leonora), Manuela Custer (Cuniza), Norman Reinhardt (Riccardo), Naroa Intxausti (Imelda). The Philarmonic Orchestra, direttore: Michael Hofstetter, Choir and Supplementary Choir of the Gießen Stadttheater. Registrazione Dicembre 2012. 2CD Ohems classics OC 959 – 2013
Atto primo – Atto secondo
Il bicentenario verdiano del 2013 è stata anche occasione per riportare l’attenzione su titoli meno frequentati del compositore emiliano ma non per questi privi di importanza storica e musicale. Fra questi “Oberto conte di San Bonifacio” ha sicuramente un ruolo centrale ed è stato oggetto di numerose riprese in vari teatri europei. Rappresentata alla Scala il 17 novembre del 1839 rappresenta il primo incontro di Verdi con il teatro musicale ma l’interesse non si riduce alla curiosità storica in quanto in “Oberto” è già possibile riconoscere i germi di quello che sarà il teatro verdiano successivo. Per quanto ovviamente dipendente dai modelli della maturità donizettiana l’opera infatti mostra come Verdi fosse a quel momento (aveva 26 anni) un compositore già dotato di buona maturità e autonomia compositiva e soprattutto in esso già si riconoscono elementi che diverranno una costante della produzione del maestro tanto sul piano musicale quanto e ancor più su quello drammaturgico, si pensi al ruolo centrale della paternità e delle sue degenerazioni, al tema del contrasto fra amor filiale e amore sentimentale, la centralità del sentimento d’onore tanto per fare alcuni esempi particolarmente eloquenti.
La casa discografica Ohems classics ha registrato la ripresa di questo titolo verdiano eseguita presso il teatro dell’opera di Gießen in Germania, incisioni di fronte alla quale ci si trova in un certo senso spaesati nell’esprimere un giudizio; se infatti si considera il prodotto come testimonianza di una recita in un teatro sostanzialmente di provincia e lontano dal prestigio dei maggiori teatri anche solo tedeschi non si può non riconoscere la bontà complessiva dell’operazione mentre se si tratta di analizzarla come prodotto discografico è innegabile che vengano maggiormente in evidenza gli aspetti lacunosi specie se confrontato con le limitate ma musicalmente interessanti registrazioni del medesimo titolo presenti sul mercato discografico. Punto di forza di questa registrazione è sicuramente la direzione di Michael Hofstetter, il giovane maestro tedesco fornisce infatti un’esecuzione più che convincente. Ben sostenuto dall’orchestra filarmonica cittadina – a conferma del livello medio decisamente alto delle compagini orchestrali tedesche anche lontano dalle piazze più prestigiose – Hofstetter opta per una lettura di grande interesse. Imprime alla vicenda un passo serrato, estremamente teatrale e privo di cadute di tensione che ben rende il carattere impetuoso e giovanile della partitura ma al contempo evita di appesantire troppo il suono orchestrale alla ricerca di una tinta “verdiana” ovviamente ancora lontana dell’essere compiuta in un lavoro così giovanile. Quindi la preferenza va ad un suono terso, cristallino e ad una tinta espressiva che non sacrifica la tensione ma la legge ancora secondo un gusto di pretta derivazione donizettiana piuttosto che cercare di anticipare impropriamente modi del Verdi più maturo. Scelte che hanno un ulteriore vantaggio nel venire maggiormente incontro ad un cast non certo caratterizzato da voci imponenti ed eroiche.
La direzione di Hofstetter avrebbe meritato migliore compagnia di canto rispetto a quella avuta a disposizione in quest’occasione. Nel ruolo del protagonista il basso statunitense Adrian Gans mostra un interessante materiale vocale e l’impressione che si ricava dall’ascolto è quella di una voce di grande presenza, sicuramente efficace sul vivo del palcoscenico. Pur non personalissima essa risulta di bel colore e significativa sonorità mentre nel settore acuto si evidenziano maggiori situazioni di sforzo dovuti alla tessitura ibrida del personaggio intermedia fra il basso e il baritono e in cui è evidente l’eco di certe figure donizettiane dall’analoga tipologia vocale che si può far risalire in ultima analisi ai ruoli scritti da Rossini per Filippo Galli (non a caso i maggiori interpreti moderni di Oberto da Ramey a Pertusi sono stati anche i maggiori specialisti dei ruoli Galli). La pronuncia italiana non è sempre chiarissima è questo risulta evidente non solo grande declamato d’entrata “Oh patria terra, alfin ti rivedo” ma anche in tutti quei momenti dove più stretto è il rapporto con la parola come la cabaletta del II atto “Ma tu, superbo giovane” in cui già compare in nuce quella che sarà la parola scenica verdiana. Mentre l’accento a tratti morchioso tende a dare del personaggio un aspetto troppo villain non totalmente confacente ad un personaggio magari ossessionato dalla smania di vendetta ma sempre caratterizzato da una nobiltà di fondo.
Se la prova di Gans da luogo a valutazioni contrastanti quella dei due giovani lascia spazio a maggiori perplessità. Francesca Lombardi Mazzulli non convince come Leonora. La scelta di offrire una lettura del personaggio più belcantista e legata ai precedenti donizettiani è di per se una scelta corretta ma si dovrebbe disporre di una cantante per voce e temperamento portata ai ruoli più drammatici della maturità del compositore bergamasco invece ci si trova di fronte ad una voce sostanzialmente lirica messa in grande difficoltà dalle grandi frasi declamate – spesso con forza – richieste dal personaggio di Leonora. Inoltre se il timbro è piacevole e la coloratura ben svolta il settore acuto tende a risultare fisso con risultati prossimi al fischio decisamente poco piacevoli specie nel caso di salite ripetute all’acuto come nella stretta del finale primo.
Il tenore Norman Reinhardt affronta la non facile parte di Riccardo di Salinguerra, figura interessante perché anch’essa destinata ad essere l’archetipo di una tipologia fra le più originali del teatro verdiano, quella del tenore usato per figure anti-eroiche e profondamente negative seppur con un velo di superficiale simpatia che troveranno nel Duca di Mantova del “Rigoletto” la più compiuta incarnazione. All’ascolto di Reinhardt non va purtroppo al di la di una generica correttezza. Il timbro è piacevole anche se non personalissima e gli acuti – pur dando sempre l’impressione di essere eccessivamente spinti – hanno uno squillo apprezzabile, l’interprete è però troppo generico e la mancanza di suono nel settore grave lo spinge a forzare rendendo troppo volgare la declamazione di certi frasi come si evidenzia in alcuni interventi nel quartetto del II atto. L’ascolto sembra inoltre indicare una voce povera di proiezione – in rapporto tanto con il coro quanto con gli altri protagonisti – anche se la mancanza di un ascolto teatrale impedisce di approfondire la sensazione.
In contrasto la prova del mezzosoprano Manuela Custer come Cuniza risulta molto più convincente. Certo la cantante novarese non dispone di un materiale vocale dell’imponenza di tante interpreti storiche del ruolo ma all’interno della lettura di Hofstetter questo non rappresenta un limite ma anzi permette un’interessante caratterizzazione del personaggio. Il timbro chiaro e luminoso contribuisce ad avvicinare Cuniza a certe figure di seconda donna del melodramma del primo Ottocento affidate per tradizione a mezzosoprani ma pensate originariamente per soprani corti diverse come estensione più che come timbro dai soprani primi (e per di più si tratta di figure giovanili, spesso più giovani della prima donna il che farebbe pensare ad un rapporto invertito sul piano timbrico). Una linea di canto di grande correttezza – sono nei punti più gravi della tessitura si rivela povera di suono – e un fraseggio attento e puntuale gli consentono di tratteggiare un personaggio di grande nobiltà e originalità espressiva. Completa il cast la spagnola Naroa Intxausti che affronta con corretta professionalità la breve parte di Imelda.