Franz Schubert: Winterreise (Viaggio d’inverno) D 911 op. 89. Raphaël Favre (tenore), André Fischer (chitarra). Registrazione: Temple de Corcelles (CH) 1-4 Agosto 2012. T.Time 68’21- 1 CD Stradivarius – STR 33981.
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Quando si pensa a una voce impegnata nelle liriche della Winterreise di Franz Schubert il primo nome storico che viene in mente è probabilmente quello di Dietrich Fischer-Dieskau; oggi forse s’impone quello di Matthias Goerne (che meno di un anno fa presentò il ciclo alla Scala, in un memorabile concerto), nella tradizione della voce maschile baritonale (o bassa) accompagnata da un pianista. Ascoltare dunque i versi di Wilhelm Müller intonati da un tenore, e per di più accompagnato dalla chitarra, potrebbe lasciare perplessi, a causa del duplice cambiamento di prospettiva sonora, sia vocale sia strumentale. Al contrario, il nuovo cd dell’etichetta Stradivarius in cui André Fischer e Raphaël Favre eseguono la trascrizione di Tilman Hoppstock è un prodotto molto gradevole, di ottimo gusto, di grande finezza esecutiva (e accresce il catalogo della casa discografica di un’altra versione della Winterreise, oltre alle decine che già può vantare). Basta ascoltare il primo celebre Lied dei ventiquattro della raccolta, Gute Nacht (Buona notte), per apprezzare la voce delicatissima di Favre – tenore chiaro ma dalla cavata robusta e dal timbro omogeneo – e la discrezione della chitarra di Fischer. All’inizio dell’ascolto, anzi, si è quasi più attratti dalla duttilità dello strumento che dal fraseggio del tenore, perché le trascrizione di Tilman Hoppstock e Masanobu Nishigaki differenziano voce e timbro della chitarra di Lied in Lied. Lo stesso Schubert si era lasciato affascinare, nel finale dell’opera, da sonorità ben diverse rispetto a quelle della tastiera, quando il protagonista del viaggio chiede all’uomo dell’organetto (Der Leiermann) «Vecchio misterioso, e se venissi con te? / Accompagneresti i miei canti col tuo organetto?». Dalla dolcezza “rossiniana” dell’avvio si trascorre così a sonorità madrigalistiche, ad accordi che rammentano un liuto di Dowland (come, per esempio, in Der Lindenbaum [Il tiglio] o nello struggente brano finale).
La migliore qualità dell’esecuzione consiste forse nell’omogeneità timbrica della voce di tenore e di quella della chitarra, che si armonizzano totalmente, senza far rimpiangere il supporto del pianoforte; entrambi gli artisti sono inoltre capaci di trascorrere dal tono più flebile al forte, senza mai prevaricare l’uno sull’altro. Convalidata la perizia dello strumentista, sarà opportuno soffermarsi sul cantante: Favre è tenore di origine svizzera, si è perfezionato con Christoph Prégardien ed è specializzato nel repertorio della musica sacra barocca, nel teatro musicale del Settecento e nel Lied romantico. La nobiltà della scuola interpretativa da cui proviene si percepisce dalla sensibilità con cui avvicina il testo poetico e le sue peculiarità espressive: ogni frase è cantata, ancor più che sulle note musicali, sulla semantica del lessico poetico, in maniera che le “parole-segnale” della silloge (la neve, le lacrime, il freddo, la strada, la brina, la notte, la tomba) siano sempre evidenziate da un’emissione vibrante di armonici, calorosa, elegiaca o speranzosa (come nel raro momento di distensione di Die Post [La posta]). Pur essendo un interprete affermato soprattutto nella musica antica, Favre non cede mai alla tentazione di cantare Schubert come se fosse Monteverdi o Palestrina (neppure l’ombra di messe di voce fisse o di portamenti); anche questo è un tratto d’intelligenza esecutiva che rende davvero pregevole il Viaggio d’inverno sorretto dalla chitarra. Comunque sia – viene spontaneo concludere -, con una voce e un’attenzione alle virtù letterarie e musicali come quelle di Favre, qualunque fosse lo strumento d’accompagnamento, il traguardo dell’iter sarebbe sempre luminoso e commovente.