Roma, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Sala Santa Cecilia, Stagione da camera 2013-2014
Pianoforte Maurizio Pollini
Fryderyk Chopin: Preludio in do diesis minore op.45; Ballata n.2 in fa maggiore op.38; Ballata n.3 in la bemolle maggiore op.47; Sonata in si bemolle minore op.35.
Claude Debussy: Préludes per pianoforte, primo libro.
Roma, 22 gennaio 2014
Insolita apertura per un concerto. Sul palcoscenico, accanto al pianoforte, il presidente della repubblica, il sovrintendente della fondazione, il pianista. L’occasione è triste: le parole di Giorgio Napolitano disegnano il ricordo di Claudio Abbado e seguono quelle di Bruno Cagli che annuncia la pubblicazione di un lavoro che compendia la vita artistica del direttore d’orchestra italiano nel suo cammino insieme con l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Per Maurizio Pollini è il compagno di un lungo sodalizio artistico iniziato in conservatorio e proseguito sui palcoscenici di tutto il mondo nelle esecuzioni storiche dei concerti di Beethoven, Brahms, Schumann. Premiati insieme, a Londra, appena due anni fa con i Music Awards, avrebbero dovuto esibirsi insieme a Milano il mese scorso, invece, oggi, a Roma, il pianista si trova a dedicare le pagine più belle di Chopin e Debussy all’amico Claudio. Il programma della serata riflette gusti e personalità di Pollini: più volte lo ha proposto al pubblico ma ogni volta con nuove deduzioni all’interno di una conferma generale. E subito in apertura i passi densi, quasi sinfonici, del Preludio op. 45 che preparano all’ascolto dei lavori più arditi e rivoluzionari delle Ballate. Criticata dallo stesso Schumann, al quale era dedicata, la Ballata n.2 op.38 è una pagina drammatica e nello stesso tempo eroica che si snoda sotto le dita di Pollini in modo calibrato e ordinato. Niente di disordinato o sopra le righe, nessuna sdolcinatura anche per lo Chopin della Ballata n.3 op.47. Tutto è severo, intellettuale. Anche la tecnica, sublime e perfetta seppur appesantita da un’anagrafe inesorabile che mostra qualche inquietudine. Restano nobili i fraseggi, i timbri da violoncello, i cantabili di fascino superlativo. Ed anche il vigore, dove occorre, nella Sonata in si bemolle minore; intensa, commovente a tratti struggente la Marcia funebre che senza soluzione di continuità si trasforma nella pagina pre-impressionistica del Finale, quasi a voler preparare la seconda parte del concerto. “L’armonia di Debussy convive con correnti e influenze apparentemente diverse. Porta la sua musica dal tonale all’atonale e nel mezzo si possono trovare influenze arabeggianti. La cosa curiosa è che si forma un amalgama perfetta e meravigliosa” afferma Pollini, parlando del secondo dei suoi compositori preferiti. Le pagine dei Préludes per pianoforte sono piene di innovazioni, di influssi extraeuropei. Suono delicato e raffinato per evocare le suggestioni di una orchestra gamelan e stralci di melodie sapientemente timbrate per accennare i primi tentativi jazz. Precisione e rapidità servono a far eccellere brani come Ce qu’on a vu le vent d’ouest, suggestione e sapiente gioco del pedale esaltano la monumentalità di La cathédrale engloutie ma la tendenza a concedere poco al gioco di tensione e distensione della frase musicale lasciano perplessi circa la scelta di una lettura oggettiva del testo, anche in Debussy. Grande successo e applausi a non finire per un concerto che è un evento: Pollini regala altre due perle del suo repertorio (ancora Chopin, Studio n.12 op.10 e Ballata n.1) a un pubblico sfrenato che lo acclama e lo ringrazia.