Milano, Teatro alla Scala – Stagione d’opera e balletto 2012-2013
“L’HISTOIRE DE MANON”
Balletto in tre atti ispirato al romanzo di Prévost
Musica di Jules Massenet
Arrangiamento e orchestrazione Martin Yates
Coreografia Kenneth MacMillan
Ripresa da Karl Burnett
Manon Svetlana Zakharova
Des Grieux Roberto Bolle
Lescaut Antonino Sutera
Monsieur Guillot de Monfort Alessandro Grillo
L’amante di Lescaut Emanuela Montanari
Madame Beatrice Carbone
Il carceriere Mick Zeni
Il capo dei mendicanti Federico Fresi
Le cortigiane Alessandra Vassallo, Lusymay Di Stefano, Luana Saullo, Vittoria Valerio, Nicoletta Manni
Tre gentiluomini Walter Madau, Fabio Saglibene, Carlo Di Lanno
Cinque ragazze Susanna Tiengo, Lara Montanaro, Lorella Ferraro, Paola Giovenzana, Licia Ferrigato
I clienti Gianluca Schiavoni, Andrea Pujatti, Edoardo Caporaletti, Massimo Dalla Mora, Giuseppe Conte
Le prostitute Marta Gerani, Denise Gazzo, Patrizia Milani, Stefania Ballone, Corinna Zambon, Antonina Chapkina, Daniela Cavalleri, Giulia Schembri, Serena Sarnataro, Chiara Fiandra, Alessia Passaro, Azzurra Esposito
Vecchio gentiluomo Matthew Endicott
Le cameriere Daniela Siegrist, Adeline Souletie
Sei mendicanti Marco Messina, Valerio Lunadei, Eugenio Lepera, Daniele Lucchetti, Salvatore Perdichizzi, Andreas Lochmann
Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala
Corpo di ballo del Teatro alla Scala
Direttore David Coleman
Scene e costumi Nicholas Georgiadis
Luci Marco Filibeck
Produzione Teatro alla Scala
Milano, 12 novembre 2013
Se c’è un balletto in grado di mettere d’accordo l’appassionato di danza e quello d’opera, è certamente L’histoire de Manon. Originariamente, nel 1974, s’intitolava semplicemente Manon, proprio come l’opera di Massenet, e questo causò un diverbio tra i suoi creatori e gli eredi del compositore. Il titolo definitivo è forse un po’ troppo didascalico, ma almeno evita la confusione con il melodramma. L’histoire de Manon, presente nelle stagioni della Scala sin dal 1994, nello stesso allestimento ora riproposto, attira dunque l’attenzione del pubblico, tanto più quando le étoiles dei ruoli principali hanno nome di Svetlana Zakharova e della gloria nazionale (scaligera in particolare) Roberto Bolle, impegnati in tre delle otto recite.
David Coleman, che diresse già le 24 recite milanesi del 2011, dimostra come sempre un mirabile equilibrio nelle sonorità e nei tempi: favorisce i danzatori senza appesantire l’orchestra e, soprattutto, senza rallentare troppo i tempi. L’Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala è interamente formata da valenti giovani, pronti a eseguire con entusiasmo ogni pagina del composito balletto (nella scena del primo scambio di sguardi tra Manon e Des Grieux i corni risuonano un po’ spigolosi, così come sono un po’ deboli le trombe nelle scene corali del II atto, ma il risultato complessivo è molto buono). L’orchestra rivela il pieno splendore della musica in alcuni finali di quadro, a sipario chiuso, come nella Marcia delle principesse, tratta da Cendrillon, che Coleman trasforma in uno sfavillio di colori. Per non perdere mai di vista lo sviluppo narrativo, il direttore intensifica il suono orchestrale quando si manifesta la passione tra i due amanti, nel II quadro del I atto. Senz’altro più efficace nelle introduzioni e nei numeri d’insieme rispetto alle scene intimiste, Coleman porge la pagina forse più riuscita sul piano orchestrale con l’estratto da Don Chisciotte che apre il III atto del balletto.
L’avvio della danza è assai oleografico, in puro stile Prévost, con abbondanza di stoffe preziose, ninnoli del Settecento, movenze compassate. La spontaneità della coreografia (e la sua portata rivoluzionaria) inizia con il numero dei mendicanti, molto abili nel rappresentare movimenti popolareschi, non impostati secondo gli schemi classici: l’effetto è molto ironico, agile ed elastico.
Parlare della leggerezza di Svetlana Zakharova e della leggiadria dei suoi movimenti sarebbe operazione scontata. Va notata piuttosto la coerenza dell’impostazione interpretativa, perché la sua Manon è da subito animata da gioia di vivere, da autentica “sete di vita”. In piena aderenza alla rivisitazione di MacMillan, Manon è sin dal principio simbolo della amoralità (e quindi non c’è spazio per la timida collegiale che caratterizza invece il I atto dell’opera di Massenet). La tecnica della Zakharova è impeccabile, e si rivela in particolare nelle linee in generale, accompagnata dalla sua elasticità; meravigliose le prese, al pari delle pirouettes e del controllo perfetto di ogni movenza. In modo analogo, nella prima scena di corteggiamento, di Roberto Bolle colpisce la plasticità corporea unitamente all’espressività del volto. Il primo pas des deux è infatti centrato sul continuo scambio di sguardi tra i due interpreti, in una mirabile fusione plastica dei corpi; nonostante la muscolatura assai più imponente rispetto a quella della partner, anche Bolle trasmette un senso completo di leggerezza; è impeccabile e sempre controllatissimo nei grands jetés. Nel II atto i due amanti si trasformano, perché Manon è ormai femme fatale a tutti gli effetti, mentre Des Grieux si muove in una tristezza impacciata: gli interpreti a loro volta modificano la linea espressiva e rivitalizzano un quadro che di per sé è un po’ troppo lungo (le varie scene in cui Manon è esaltata dai corteggiatori), ma sorretto dalle straordinarie pagine musicali di Massenet. MacMillan ha il merito di avere applicato una coreografia contemporanea a un soggetto “classico”; ma grande è anche il merito propriamente musicale, nella scelta antologica da tutta la produzione teatrale (e non solo) di Massenet, per confezionare un balletto di notevole coerenza, e soprattutto di bellezza assoluta. Se le scene – a cura di Nicholas Georgiadis – di un Settecento prevedibile e stereotipato appaiono ormai datate, il costume di Manon – dello stesso Georgiadis – nel II atto è invece perfettamente funzionale alla modernità del personaggio, fatuo, sensuale, privo di esitazione nel correre verso il bene come verso il male. Anche nel III atto la Zakharova vive un’ulteriore trasformazione, e diventa una mendicante lacera e malata: l’espressività degli occhi guida il resto dei movimenti in modo impressionante, fino alla scena finale, in cui sfilano sullo sfondo tutti i personaggi rovinati da Manon, mentre i due amanti spirano sul proscenio. In questo stesso finale Bolle stupisce per la forza muscolare e impressiona perché è un magnifico partner: mosse, pirouettes, prese, e soprattutto nell’adagio, dimostrano la completa chimica tra i due. Particolarmente commovente il momento della morte di Manon, in cui la stremata fanciulla è accompagnata da Des Grieux fino agli ultimi spasimi: è la disperazione, che segue i quadri della passione, e che commuove il pubblico della sala in un trionfo finale di straordinaria emozione.
Per quanto riguarda gli altri interpreti, tutti convincenti, va detto che il Guillot de Morfontaine di Alessandro Grillo appare un poco parco di movimenti, non del tutto sciolto. Il Lescaut di Antonino Sutera è tanto manierato e mellifluo nel I atto, quasi trattenuto, quanto scatenato all’inizio del II, allorché compare ubriaco (riuscendo così a temperare molto bene effetti diversi). L’amante di Lescaut è interpretata da Emanuela Montanari, il cui dinamismo gioioso e solare non fa notare la diversità di tecnica rispetto alla Zakharova. La Madame di Beatrice Carbone è poco più che decorativa, ma comunque elegante, nelle sue apparizioni durante il II atto. Molto apprezzabile il Corpo di Ballo della Scala, soprattutto nei manèges dello stesso II atto. Il pubblico scaligero – è il caso di dirlo – va in delirio d’entusiasmo dopo il finale del III atto, e a buona ragione; i due protagonisti sono acclamati così tanto, che non si conta il numero delle chiamate sul proscenio, in una grande festa che coinvolge tutti gli artisti impegnati: trionfo della danza, della bellezza, del binomio solito, ma sempre commovente, amore-morte. Foto Brescia & Amisano