Grand-opéra in cinque atti su libretto di Eugène Scribe e Germain Delavigne. Diego Torre (Masaniello), Oscar de la Torre (Alphonse), Angelina Ruzzafante (Elvire), Wiard Witholt (Pietro), Angus Wood (Lorenzo), Ulf Paulsen (Selva), Kostadin Arguirov (Borella), Opernchor des Anhaltischen Theaters, Anhaltische Philharmonie, direttore: Antony Hermus. Registrazione: Germania, Großes Haus der Anhaltischen Theaters Dessau, 24-26 maggio 2011, da una produzione di André Bücker; T.Time: 135’09 2CD CPO 777 694-2.
Una scarsa fortuna discografica affligge La Muette de Portici, capolavoro assoluto di Daniel Auber, la cui première avvenne all’Opéra di Parigi, il 29-02-1828. La ragione è presto spiegata: un’opera dall’impianto così spettacolare, così marcatamente ottico, non rende minimamente in CD – si pensi alla parte mimica di Fanella, la muta eponima, stratagemma innovativo e di trascinante drammaticità. Un’opera tristemente afflitta da moderno oblio, La Muette: eppure si pensi alle gloriose 505 repliche che ne consacrarono il successo all’Opéra, dal 1828 al 1882; un prototipo del grand-opéra, genere musicale in cui si cimenteranno altri importanti autori e che produrrà di lì a poco capolavori assoluti come Guillaume Tell (1829) e Robert le diable (1831). Tale fu il delirante successo della partitura, che le fonti aneddotiche ricordano come La Muette, rappresentata al Théâtre de la Monnaie di Bruxelles, il 25-08-1830, avrebbe avvampato gli animi dei belgi che, galvanizzati dalla rappresentazione in musica della rivolta di Masaniello, avrebbero dato inizio alla rivolta per l’indipendenza del Belgio dall’Olanda.
La presente edizione non riesce a emergere dall’alveo della mediocrità, pur con i dovuti distinguo. Antony Hermus ha una direzione sempre sostenuta, tesa, mai incalzante: l’idea è chiara e espressa con naturalezza, senza forzature. Ne sono esempi l’intenso finale I e il celebre, trascinante finale II (“Venez, amis, venez partager mes transports”); ottima anche la direzione dell’ouverture, dal materiale musicalmente interessante, furtivo, che dipinge atmosfere orientaleggianti, travagliate, guardinghe, non senza qualche sprazzo di sereno. In generale, risultano belli i colori dell’orchestra; il suo senso dell’agogica, mai scontata, supporta adeguatamente il tessuto ritmico, i tempi: insomma, tutto l’impiantito orchestrale è ben diretto. Peccato i troppi tagli, compresi i ballabili (così importanti per l’equilibrio, l’economica drammatica, oltreché caratteristici di un grand-opéra). Masaniello è cantato da Diego Torre, una corda baritenorile importante, volume di presenza, timbro caldo ancorché lievemente granuloso – impressionante il controllo del registro basso; scanzonata e sentita, ma un po’ monotona, la barcarola “Amis, la matinée est belle”. Nell’aria del IV atto, “O Dieu! Toi qui m’as destiné”, il fraseggio c’è, l’allure anche, la musicalità pure, ma la voce manca in più punti, con alcuni passaggi poco curati, stentorei, e acuti piuttosto fortunosi. Drammaticissimo e impeccabile l’acuto su “mes armes” nel finale V, ben diretto, ma che non rende minimamente la scena al cardiopalma. L’Alphonse di Oscar de la Torre non brilla nel ruolo; possiede voce chiara, squillante, ma nasale e dal volume contenuto; manca di un’espressività aristocratica. Pur palesando qua e là qualche buona cosa, qualche intensa frase recitativa, manca dell’allure complessivo; per avere un’idea basta ascoltare l’arioso del I atto “O toi! Jeune victime”, in cui il sovracuto finale esce ingolato, stritolato; nel duetto del II atto con Elvire, “Écoutez, je vous en supplie”, è discreto, ma in generale il duetto non è per nulla eccezionale. Convincente, ma con riserva, l’Elvire di Angelina Ruzzafante: la sua voce squillante, timbricamente algida, dal fraseggio discreto, veicola una buona interpretazione, ma manca di tutta una serie di colori. L’aria del I atto, “A celui que j’aimais c’est l’hymen qui m’engage”, presenta arcate e legati buoni; intimisticamente sofferta la preghiera “Arbitre d’une vie”, tra i brani più famosi dell’opera. Wiard Witholt, un baritono dal timbro scuro, ma trascurabile per il resto canta Pietro. Buono nel famoso duetto con Masaniello, “Pour un esclave est-il quelque danger?”; unico momento in cui trova un vero fraseggio è la barcarola del V atto, “Voyez du haut de ces rivages”, anche se l’acuto finale lascia vagamente a desiderare. Tutti i comprimari sono trascurabili. Buona, invece, la performance del coro: si pensi allo ieratico “O Dieu puissant! Dieu tutélaire!” (I atto), al solare “Amis, le soleil va paraître” (II atto), al gaio “Au marché qui vient de s’ouvrir” (III atto), o al commovente “Saint bienheureux, dont la divine, image” (nel finale III, durante la rivolta causata dal tentativo di catturare Fenella). Lode all’iniziativa editoriale, dunque, ma la qualità dell’incisione non regala certo più di qualche bel momento: certamente per nulla paragonabile all’edizione EMI del 1987, con Alfredo Kraus nel ruolo di Masaniello e June Anderson in quello di Elvire, che permane ancora l’edizione assoluta di riferimento.