La genesi
“Io credo che il Mascagni abbia fatto in queste scene deliziose la sua opera più organica, più originale e più continuata. Una sola nota tolta o aggiunta o mutata danneggerebbe il gioiello, disturberebbe quei discorsi sotto la luna, al cospetto di una Firenze pallida e addormentata”. Definita dallo scrittore e giornalista Ugo Ojetti un gioiello dopo la prima milanese avvenuta alla Scala il 18 marzo 1896 sotto la direzione del compositore stesso con Maria Pizzigalli (Silvia) e Stefania Collamarini (Zanetto), Zanetto, in realtà, aveva ricevuto il suo battesimo teatrale il 2 marzo 1896 con gli stessi interpreti nella sala Pedrotti del Liceo Musicale, oggi Conservatorio, Rossini di Pesaro, dove Mascagni si era appena insediato come direttore. Mentre l’operina, a Pesaro, aveva riscosso un discreto successo, a Milano ebbe un’accoglienza contrastata non solo da parte del pubblico piuttosto freddo ma anche da parte della critica che si mostrò ora favorevole ora ostile; se Ugo Ojetti, infatti, esaltò l’opera senza riserve, diversa fu l’opinione del primo biografo di Mascagni, Giannotto Bastianelli, che, come aveva fatto per Silvano, stroncò Zanetto senza possibilità d’appello:
“Al soggetto sconciamente realistico del Silvano, segue con un nuovo sbalzo, un soggetto di squisita poesia: Zanetto o «Le passant» di F. Coppée. La dolce e intima scena che ne forma il contenuto a dir vero non era molto consona alla natura esteriore del Mascagni. Occorreva prima di tutto un librettista che non sbertucciasse il delizioso episodio con versi che non significano nulla – Cuore, c’è il dolore, tra il profumo e lo splendore – , e in secondo luogo occorreva un musicista di arte molto più evoluta e sinuosa di quello che non sia l’ingenuo e rozzo linguaggio mascagnano. Certo, se confrontiamo lo Zanetto al Silvano, ci accorgiamo subito che il fascino sentimentale del soggetto ha suscitato qualche fantasma vero nella inerte immaginazione del maestro. Il preludio, sebbene così poco intonato alla signorilità umoristica che dovrebbe avere un madrigale sussurrato in lontananza – siamo nel Rinascimento, a Firenze – ; la canzone di Zanetto sebbene così poco elegantemente trovadorica; l’appassionata e bell’aria «non andar da Silvia», sebbene anch’essa troppo plebea per sgorgare dall’anima d’una grande cortigiana fiorentina; sono brani di musica che invano si cercherebbe nel Silvano. Ma nel complesso l’opera è viziosa; il recitativo ne è povero, convenzionale, spesso pesante. Si aggiunga, a momenti, un cantabile indegno della penna d’uno scrittorucolo di romanze a base di sentimentalità da Scena illustrata. So che lo Zanetto ha esercitato un certo fascino sugli studenti intellettuali del tempo. Ma credo che essi, se non eran dei babbei, fossero più vellicati nella loro sentimentalità dall’idea del soggetto, che dall’attuazione mascagnana di quest’idea. La verità è che quest’idea non fu saputa incarnare. Convengo però che tra i libretti mascagnani lo Zanetto è l’unico che, accanto alla Cavalleria e a parte del Ratcliff, può significare qualcosa di poetico”. (G. Bastianelli, Pietro Mascagni, Ricciardi, Napoli, 1910, pp. 72-74).
Oggetto di sperticate lodi, ma anche di stroncature, Zanetto è un’opera che va giudicata nella sua individualità e, non, come spesso è stato fatto, sempre in relazione alla produzione ad essa precedente. In realtà Zanetto segna quasi una cesura tra la prima parte della produzione di Mascagni intrisa di elementi sia veristici (Cavalleria e Silvano) sia idillici (Amico Fritz) sia romantici (Guglielmo Ratcliff), e i suoi lavori più maturi che, aperti da Iris, mostrano un avvicinamento al mondo poetico-musicale del Decadentisimo. Composto su un libretto che Targioni-Tozzetti e Menasci trassero da Zanetto o «Le passant» di F. Coppé, Zanetto è comunque un’opera piuttosto atipica all’interno della produzione di Mascagni, sia per il contenuto che per la realizzazione musicale È un lavoro estremamente delicato per il quale Mascagni mostrò una certa predilezione, dimostrata dalla sua preferenza accordatale durante una tournée in Germania nel mese di ottobre 1896; in quell’occasione, infatti, fece eseguire alcune anticipazioni di questa sua nuova opera al posto di brani tratti da Silvano che pur aveva debuttato con successo qualche mese prima.
L’opera
Ambientata in un paesino nei pressi di Firenze, l’operina si apre con un insolito preludio vocale, costituito da un madrigale, anche se della forma rinascimentale non è mantenuto il rapporto, praticamente inesistente, tra musica e parola, dal momento che il coro, formato da soprani, tenori e bassi divisi, non intona un testo poetico, ma si esibisce in vocalizzi. Questo brano, con il quale è introdotta un’opera in cui la musica scorre senza soluzione di continuità come se fosse un unico brano da camera, presenta una struttura tripartita (A-B-A1) con una sezione iniziale, nella quale emergono i soprani primi con un tema che ritornerà spesso nel corso dell’opera, seguita da una sezione centrale omoritmica che precede la ripresa e una coda conclusiva. Un elegante tema, che emerge alla voce più acuta su una scrittura accordale come in una frottola rinascimentale, introduce la protagonista Silvia che si lamenta di non aver mai incontrato il vero amore e soprattutto della volgarità di alcuni suoi spasimanti come il podestà e il mercante che avrebbero cercato di conquistarla con l’oro. Questo suo lungo monologo, che, per la sua realizzazione musicale piuttosto variegata, non si può ascrivere a nessuna forma della tradizione lirica ottocentesca, si conclude su un interrogativo accordo di dominante di do minore che sembra rappresentare al meglio gli interrogativi della donna sulla sua condizione. Proprio in quel momento il suono dell’arpa sembra darle una risposta, introducendo il personaggio di Zanetto che, pur essendo un uomo, è interpretato da un mezzosoprano en travesti scelto per riprodurre le caratteristiche vocali del castrato dell’opera del Seicento e del Settecento. Accompagnato dall’arpa, Zanetto intona una semplice serenata (Cuore v’è il dolore) dal testo piuttosto convenzionale con l’occorrenza di lemmi come «cuore», «fiore» e «amore», che, in rima, avrebbero incantato in una sua nota lirica Umberto Saba, ma che in questo contesto sembrano banali e scontati. Nonostante il testo il lirismo semplice di questa serenata dalla struttura bipartita (A-A1) incanta Silvia che, non sentendo più la voce del giovane, decide di ritirarsi nel suo palazzo. Introdotto dall’elegante tema già sentito all’inizio, entra Zanetto che, in una scrittura quasi da recitar cantando, manifesta la sua intenzione di dormire in quel luogo all’aria aperta. La ripresa del tema del madrigale in una delicata orchestrazione da camera accompagna il ritorno sulla scena di Silvia che, scesa di corsa dalla terrazza, prima contempla il giovane mentre dorme e, poi, lo sveglia. Il tema iniziale, orchestrato sempre in modo delicato con un organico quasi cameristico, accompagna la prima parte del dialogo tra Silvia e Zanetto che si svolge in un’atmosfera musicalmente preziosa e apparentemente serena interrotta dalla settima diminuita che introduce il turbamento di Silvia la quale teme, con il suo amore funesto, di recare un male all’innocenza del suo interlocutore. Zanetto, da parte sua, si presenta (Sono Zanetto) come un cantore vagabondo in una scrittura che oscilla tra il tono declamatorio, ancora una volta da recitar cantando della parte iniziale, e le movenze dell’arietta settecentesca (So condurre col fragile remo) orchestrata con delicatezza. La donna, meravigliata di quella vita raminga, chiede a Zanetto con accenti di profondo lirismo se mai una volta abbia sognato una dimora stabile o se una fanciulla sia riuscita a bloccare quel suo andare ramingo ma riceve sempre una risposta negativa. Zanetto, pur avendo paura dell’amore, ammaliato dall’atmosfera che si è creata, alla fine confessa il suo desiderio di volere restare con Silvia (Io qui potrei forse restare) su un semplice accompagnamento accordale che fa risaltare le parole nella parte iniziale per cedere il posto ad una scrittura di intenso e appassionato lirismo alle parole Madonna bella. Silvia, inizialmente turbata, decide, però, di allontanare Zanetto che, dopo aver visto rifiutate le sue proposte di rimanere in qualità o di paggio o di scudiero, constata, con un languido tema discendente, che il suo sogno è svanito; spera, tuttavia, di aver maggior fortuna il giorno dopo con Silvia fiorentina, senza rendersi conto che si trova di fronte alla donna che sta cercando. Zanetto le chiede consiglio sul da farsi aggiungendo che ha sentito parlare della bellezza altera di Silvia la quale recherebbe sfortuna a chi le sta vicino. Silvia, sempre turbata, inizialmente non risponde, ma sollecitata da Zanetto, in una pagina d’intenso lirismo (Non andar da Silvia) nella quale confessa in modo non del tutto chiaro al giovane il suo amore, lo consiglia a non cercare quella donna. Zanetto dichiara, in una pagina intrisa, a sua volta, di tenero lirismo, che sarebbe partito portando con sé il ricordo soave di quell’incontro. La donna, da parte sua, vorrebbe fargli dono di un anello, ma Zanetto rifiuta chiedendole un oggetto meno ricco che abbia un valore simbolico come il fiore con il quale Silvia aveva adornato i suoi capelli. Silvia glielo dona, dicendogli che sarebbe appassito nelle sue mani e che la morte di quel fiore gli avrebbe ricordato la sua sorte. In questo passo la breve vita del fiore e la sua morte sembrano rappresentare rispettivamente la precarietà del sogno che i due personaggi stanno vivendo e il dolore che si mescola al piacere di quel fugace quanto intenso incontro. Zanetto, da parte sua, ha paura di partire e la sua melodia, che gira attorno alle stesse note, sembra mostrare il disorientamento dell’uomo che chiede consiglio a Silvia su quale strada seguire. La donna le indica quella dove splende l’aurora e Zanetto si allontana intonando la serenata Cuore v’è il dolore. Al suo canto si unisce Silvia che, commossa, dichiara come l’amore l’abbia fatta piangere, mentre l’opera si conclude con un passaggio dalla triade di re maggiore a quella di re minore che sembra rappresentare il dolore per il sogno svanito. In effetti tutta l’opera sembra avere la delicatezza di un sogno che non riesce a realizzarsi proprio nel momento in cui ci sono tutti i presupposti perché questo accada. Silvia, che rifiuta il pur cercato amore di Zanetto, e quest’ultimo, che, a sua volta, non si accorge di avere di fronte la donna che aveva cercato, sembrano due personaggi talmente innamorati dei loro rispettivi sogni da aver paura della sua possibile realizzazione umana. La loro felicità, dunque, si risolve nel breve volgere di quell’incontro tanto intenso da riempire i loro cuori, anche se alla fine il dolore della separazione avvelena quel momento così bello e unico. La musica esprime questo sogno attraverso delicate atmosfere e un’orchestrazione che in alcuni passi presenta un carattere cameristico e intimo, come il sentimento che lega Silvia a Zanetto.