Se la danza celebra l’opera: “Serata Ratmansky” alla Scala

Milano, Teatro alla Scala – Stagione d’opera e balletto 2013-2014
“SERATA RATMANSKY”
Coreografie Alexei Ratmansky
Assistente coreografo Tatiana Ratmansky
“Russian Seasons”
Musica Leonid Desyatnikov
Costumi Galina Solovyeva
Luci Mark Stanley
Soprano Alisa Zinovjeva
Violino Laura Marzadori
Coppia in arancione / Coppia in bianco Marta Romagna – Mick Zeni
Coppia in rosso Virna Toppi – Christian Fagetti
Coppia in verde Vittoria Valerio – Carlo Di Lanno
Coppia in blu Nicoletta Manni – Marco Messina
Coppia in bordeaux Stefania Ballone – Federico Fresi
Coppia in viola Denise Gazzo – Maurizio Licitra
Produzione del Teatro Bol’sˇoj di Mosca
“Concerto DSCH”
Musica Dmitrij Šostakovič
Costumi Holly Hynes
Luci Mark Stanley
Pianoforte Davide Cabassi
Nicoletta Manni – Marco Agostino
Stefania Ballone – Valerio Lunadei – Federico Fresi
Corpo di Ballo del Teatro alla Scala
Produzione Teatro alla Scala
“Opera”
Musica Leonid Desyatnikov
(prima esecuzione assoluta)
Testi di Pietro Metastasio e Carlo Goldoni scelti da Carla Muschio
Video designer Wendall Harrington
Costumi Colleen Atwood
Luci Mark Stanley
Soprano Linda Jung
Mezzosoprano Natalia Gavrilan
Tenore Jaeyoon Jung
Beatrice Carbone – Roberto Bolle
Emanuela Montanari – Mick Zeni
Corpo di Ballo del Teatro alla Scala
Nuova Produzione Teatro alla Scala
Direttore Mikhail Tatarnikov
Milano, 5 gennaio 2014

Rifuggendo dall’ondata di Schiaccianoci (che al Piermarini non ha mai trovato terreno particolarmente fertile…) e dalla tipica programmazione dei teatri italiani che vorrebbe presentare titoli del repertorio ottocentesco in qualsivoglia veste, la Scala inaugura la propria stagione di balletto all’insegna della coreografia russa: quella attuale, però. Viene chiamato Alexei Ratmansky, nome blasonatissimo fra i coreografi in attività, ad allestire un trittico di cui la terza parte (Opera) viene commissionata dal Teatro. Già prima del debutto in prima mondiale, molta stampa italiana si è giustamente soffermata sulla genesi dello spettacolo, su quello che ne avrebbe caratterizzato lo stile e sui rapporti con Makhar Vaziev – attuale direttore del Balletto scaligero – che hanno portato Ratmansky ad avere per sé la serata inaugurale della stagione di ballo.
È stata senz’altro una scelta interessantissima: prima di tutto per quanto concerne il repertorio, l’evoluzione e il prestigio di grande compagnia. E, non meno rilevante, perché il più popolare teatro lirico italiano mette l’accento sul nome del coreografo non sul titolo, né sull’interprete. In Italia il pubblico che segue o vuole assistere ad uno spettacolo di balletto è solitamente attirato o verso il repertorio ottocentesco (prova ne sia il sold out quasi sempre raggiunto delle compagnie itineranti che viaggiano da nord a sud con ritmi di una rappresentazione al giorno) oppure verso i nomi dei grandi interpreti, a prescindere da cosa ballino, sia in scena una serata di gala o un balletto a serata intera. Quindi, qui da noi – dove nemmeno è contemplato il concetto di «coreografo residente» – se il nome di un regista può legittimamente attrarre la curiosità di uno spettatore che si appresta a vedere uno spettacolo d’opera, lo stesso vale in misura minore per il coreografo… o perché non viene invitato o perché si preferisce navigare lidi più sicuri o perché nel ‘bel paese’ la figura ne è sottodimensionata.
Serata Ratmansky è stata così composta: Russian Seasons, Concerto DSCH e Opera. Tre lavori ma che interagiscono fra di loro in modo binario. I primi due sono nati per il New York City Ballet; il primo su partitura originale di Leonid Desyatnikov che ha curato anche le musiche di Opera. Sono tutti e tre balletti “astratti” o “non narrativi”; ma se i primi due guardano alla Russia attraverso il filtro del coreografo cosmopolita, il terzo è un vero omaggio all’opera lirica italiana con tanto di voci soliste (soprano, mezzosoprano e tenore). Così come l’impiego di una voce solista (soprano) è prevista anche in Russian Seasons.
Questa struttura si ritrova anche nella distribuzione dei solisti all’interno dei singoli balletti. Sei coppie, distinte dal colore dei costumi, sono le protagoniste di Russian Seasons; alla coppia principale di Concerto DSCH è affidata l’esecuzione del passo a due durante l’andante; altre due coppie, connotate dai colori rosso e blu, sono interpreti di Opera.
In questo ordito così scandito e all’interno di un cast numericamente esiguo, appare evidente la volontà di voler caratterizzare ogni solista. A proposito di Russian Seasons Ratmansky afferma addirittura di voler «rappresentare persone calde e umane». È difficile dire se queste intenzioni corrispondano a realtà; però è innegabile che in questa prima pièce spicchino alcuni personaggi su altri, anche nel voler intervallare la danza a gesti di una quotidianità semplicissima: un saluto, un breve movimento di spalle, un inchino… È il caso della donna in arancione, simbolo di un amore sfortunato, forse legata idealmente alla figura di Ofelia nell’immagine di raccogliere i fiori. O quella della donna in rosso che fin dal suo ingresso in scena è tutta scorza tellurica e furore. Di questa pagina, ispirata al folklore russo (evidente anche nella stilizzazione dei costumi) e che racconta delle fasi vitali scandite dal calendario ortodosso, segnaliamo l’ottima prova di tutti i solisti in particolare delle interpreti dei personaggi sopracitati: Marta Romagna, dolcissima donna in arancione, e la grande prova tecnico-interpretativa di Virna Toppi, la donna in rosso.
Di Concerto DSCH parlammo già nel 2012, allorché venne rimontata per il Balletto della Scala: vi rimandiamo alla recensione di allora. In questa ripresa, il Corpo di Ballo maschile ha mostrato una prova eccellente; Nicoletta Manni e Marco Agostino, neo solista del compagnia scaligera, hanno dato ottima prova di sé. La Manni in special modo è stata interprete molto sensibile. Ottimo come sempre Federico Fresi.
Non è facile parlare di Opera in poche righe: semplicemente perché è un balletto talmente riuscito nel suo calligrafismo e nella sua adesione formale a quella musicale e testuale che servirebbero almeno dieci saggi e, almeno, altrettante visioni per poterne dire con un minimo di completezza. Wendall Harrington, video designer del balletto, la definisce una «riflessione sull’opera». È così. Però sarebbe forse più giusto dire «un determinato periodo dell’opera»: infatti, il florilegio di testi scelti per comporre il libretto (Metastasio e Goldoni) ha giocoforza influenzato la parte strettamente visiva (i magnifici costumi di Colleen Atwood e le proiezioni video) del lavoro. La coreografia è invece svicolata da quella che si potrebbe identificare come danza settecentesca: l’intento di Ratmansky è quello di ricreare con un linguaggio di base accademica una serie di quadri che narrano di guerra, amore, odio, onore… il “sapore” di un teatro che fu. Si è parlato molto del linguaggio utilizzato da Ratmansky, sempre così ricco di referenti, non solo a livello coreografico: spesso viene tirato in ballo il nome di  George Balanchine. E perché non vederlo sedimentato anche qui? Per esempio nella dicotomia fra la coppia rossa e quella blu (come il Sogno di una notte di mezza estate); o in certi tableaux vivants cui il Corpo di ballo è chiamato a dar vita. Anche Jerome Robbins appartiene al suo sostrato culturale e gli viene spesso accostato: quanto c’è nella coppia blu della ‘coppia borghese’ di In the Night? Certo, sono solo alcuni esempi e magari epidermici di una cifra espressiva coltissima che sa miscelare e far rivivere questo complesso retroterra. Come per molte composizione di Ratmansky, il livello tecnico interpretativo richiesto è altissimo e qui non viene disatteso. Beatrice Carbone e Roberto Bolle (la coppia in rosso) Emanuela Montanari e Mick Zeni (la coppia in blu) sono artisti eccellenti e altro non sapremmo dire. Visto l’impiego di voci soliste, è giusto accennarne: Alisa Zinovjeva si è fatta valere in forza del volume e del bel colore in Russian Seasons. Modesto il terzetto protagonista di Opera (il soprano Linda Jung, il mezzosoprano Natalia Gavrilan, il tenore Jaeyoon Jung).
L’accoglienza del pubblico è andata in crescendo con vere e proprie ovazioni per Opera: ovviamente e meritatamente festeggiatissimo Roberto Bolle. Foto Brescia & Amisano © Teatro alla Scala