Firenze, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino
“L’ELISIR D’AMORE”
Melodramma giocoso in due atti di Felice Romani, dalla commedia “Le Philtre” di E. Scribe
Musica di Gaetano Donizetti
Adina ROCIO IGNACIO
Nemorino DANIELE BERRUGI
Belcore MARIO CASSI
Dulcamara MARCO CAMASTRA
Giannetta ELENA BORIN
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Giuseppe La Malfa
Maestro del Coro Lorenzo Fratini
Regia Rosetta Cucchi
Scene Tiziano Santi
Costumi Claudia Pernigotti
Luci Daniele Naldi
Video proiezioni Roberto Recchia
Direttore del coro Lorenzo Fratini
Firenze, 15 novembre 2013
Tornati idealmente sui banchi di scuola ai tempi del nostro liceo, stasera abbiamo assistito ad un spettacolo riuscito in fondo solo a metà, tra propositi lodevoli sulla carta ma non riusciti nei fatti da parte della regia e una buona compagnia di canto che ha risollevato con la musica gli scollamenti evidenti tra testo e realizzazione scenica. Lo spettacolo ha delle indubbie qualità, data l’energia impiegata da tutti, dai solisti al coro e comparse, per raccontare in questa versione del tutto nuova la storia d’amore di Nemorino e Adina, in un impianto di scene, costumi, luci e video proiezioni di grande qualità. Tuttavia, dopo qualche minuto di piacevole sorpresa, le scelte registiche mi hanno lasciato perplesso e anche alquanto deluso. Perché se si deve rileggere e reinventare la drammaturgia, tanto varrebbe farlo anche con il testo. Mi chiedo, cioè, perché devo sentire parole e concetti che la scena sempre contraddice o vice versa. E quindi, in presenza di tutta questa fantasia con cui la regia rivede a proprio uso e consumo la trama e l’ambientazione del libretto originale, a che pro tutto questo rispetto per i suoi versi? Come si fa traducendo dalle altre lingue opere, operette e musical, sarebbe stato in fondo molto più coerente una bella riscrittura verso per verso che coincidesse almeno al prodotto complessivo proposto stasera al nostro pubblico. Rosetta Cucchi parte probabilmente da un assunto che condivido assolutamente: protagonista di quest’opera è l’innocenza e la purezza della gioventù incarnate dal tenero Nemorino, e quindi del tutto logico vedere questo adolescente alle prese con esperienze a tutti comuni negli anni del liceo: il primo amore, il primo bacio, le gelosie e le rivalità, il bullismo da alcuni subito, i “casini” da tutti combinati, le cocenti delusioni e le grandi speranze. Tuttavia, per insistere nell’ambientazione dentro l’High School all’americana con specializzazione in arti performative (stile “Saranno famosi” dei gloriosi anni Ottanta), lo scollamento tra testo e scena è stato così evidente da portarmi spesso a rinunciare a seguire la parola e farmi condurre solo dalla musica che, in questa lettura, è la colonna sonora portante di questo strano film. Per cui si segue il racconto più per intuizioni logiche e riconoscendo i soliti clichés, e non perché vi sia un senso musicale profondamente legato a quello testuale.
Primo tra tutti i problemi Adina che smette i panni della vivace “locandiera” (con tutto il passato teatrale che le apparterrebbe) per diventare la leader del gruppo delle ragazze belle e di successo che, del tutto logicamente, non può certo essere innamorata di uno sfigato senza stile come Nemorino. E dovrebbe essere divertita e lusingata dalle avances del maschio alfa, qui non più nei panni di un sergente prestante ma di un teppista che capeggia un gruppo di coatti, padroni dello stile più trash… Per non parlare di un Dulcamara che non può evitare di farci temere che stessimo per assistere piuttosto a “La canna d’amore”, dato che sono le erbe “aromatiche” e inebrianti i filtri che va distribuendo al piccolo mondo del cortile scolastico. Per fortuna che una barbona di passaggio gli ha lasciato in dote una fiaschetta di vino e così ci riporta indietro almeno un vago ricordo del testo di Felice Romani. Il massimo dell’assurdo poi è il momento drammaturgicamente cruciale in cui Adina, per dispetto e rabbia causati dal comportamento del “nuovo” Nemorino meno sfigato a causa dell’elisir-Bordeaux (la barbona americana si trattava molto bene), accetta la proposta di matrimonio di Belcore che sta per partire per la sua guerra (immaginiamo non più una lunga serata di battaglie a colpi di pugni e calci per combattere la banda di teppisti avversaria, a circa 4 fermate di metropolitana di distanza…) e che la data della cerimonia venga anticipata da sei a un sol giorno: certo, con gli scioperi dei mezzi pubblici non si sa quando potrebbe tornare dalla sua guerra… Naturalmente Adina già a sedici anni non ha famiglia, pur essendo vestita come una perfetta ragazza della buona società, e dispone della possibilità di sposarsi senza bisogno di parlarne a mamma e papà, anche da un giorno all’altro. Come una locandiera del Sette-Ottocento, Adina sui banchi del liceo si sarebbe guadagnata l’indipendenza e la libertà di scelte di vita con una media dell’otto e mezzo in ginnastica? E mi fermo qui.
Nella lettura musicale di Giuseppe La Malfa sono privilegiati ritmi ammorbiditi e tempi piuttosto lenti in generale, ma questa dilatazione generale si compensa con scelte dinamiche interessanti, specie nei colori delle famosissime pagine del secondo atto. La risposta dell’orchestra è stata stasera meno brillante del livello a cui ci hanno abituato alcune ottime esecuzioni dello scorso Festival e della stagione invernale scorsa. Il coro ha cantato bene ed interpretato con slancio e buona recitazione la direzione narrativa scelta dalla regia, affiancati molto brillantemente da un ottimo gruppo di comparse raccolte tra giovanissimi studenti dei licei cittadini.
Con il meritato omaggio di calorosi applausi nelle due arie del secondo atto, sia l’Adina di Rocio Ignacio che il Nemorino di Giorgio Berrugi sono stati la parte migliore del cast vocale. Il soprano ha dato vita ad una interpretazione molto incisiva e brillante del suo ruolo con una vocalità sicura in tutta la tessitura, vivace e molto convincente anche come attrice (grazie ad una fisicità perfettamente credibile nei panni di una ragazza così giovane). Il tenore ha fatto evolvere non solo in senso teatrale il suo personaggio da uno stato di povera vittima del bullismo generale a eroe ammirato e rispettato, ma anche la sua stessa voce che è passata da una certa opacità e monotonia nella prima aria e tutta la scena compresa nel primo duetto con Adina e poi quello con Dulcamara, a una vieppiù brillante e sonora proiezione nelle pagine musicali del finale primo e del secondo atto, che ha culminato in una esecuzione davvero emozionante della famosa aria “Una furtiva lagrima”. Se è una scelta artistica, chapeau! Riguardo le voci dei due baritoni, nonostante la loro buona resa generale, mi sono trovato di fronte ad alcune perplessità: Mario Cassi, dalla voce ampia e sonora, è veramente un buon interprete di questo Belcore stile cafoncello poco educato e per niente raffinato, ma è per questo che fraseggia con così poca fantasia e butta via l’occasione di fare quei bei colori che gli sarebbero sicuramente possibili? Sarà forse per essere aderente alla nuova lettura del ruolo che, anche se cita la mitologia classica per corteggiare la fanciulla del giorno, in realtà ha come punti di riferimento soltanto i metodi seduttivi di quel Fonzie della famosa serie televisiva. E pure Marco Camastra, molto simpatico, sornione e del tutto a suo agio scenicamente nei panni di questo pusher piuttosto a mal partito, opta per una vocalità stretta in gola, molto poco belcantista, che toglie colore al suo bel timbro vocale naturale e rende aspra la zona acuta, anche se effettivamente dona al suo personaggio una certa interessante ruvidezza e vivacità, specie nella sua divertente e brillante parte nel duetto con il soprano. Gli interventi musicali di Elena Borin nel ruolo secondario di Giannetta sono stati di buona resa vocale e scenica. Apprezzamento generale per tutti da parte del pubblico presente in sala.