Serata inaugurale della “novecentesca” Stagione sinfonica del Teatro La Fenice

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2013-2014
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Diego Matheuz
Violoncello Emanuele Silvestri
Arvo Pärt: Cantus in Memory of Benjamin Britten per orchestra d’archi e campana
Pëtr Il’ič Čajkovskij:Variazioni su un tema rococò per violoncello e orchestra in la maggiore op. 33
Igor Stravinskij:”Petruška”, scene burlesche in quattro quadri (versione 1947)
Venezia, 8 novembre 2013
Si è aperta questa sera la Stagione sinfonica 2013-2014 del Teatro La fenice di Venezia, una rassegna quasi interamente dedicata ad autori del secolo scorso, che ormai – nella visione del Direttore Artistico Fortunato Otrombina, espressa nell’introduzione al programma di sala – vanno considerati come appartenenti ad una temperie culturale ormai conclusa e quindi valutati secondo una nuova prospettiva storica. Una scelta che muove da premesse ben precise, tra cui quella di escludere volutamente i “colossi” della seconda Scuola di Vienna, per dare spazio ad autori russi, francesi, americani, inglesi, troppo spesso offuscati dai “dodecafonici”, per schiudere un “altro mondo” di musica, anche attraverso accostamenti coraggiosi, come effettivamente abbiamo potuto sentire nel corso di questo concerto.
Un’eccellente prova di versatilità, quella offerta dall’Orchestra del Teatro La Fenice di Venezia nell’eseguire i titoli in programma in questa serata inaugurale, che presentano caratteri così diversi: dalla spiritualità che contraddistingue il minimalista Cantus in Memory of Benjamin Britten di Arvo Pärt al surrealismo naïf, alla Chagall, dello scanzonato Petruška di Igor Stravinskij, passando attraverso il  Settecento un po’ di maniera che aleggia nelle virtuosistiche Variazioni su un tema rococò per violoncello e orchestra di Pëtr Il’ič Čajkovskij. Il merito è ovviamente anche del maestro Diego Matheuz, perfettamente a suo agio anche di fronte a un programma tanto variegato, dimostrando ancora una volta di procedere nell’affinamento della propria arte direttoriale, temperando il suo proverbiale entusiasmo giovanile di fare musica, grazie ad un sempre più ponderato approccio alle varie partiture, attento a sottolineare costanti e varianti a livello strutturale, sfumature e contrasti di colore, e quant’altro.
Precisi ed espressivi gli archi nel Cantus in Memory of Benjamin Britten, una composizione opportunamente proposta in apertura per celebrare il centenario della nascita del grande musicista inglese: un lavoro concepito per archi e campana, intriso della mestizia e del misticismo, che da tempo connotano le opere di Pärt. Basato sul cosiddetto “stile a tintinnabuli”, la semplicità di concezione con cui è costruito è inversamente proporzionale alla pregnanza espressiva che l’autore riesce a raggiungere, in questo “canone mensurale” a cinque voci, in cui ogni voce conseguente imita quella antecedente assegnando alle note valori proporzionalmente sempre più dilatati, finché l’opera si conclude con un interminabile accordo che si spegne lentamente. Il tutto scandito inesorabilmente da funerei rintocchi di campana e, insieme, dal gesto sicuro di Matheuz.
Quanto alle Variazioni di Čajkovskij, questo pezzo da concerto, al pari della Serenata in do maggiore per archi (e di altre pagine anche operistiche) testimonia della grande ammirazione che il compositore russo nutriva per Mozart, sebbene appaia più genericamente ispirato ad un Settecento in bilico tra manierismo ed elegia. Dedicate al violoncellista Wihlelm Fitzenhagen, suo collega come docente presso il Conservatorio di Mosca, nonché Konzertmeister della Società musicale imperiale russa ed esecutore di tutti i suoi quartetti, le Variazioni ebbero una genesi alquanto travagliata, poiché il solista, di propria iniziativa, dopo la prima  assoluta del 1877 a Mosca, nel corso di una tournée in Europa  apportò alla partitura tali “correzioni”, da snaturare il lavoro concepito originariamente dall’autore, arrivando a sopprimere un’intera variazione e, tra gli altri spostamenti, a collocare la variazione in re minore (che aveva maggior presa sul pubblico) dalla terza posizione alla settima, per aumentarne l’effetto. Solo nel 1956 è stata pubblicata la versione originale che prevede otto variazioni. Inutile dire che il lavoro è tutto incentrato sullo strumento solista, cui competono difficoltà anche ragguardevoli. Decisamente positiva la prova di Emanuele Silvestri, per otto anni primo violoncello nell’Orchestra del Teatro la Fenice e ora prima parte nell’Orchestra Filarmonica di Israele: la sua padronanza tecnica gli ha consentito di affrontare con precisione e gusto i passaggi di bravura e le cadenze, come i momenti di malinconica espressività, nei quali ha rivelato grande sensibilità, assecondato da Diego Matheuz, che ha saputo valorizzare appieno la brillante scrittura orchestrale ciaikovskiana, accompagnando il solista con voluta affettazione ad enfatizzare frivolezze e patetismi settecenteschi. Grande successo per Silvestri, che ha ricompensato il pubblico con un bis bachiano: la Courante dalla suite n. 3 per violoncello.
Particolarmente evidente la maturazione del giovane direttore venezuelano – scoperto da Claudio Abbado – nell’interpretazione della suite dal balletto Petruška (apparso sulla scena nel 1911). Matheuz ha proposto una lettura analitica di questa partitura, svelandone il grande interesse ritmico (che preannunucia le asimmetrie del Sacre) come il grande fascino coloristico, che nasce, nelle animate scene d’insieme, da grandi affreschi sonori, a ricreare l’ambiente delle fiere con l’imitazione di orchestrine ed organetti, di danze e canzoni popolari; ovvero, soprattutto nei momenti in cui la musica si focalizza sulle misteriose marionette del Ciarlatano e le loro vicende – la tresca amorosa tra la Ballerina e il Moro e il conseguente dramma che sconvolge Petruška – da interventi solistici della tromba, del flauto e dei legni, delle percussioni e del pianoforte, che assume nel lavoro un ruolo concertante. A questo proposito si è potuta apprezzare appieno la grande professionalità dei solisti: dal pianoforte, appunto, da cui scaturiscono sovente sonorità percussive, ai clarinetti che in un insieme dissonante di arpeggi sovrapposti rappresentano Petruška, alla prima tromba che evoca, accompagnata dal tamburo, la scena della danza quasi meccanica della Ballerina, ai legni che intonano il valzer del Moro e la Ballerina, in cui si mescolano ritmi ternari e binari, fino al grido lanciato dalla tromba, intonando il tema di Petruška, ad esprimere la rabbia della marionetta di fronte ai due amanti. Applausi scroscianti alla fine, mentre il maestro segnalava le parti più meritevoli.