Venezia, 14 dicembre 2013
Siamo andati alla Fenice a cuor leggero come si va ad una festa, quella per il decennale dalla ricostruzione, con l’orgoglio, che è di tutti i veneziani, di poter vantare, tra le altre ricchezze di questa nostra città, un teatro tra i più prestigiosi del mondo.In apertura di questa serata di gala i doverosi discorsi del maestro Maazel e delle autorità, introdotti con elegante dizione dall’attrice Ottavia Piccolo, per la quale veramente gli anni sembrano non passare mai. Lorin Maazel ha, tra l’altro, ricordato il rapporto profondo che da molti anni lo lega a Venezia e alla Fenice, da quando, ancora studente, frequentò il Conservatorio Benedetto Marcello, per arrivare alla Traviata del 2004, evento inaugurale del teatro ricostruito, fino all’odierna serata, in cui la Nona di Beethoven porta con sé un messaggio di gioia, pace e fratellanza. Legittimamente soddisfatti il sovrintendente Cristiano Chiarot – che ha potuto presentare al pubblico, nonostante le difficoltà di questi dieci anni, un teatro ancora al primo posto in Italia per produttività e con il bilancio in pareggio – e il sindaco della città lagunare Giorgio Orsoni, che ha espresso il suo apprezzamento per il lavoro svolto dai suoi predecessori e dai responsabili della Fenice, grazie al quale è stato riconsegnato alla città il suo massimo teatro, ormai più prestigioso e vitale di prima. Una serata di festa, dunque, di cui la monumentale Nona sinfonia di Beethoven, doveva essere il degno coronamento.
E ovviamente lo è stato, ma anche molto di più, e non credo solo per chi scrive. Erano molti anni che non ascoltavamo la Nona dal vivo, e l’emozione che ci ha suscitato questa esecuzione ci ha francamente stupito per la sua intensità. Complice è stato anzitutto il maestro Maazel: il suo gesto così essenziale eppure così carico di espressività; la sua compostezza, simile a quella di un dio greco, anche nei momenti di più forte pathos; la nonchalance con cui ha dominato ogni più piccolo particolare della partitura, che ci ha ricordato “la sprezzatura” che Baldassar Castiglione indica come tratto comportamentale distintivo del perfetto Cortegiano – quella raffinata disinvoltura, che rifugge dall’affettazione e nasconde ogni sforzo. La sua interpretazione del capolavoro beethoveniano è stata assolutamente intensa e raffinata, variegata nei tempi e nelle sottolineature dinamiche. Maazel è un direttore che ha il coraggio delle sue scelte e sa cogliere l’insieme pur facendo sentire ogni cosa, corre dove è opportuno, ma anche si sofferma ad indagare in profondità una determinata pagina. Così è stato anche per questa partitura, incredibilmente innovativa, nella quale Beethoven supera lo schema della forma sonata, fondata sui tradizionali due temi contrapposti, moltiplicando il materiale tematico, pur in una solidissima unità strutturale, assicurata dalle due matrici comuni da cui esso deriva: l’arpeggio degli accordi di re minore e di si bemolle. Siamo di fronte al Beethoven degli ultimi quartetti e delle ultime sonate per pianoforte, in cui ogni singola nota, ogni sequenza anche brevissima vive di vita propria.
Nel primo movimento, in cui Massimo Mila ha individuato fino a cinque temi o, per meglio dire, gruppi tematici, il direttore statunitense a partire dall’incipit, costituito dalla celebre quinta vuota evocante un’atmosfera primordiale, ha condotto, da vero mattatore, l’orchestra, via via che la musica prendeva forma, fino al primo tema, padroneggiando in ogni sua parte la fuga che ne segue, con la ricordata efficacissima disinvoltura, ottenendo dalle varie sezioni orchestrali prestazioni di grande precisione e bellezza, fino – dopo la ripresa – alla vasta quanto irrituale coda, che altera la tradizionale struttura tripartita della forma sonata e riprende tutte le idee musicali che compaiono nel movimento.
Scattante, ma anche morbida l’orchestra nello Scherzo (inaspettatamente collocato da Beethoven al secondo posto tra i movimenti), in cui dominava la vigorosa pulsazione ritmica del timpano in funzione solistica come i legni e i corni, in particolare nel Trio, dialoganti con gli archi; il tutto reso da Maazel senza l’ossessiva concitazione dionisiaca di certe esecuzioni, nell’intento di dare il giusto risalto alle varie parti dell’orchestra, facendo di questo movimento una pagina davvero suggestiva e, per certi versi, delicata, in cui il timpano risaltava particolarmente cupo e fatale. Intensamente espressivo il terzo movimento in cui si alternano due temi pacati e lirici, sottoposti a successive variazioni. Qui Maazel ha saputo rendere egregiamente il senso di calma e misteriosa attesa, che caratterizza questa pagina, imponendosi per cantabilità e senso delle sfumature, assecondato da un orchestra sensibile e attenta a tradurre ogni indicazione del gesto direttoriale in rotondità di suono ed elegante espressivo fraseggio, fino alla fanfara conclusiva delle trombe, a presagire l’apoteosi del finale.
Ma, come c’era da aspettarsi, il pubblico è stato letteralmente sedotto dall’esaltante movimento conclusivo, diviso in numerose sezioni con alternanza di tempi e caratteri diversi, aperto da un aspro accordo dissonante. Anche in questo caso la lettura di Maazel è stata analitica, approfondita, altamente espressiva. Impeccabili per coesione e fraseggio i violoncelli e i contrabbassi nel recitativo, che apre l’introduzione orchestrale, a cui si alternano brevi citazioni dai movimenti precedenti della sinfonia, prima dell’esposizione del tema della Gioia, che Beethoven sottopone ad un procedimento di accumulazione, affidandolo prima ai soli violoncelli e poi via via a gruppi sempre più nutriti di strumenti. Di ottima pasta la voce del basso Luca Tittoto, che, dopo il ritorno della dissonanza d’apertura, ha sfoggiato, nel recitativo, un fraseggio scolpito ed efficace, preludendo all’intervento anche gli altri solisti vocali – il soprano Ekaterina Metlova, il mezzosoprano Kate Allen e il tenore Jonathan Burton – che si sono rivelati in possesso di pari professionalità, ma la Metlova non è stata sempre stilisticamente composta. I quattro solisti hanno intonato assieme al coro – magistralmente istruito da Claudio Marino Moretti e capace di impeccabile dizione e intonazione – le nuove strofe scelte dall’Ode di Schiller, inserite in quattro episodi musicali: il primo, in cui le voci riprendono ed elaborano il tema della Gioia; il secondo, che lo trasforma in una sorta di marcia alla turca; il terzo che propone il nuovo tema della fratellanza universale; il quarto, che combina contrappuntisticamente il tema della Gioia con quello della fratellanza, dando origine a una grande architettura sonora. Nell’esecuzione di quest’ultimo episodio il maestro e l’orchestra hanno brillato per affiatamento e musicalità così come nell’esecuzione della successiva ultima ripetizione del tema della Gioia nella sua forma originale, da parte del coro e della piena orchestra in fortissimo, dove Maazel ha battuto dei tempi piuttosto dilatati, consentendo alle masse corali di scandire con efficace recitazione la parola poetica. Poi, attraverso una quantità di episodi secondari, la trionfale conclusione. E in successione il tripudio di un pubblico osannante. Oltre a Maazel e alle voci, un particolare tributo è stato destinato al maestro del coro.