Roma, Auditorium “Parco della Musica”, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, stagione 2013-2014
Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Direttore Manfred Honeck
Soprano Sumi Jo
Johann Strauss jr.: ouverture da Der Zigeunerbaron, Rosen aus dem Süden valzer op. 388, Furioso polka quasi Galop op. 260, ouverture da Die Fledermaus, Wiener Blut valzer op. 356, Auf der Jagd! polka veloce op. 373, Im Krapfenwald’l polka alla francese op. 336, “Spiel ich die Unschuld vom Lande” aria di Adele da Die Fledermaus, Unter Donner und Blitz polka veloce op. 324
Josef Strauss: Die Libelle polka mazurka op. 204.
Franz Lehár: “Meine Lippen, die küssen so heiss”, aria di Giuditta da Giuditta, “Vilja Lied” aria di Hanna da Die Lustige Witwe.
Johannes Brahms: Danza ungherese n. 5 in sol minore (orchestrazione di A. Parlow)
Pëtr Il’ič Čajkovskij: “Valzer dei fiori” da Lo Schiaccianoci.
Luigi Arditi: “Il bacio” valzer brillante.
Roma, 5 gennaio 2014
L’apertura della stagione concertistica 2014 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia registra l’ennesima defezione: questa volta è George Prêtre che – fortunatamente con largo anticipo – per motivi di salute si vede costretto a rinunciare. Cambio di programma e cambio di direttore. A sostituirlo è Manfred Honeck, un allievo di C. Abbado uscito dalle fila dei Wiener Philarmoniker, cui si affianca il celebre soprano sudcoreano Sumi Jo, che con l’Italia ha un rapporto privilegiato (si perfezionò proprio al Conservatorio di Santa Cecilia). Il programma viene così a caratterizzarsi marcatamente come un classico concerto d’inizio anno à la mode viennese: è la genia degli Strauss a farla da padrone (in particolare Johann jr), a fianco di ‘evegreens’ quali Brahms, Čajkovskij, Lehár, con il coup de théâtre di Arditi.
Honeck si distingue quasi sempre per la tesa energia della sua direzione: un gesto sempre sicuro, abbastanza elegante pur nella sua scompostezza. È nei brani orchestrali straussiani che dà il meglio di sé: così esuberante nell’ouverture de Der Zigeunerbaron; così attento all’agogica, agli staccati, ai rallentando nel valzer Rosen aus dem Süden; vigoroso, brillante, nella brevissima ma portentosa Furioso Polka; dolce e timidamente indugiante nel Die Libelle, dove pare di veder volteggiare una libellula su uno stagno sonnecchiante, evocata dalla pasta sonora dei legni e dell’arpa assieme agli archi. Il suo sangue austriaco emerge tutto, commosso, nell’immortale Wiener Blut, cui dedica un respiro tutto personale, un palpito nazionalistico, e poi nelle due polke Auf der Jagd! e Im Krapfenwald’l (delizioso l’espediente del suono del cuculo che dialoga con l’orchestra e poi con i fiati); sfrenata, bacchica, la direzione della polka veloce Unter Donner und Blitz. Ma l’acme dell’interpretazione Honeck la raggiunge nella direzione della famosissima ouverture di Die Fledermaus, passionale, sentita, con cui si guadagna l’applauso più gentile. Si distingue positivamente anche nella Danza ungherese n. 5 di Brahms, legata alle atmosfere viennesi («il fascino lirico e un innegabile brio fanno di queste danze l’espressione del Brahms popolare, che innesta su motivi zigani, più che su originali temi folklorici ungheresi, un’atmosfera musicale da cabaret viennese, clima che il compositore conosceva già prima del suo arrivo a Vienna» Anna Cepollaro, dal programma di sala). Nell’esecuzione del Valzer dei fiori dallo Schiaccianoci di Čajkovskij, a una cura particolare per il suono orchestrale – lode all’arpista Cinzia Maurizio per l’interpretazione magistrale della cadenza – affianca, però, una mano troppo pesante nell’esecuzione, dove non dilata al giusto i tempi, contraendoli sempre, a tirar via insomma.
Cagionava una certa attesa, a ragione, il ritorno all’Accademia (dopo più di un decennio) della Jo, interprete abbastanza dotata, fraseggiatrice gradevole, di buon colore e musicalità, dal timbro metallico: eppure, dovendola incasellare in una categoria sopranile, meglio varrebbe il superlativo ‘leggerissimo’. A stento è stata, infatti, udita dalle pur gremite gallerie dietro il palco dell’orchestra. Tralasciando il problema del volume – che va migliorando, a onor del vero, nel corso delle sue cinque esibizioni –, la Jo si fa apprezzare per la sua spigliata teatralità (danze e gesti mimici ammiccanti) e per la sua eleganza: ben tre sfarzosi cambi d’abito (uno di pizzo, ricco e strassato, sul rosa antico; un secondo da gran sera, con una vistosa spallina destra e un nastro rosa alla vita; il terzo, più contenuto, sulle tonalità sempre del rosa antico con sfumature turchesi, di pizzo e tulle) accompagnano le sue performances, che si spalmano durante tutto il concerto. Se si fa apprezzare, più per il fraseggio che per altro, nell’aria “Meine Lippen, die küssen so heiss” (Giuditta di Lehár), si incomincia a intravedere qualche ricercato passaggio, languido, imperlato da buoni acuti, nel Vilja Lied da Die lustige Witwe (Lehár), la cui invenzione melodica è di cristallina bellezza; bei trilli, aggraziati portamenti e solide agilità ne Il bacio del violinista Arditi, un’aria che veniva usata anche come ‘aria di baule’ per la lezione di musica della rossiniana Il barbiere di Siviglia; scanzonata, termina con l’aria di Adele “Spiel ich die Unschuld vom Lande” (dallo straussiano Die Fledermaus).
Alla generale atmosfera “viennese”del concerto, non poteva mancare qualche buffa burla all’italiana: durante la polka Auf der Jagd! si vede aggirarsi per l’orchestra un uomo in tuta mimetica che spara con un fucile i colpi richiesti dalla partitura e nel brano finale, Unter Donner und Blitz, alcuni orchestrali cominciano a aprire variopinti ombrelli. Oramai s’è in clima di festa; Honeck e la Jo regalano due pezzi fuori programma: un passo dal finale III de Die Fledermaus, con tanto di bottiglia (champagne, s’intende) e la Feuerfest! polka (op. 269) di Johann Strauss jr. – con il percussionista che beve, festaiolo, mentre armeggia con l’incudine. Tra uno scroscio di divertiti applausi, Sumi Jo fa gli auguri di rito per l’incipiente 2014.