Torino, Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, Stagione Concertistica 2013-2014
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore Juraj Valčuha
Violino Midori
Richard Strauss :”Don Juan”, poema sinfonico op. 20 (da Nicolaus Lenau)
Johannes Brahms : Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 77
Alexander von Zemlinsky : “Die Seejungfrau”(La sirenetta), fantasia per orchestra (da Andersen)
Torino, 28 novembre 2013
In alcuni concerti l’incipit è così svettante, così appagante, così musicalmente bello, da costituire il punto drammaticamente più alto del programma; e l’attesa di gran parte del pubblico è naturalmente concentrata su tale avvio, la cui riuscita finisce per determinare (o meno) quella di quasi tutto il concerto. L’attacco di Don Juan di Strauss, o di Carmen di Bizet, o dei Meistersinger von Nürnberg di Wagner, insieme a poche altre pagine dal piglio immediato e travolgente, fa parte di tale repertorio. Con Strauss il giovane direttore Juraj Valčuha prosegue una perlustrazione iniziata la settimana scorsa, quando il programma proponeva i brani sinfonici dedicati a Don Quixote e a Zarathustra; ora, con un altro archetipo del mito moderno – ancor più vivo in ambito musicale rispetto agli altri due – Don Juan, il direttore mantiene sempre forti le sonorità delle trombe e del timpano, perché tutto sia netto ed esplicito (anche le parti solistiche del violino di Roberto Ranfaldi). Nella seconda parte la sottolineatura delle sonorità e degli accenti (questi ultimi, quasi ossessivi) cede spazio al lirismo dei toni in piano (ma mai pianissimo). Splendida la sezione dei corni nella coda, anche se l’incantesimo del finale è rotto da un inopinato e incomprensibile applauso, nella pausa che precede il ritorno alla tonalità dominante (ah, il pubblico indocile, terrorizzato dal silenzio, e quindi incapace di trattenersi!).
A riprova della nota sull’influenza di un attacco sui brani successivi d’un programma, ecco l’irruenza sincera di Don Juan riflettersi anche ad apertura del concerto per violino e orchestra di Brahms, nella lunga sezione introduttiva: Valčuha offre risonanze forti, vigorose, caratterizzate dalle striature degli ottoni in evidenza; in una parola, risonanze straussiane, per un Brahms già proiettato verso il Novecento (del resto Don Juan è completato nel 1888; il concerto brahmsiano risale ad appena dieci anni prima, ma tra i due testi c’è un intero abisso di storia della musica). Sopraggiunge finalmente la violinista giapponese Midori (così familiarmente chiamata: nome completo è Midori Gotō), che attacca con tempra nervosa, agile e tecnicamente molto sicura, sebbene le sonorità dello strumento risultino acerbe, un po’ acri nella resa coloristica, per questo ridotta al minimo. Durante il dialogo con gli archi l’artista si fa apprezzare quale concertatrice, poiché provvede a rarefare il suono e a stemperare il ritmo dell’Allegro non troppo iniziale, in una sorta di dissolvenza che coinvolge tutta l’orchestra, tanto che il direttore finisce per seguire l’agogica dettata dalla solista. Di perfetta intonazione la cadenza del I movimento, ma – ancora – un po’ povera di colore e di intensità. Nel II movimento (Adagio – Più largamente – Tempo I) è molto bello l’iniziale assolo dell’oboe (grazie all’impeccabile Carlo Romano), poi ripreso dai violini; il resto della sezione è giocato sui filati dello strumento solista e sulla trasparenza delle sue sonorità. Ottimo, per scelte dinamiche e per l’esattezza dei ritenendo, il difficile attacco del finale (Allegro giocoso ma non troppo vivace – Poco più presto); a testa bassa, decisa e determinata come un toro alla carica, è Midori a dettare ancora una volta il ritmo, senza troppa considerazione per le prescrizioni di Valčuha. È peraltro molto apprezzabile la concentrazione dell’orchestra nella coda, prima e dopo l’ultima cadenza, in cui anche la violinista sembra ritrovare un barlume di ironia e di spirito; quegli atteggiamenti con cui il concerto brahmsiano, quasi inaspettatamente, si chiude in tutta rapidità. Dopo i grandi applausi del pubblico dell’Auditorium Midori regala un bis, ovviamente di pura bravura tecnica, tutto impostato sulla legatura, sull’intonazione, sull’ornamentazione di marchio bachiano. Seguono altri lunghi applausi, scanditi anche dalle grida entusiastiche di due ali di bambini dall’alto della galleria (benemeriti quegli insegnanti che li hanno accompagnati a concerto!).
Il brano più atteso del programma è certamente Die Seejungfrau (La sirenetta) di Zemlinsky, che mancava dalle stagioni RAI di Torino dall’aprile 2008, allorché fu diretta da Peter Rundel. La scelta si giustifica perfettamente nell’accostamento ai brani di Strauss dello stesso genere, perché documenta scelte e stili molto diversi; sebbene sia del 1905, la fantasia per orchestra ispirata alla fiaba di Andersen mostra notevoli debiti espressivi nei confronti dell’Ottocento e dell’eredità tardo-romantica. Il direttore si accosta alla lunga partitura come se si trattasse più di una sinfonia in tre movimenti, che non delle sezioni narrative contigue di un poema sinfonico. In seguito a tale approccio, anche in taluni passaggi in cui la dimensione principale dovrebbe essere la dolcezza, Valčuha preferisce restare coerente alla sua impostazione assertiva, nell’enunciare in modo (anche) ostentato i disegni di tutti gli strumenti della compagine, a partire dagli ottoni e dai fiati. Si staglia subito, comunque, il ruolo solistico delle arpe nel decifrare la componente angelicata della creatura marina, e nel porgere i tratti più affascinanti di una musica tutta autenticamente cantabile (la voce è l’elemento primo di una sirena, e giustamente Zemlinsky, nella stilizzata rivisitazione del mito, ne affida il ruolo agli strumenti, anziché a una cantante destinata a diventar muta). Nel II movimento (Sehr bewegt, rauschend – Molto mosso, fremente) assume una parte importante il violino di spalla (sempre Ranfaldi), soprattutto nel dialogo tra arpe e xilofono, sul tema marino più affascinante dell’intero poema. Anche se gli attacchi non sono sempre perfetti, è bella la tinta sonora che Valčuha crea, con la base assai solida degli ottoni e della tuba. Il finale (Sehr gedehnt, mit schmerzvollem Ausdruck. Lebhaft – Molto strascicato, con espressione dolorosa. Vivace) è la sezione in cui Zemlinsky lavora di più sui colori orchestrali, in coincidenza con la parte più dolorosa della storia, ma anche in coincidenza con la metamorfosi eterea della sirenetta-donna muta. Il direttore rende assai bene il contrasto cromatico tra tinte così diverse, restituite efficacemente anche grazie ai pianissimo quasi cameristici. Nel segno della luce piena si manifesta poi l’ultima enunciazione del tema marino e ondoso, con effetto di purificazione della protagonista e dell’uditorio (che manifesta a lungo il proprio entusiasmo, sia per il brano sia per l’esecuzione): dagli abissi dell’acqua alla profondità dell’etere, come a dire dalle illusioni del mondo concreto a una redenzione ultraterrena.