“Elektra” al Teatro Petruzzelli di Bari

Bari, Teatro Petruzzelli, Stagione Lirica 2013/2014
“ELEKTRA”
Tragedia in un atto, libretto di Hugo Von Hoffmannsthal
Musica di Richard Strauss
Clitemnestra NATASCHA PETRINSKY
Elettra ELENA PANKRATOVA
Crisotemide ALEX PENDA
Egisto PETER BRONDER
Oreste  EGILS SILINS
Il precettore di Oreste GRAZIANO DE PACE
La confidente  FRANCESCA BICCHIERRI
L’ancella dello strascico  ROBERTA MANTEGNA
Un giovane servo  FRANCESCO CASTORO
Un servo anziano  VINCENZO SANTORO
La sorvegliante  MIRANDA KEYS
Prima ancella  KISMARA PESSATTI
Seconda ancella  SUSANNE KREUSCH
Terza ancella  DANIELA DENSCLAG
Quarta ancella SARA HERSHKOWITZ
Quinta ancella  EVA OLTIVANYI
Sei serve  TERESA CARICOLA, CATERINA DANIELE, GIULIANA DI MITRIO, STEFANIA LENOCI, ROBERTA SCALAVINO, ANNA SCHIAVULLI
Orchestra e Coro del Teatro Petruzzelli
Direttore Jonathan Nott
Maestro del Coro Franco Sebastiani
Regia Gianni Amelio
Scene Sergio Tramonti
Costumi Maurizio Millenotti
Disegno luci Pasquale Mari
Bari, 31 gennaio 2014 

Per festeggiare i 150 anni dalla nascita di Richard Strauss, il teatro Petruzzelli, dopo una recente (2011) e dibattuta Salome, offre alla città di Bari Elektra e ne affida la messinscena a Gianni Amelio. Il regista sceglie di declinare le suggestioni sofoclee, filtrate da Hoffmannsthal, in uno spazio simbolico di straordinaria potenza espressiva: una sorta di cava o di fabbrica dismessa. La sua idea di fondo – almeno quella che emerge dalla lettura dell’intervista contenuta nel libro di sala – mira, infatti, a una riappropriazione mediterranea della saga degli atridi, esplicitata, ad alzata di sipario, dalla trasformazione delle ancelle in coro di dolenti mogli abbandonate da mariti emigrati oltreoceano. Un mediterraneo, dunque, inteso come meridione italiano, tratteggiato con la stessa sensibilità che Amelio palesò in Lamerica (1994) e che qui diventa allusione a un doloroso sovvertimento, al disordine conseguente al regicidio. Amelio di fatto sembra abbracciare la prospettiva di Strauss più che quella di Hoffmannsthal: non espressionismo estetizzante ma ‘realismo’ e finanche pasoliniano ‘neorealismo’. Lo si coglie nella gestualità scomposta richiesta alla protagonista, le cui movenze a pugni chiusi hanno il sapore delle danze popolari nostrane e l’inquietudine di antiche ritualità contadine (la morte di Elektra consumata dalla danza ne rappresenta il vertice). Al dinamismo di Elektra si contrappongono la compostezza di Crisotemide, l’incedere affaticato di Clitemnestra che usa lo scettro del comando come stampella per i propri passi stentati, la rigidità di Oreste disumanizzato dal suo compito di vendicatore, l’andirivieni di Egisto che sembra vagare in uno stato di ubriacatura (il testo di Hoffmannsthal ha un che di grottesco nel descriverne l’uccisione; vien quasi da pensare alla pantomima che apre l’atto III del Rosenkavalier). Amelio, insomma, dà ai cantanti indicazioni diligentemente allineate alle prescrizioni del libretto e alle ragioni della musica, per lasciar più libera la sua inventiva nel dialogo con lo scenografo Sergio Tramonti: il contrasto tra la verticalità delle pareti della ‘cava’ e il piano inclinato che ingombra il palcoscenico, costruito con macerie, conferisce un senso claustrofobico, perfettamente connesso alla ‘tinta’ di Elektra e adeguato alla resa della dialettica dentro/fuori, reggia/cortile, accettazione/esilio. Elettra è un personaggio ‘fuori’ e il suo è uno spazio di desolazione assoluta divelto da bombardamenti, la sua ‘tana’ un bunker di contraerea. Se dunque la comunicazione del clima di violenza che impregna l’atto unico ben si concretizza nell’impostazione registica e scenografica, non altrettanto può dirsi per le implicazioni psicanalitiche del libretto che Amelio pare voler lasciare inespresse, ad eccezione dello splendido momento in cui Elettra bacia sulla bocca la sorella Crisotemide, da lei divisa soltanto da quel velo di sposa emblematico d’un’aspirazione alla ‘normalità’ diametralmente opposta alla ‘diversità’ della protagonista. Peccato perché con analoga intensità si sarebbe potuto gestire anche il duetto tra Elektra e Oreste, lasciato invece un po’ in balìa di se stesso, come fosse un estratto d’un musikdrama di cartapesta. Maggiore sarebbe poi stato l’impatto emozionale di questo allestimento se il disegno luci di Pasquale Mari si fosse meglio inteso con i desiderata di Amelio: la volontà di non seguire la cupezza consueta nella tradizione registica di marca tedesca, si è realizzata solo in parte e i cambi d’illuminazione spesso sono risultati sfasati o assenti in concomitanza degli apici tensivi della partitura.
Particolarmente meritoria la direzione dell’inglese, ma ormai tedesco d’adozione, Jonathan Nott che ha sviscerato ogni dettaglio dell’intricatissimo tessuto sonoro straussiano. Smagliante – forse all’inizio persino troppo invadente – il colore complessivo dell’Orchestra del teatro Petruzzelli, ottoni in primis. Dal podio direttoriale non si è avvertito il minimo calo di tensione, presupposto indispensabile per interpretare Elektra che sembra non conoscere pause e stordirsi in continui simbolismi sonori. Ottimo il cast vocale dominato da Elena Pankratova, un’Elektra possente e autorevole che conferma la magia del melodramma incurante della discrasia fra corporeità del personaggio e fisicità dell’interprete (con buona pace di Bernard Shaw). Intensa, anche sul piano mimico, la Clitemnestra di Natascha Petrinsky (a lei il costumista Maurizio Millenotti ha riservato il maggior sforzo creativo: un abito da ‘donna serpente’ in grado di restituire al personaggio seduzione e al tempo stesso l’estrema magrezza). Più limpido il timbro della brava Alex Penda, una Crisotemide resa credibile da una capacità attoriale che ha primeggiato sui colleghi. Pastoso, profondo, timbricamente brunito l’Oreste di Egil Silins. Buona la prova delle giovani voci italiane che hanno affrontato le parti di fianco con notevole sicurezza (a dimostrazione di come determinate produzioni offrano una preziosa palestra formativa, oltre a educare il gusto del pubblico con opere di raro allestimento). Calorosissimi gli applausi del pubblico, inizialmente accompagnati da grida euforiche. Anche Bari insomma comincia a comprendere che non esistono solo Rigoletto, Traviata e Tosca!