Verona, Teatro Filarmonico, Fondazione Arena. Stagione Sinfonica 2013-2014
Orchestra e Coro dell’Arena di Verona
Direttore Rengim Gökmen
Pianoforte Giuseppe Albanese
Mezzosoprani Marina De Liso, Alice Marini
Maestro del Coro Armando Tasso
Sergei Prokof’ev: Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 op. 26 in do maggiore
Claude Debussy: “La demoiselle élue” per mezzosoprano, coro femminile e orchestra
Maurice Ravel: “Daphnis et Chloé” suite n. 2
Verona, 12 Gennaio 2014
L’Orchestra dell’Arena di Verona riprende la stagione sinfonica nel 2014 tornando a calcare il palco del Teatro Filarmonico, dopo i quattro concerti dedicati al classicismo musicale al Teatro Ristori.La compagine veronese in grande organico celebra, sotto la direzione del turco Rengim Gökmen, alcuni tra gli autori più significativi del musicalmente rivoluzionario periodo di transizione dall’800 verso il “secolo breve”. In apertura di concerto ritorna sul palcoscenico veronese il pianista Giuseppe Albanese, per affrontare il Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 op. 26 in do maggiore di Prokof’ev. Forse la più equilibrata delle composizioni per pianoforte e orchestra dell’autore russo, il terzo concerto si allontana dall’aggressività dei primi lavori per pianoforte per rientrare in canoni di organizzazione tonale della forma e in una struttura più classica e proporzionata. Nel primo movimento risultano subito evidenti tali caratteristiche del linguaggio di Prokof’ev, il pianoforte di Albanese gestisce il tema principale mantenendo in chiara evidenza il contrappunto interno della parte. L’energia del giovane pianista si fonde con la grande energia ritmica del concerto, sapientemente amministrata dalla mano di Prokof’ev per dare nuova vita ed originale impulso al linguaggio musicale tradizionale. Tale nuovo impulso è altresì definito attraverso la massima accentuazione del contrasto tra i momenti lirici e i dinamici episodi di carattere ritmico, sempre ben evidenziati dall’ottima lettura di Gökmen.
Il travolgente finale del concerto si apre con l’esposizione del tema da parte dell’orchestra, tema di cui subito Albanese si impossessa ergendosi a protagonista assoluto del movimento in un gioco di inventiva ritmica intrisa di carattere russo che sembra prefigurare l’avvento di grandi capolavori come la Quinta Sinfonia. Vivissimi applausi per Giuseppe Albanese, che premia la platea con “I Montecchi e i Capuleti” da “Romeo e Giulietta” dello stesso Prokof’ev.
La seconda parte del concerto inizia con La damoiselle élue per mezzosoprano, coro femminile e orchestra di Claude Debussy. Il poema lirico conduce il pubblico attraverso un mondo sonoro totalmente antitetico rispetto a quanto contenuto nella pagina precedente, la ritmica non è accentuata ma al contrario celata dietro al sapiente intreccio dei frammenti melodici e nel gioco timbrico tra i colori orchestrali, cifra stilistica prefiguratrice delle opere della maturità di Debussy. Il compositore articola la messa in musica del poemetto di Rossetti (nella traduzione francese di Sarrazin) in una sorta di trittico che rispecchia fedelmente la tripartizione della lirica. Nella prima parte l’introduzione orchestrale preludia alle prime cinque stanze del testo in cui si alternano il coro e la voce solista della “narratrice” Alice Marini, voce squillante nel registro acuto e dotata di una buona omogeneità. La seconda parte è costituita dalle sette stanze della “meditazione mistico-amorosa” (Cecchi) della damoiselle di Marina De Liso: il suo strumento è duttile su tutta la gamma, corposo all’occasione ma capace di un canto dall’espressività trasognata e leggera. Perfetto il sostegno nelle dinamiche di piano. Le ultime tre stanze sono affidate di nuovo alla voce della “narratrice” e al coro femminile, che porta a termine una buona prova nonostante qualche imperfezione negli attacchi.
Il concerto si conclude con la celebre Suite n. 2 dal balletto Daphnis e Chloé di Ravel, ove si compie la felice metamorfosi di un’orchestra che – dopo la rassegna di concerti dedicata alla prima scuola di Vienna, a tratti non esattamente esaltante- si conferma invece pienamente in grado di affrontare il grande repertorio sinfonico confezionando un’esecuzione rifinita e godibilissima. Particolarmente apprezzabile è la bacchica Danse générale dove il ragguardevole affiatamento delle maestranze cattura il pubblico trascinandolo nel gorgo sonoro del vorticoso finale, la cui conclusione è accolta dal boato del folto pubblico presente in sala. Evidente l’ottima preparazione della compagine operata da Gökmen: il gesto è chiaro e capace di maneggiare le differenti masse sonore pur mantenendo intatto l’equilibrio tra le sezioni. Precisi e curati anche gli apporti solistici delle prime parti, tra cui spicca il flauto di Gino Maini nel bucolico solo della Phantomime. Ancora molti applausi per Rengim Gökmen e l’Orchestra dell’Arena di Verona. Foto Ennevi per Fondazione Arena di Verona