Quartetto di Cremona: Esplorando Beethoven alla “IUC(I)

Istituzione Universitaria dei Concerti, Stagione 2013/2014, Aula Magna de “La Sapienza” Università di Roma
QUARTETTO DI CREMONA
Violini Cristiano Gualco, Paolo Andreoli
Viola Simone Gramaglia
Violoncello Giovanni Scaglione
Ludwig van Beethoven (1770-1827): Quartetto in mi bemolle maggiore, op. 74 “Le Arpe”; Quartetto in la maggiore op. 18 n. 5; Quartetto in do diesis minore op. 131
Roma, 16 novembre 2013

Il Quartetto di Cremona (QdC), erede spirituale del Quartetto Italiano, assiduo frequentatore di Beethoven, propone alla “IUC” un piccolo ciclo di due concerti – il primo, quello appunto oggetto della recensione, e il secondo che verrà eseguito a gennaio 2014 − basati su un florilegio di quartetti beethoveniani, di cui sta curando l’esecuzione e incisione integrale: mediante una scelta accorta e meditata, il QdC esegue un quartetto della giovinezza (op. 18 n. 5), uno della maturità (op. 74) e uno della vecchiaia (op. 131). Il QdC ci lascia subito estasiati, incominciando dall’op. 74, definito “Le Arpe” per gli arpeggi pizzicati nell’Allegro (I tempo) che intendono evocare mimeticamente quello strumento; tutta la composizione – come la critica ha acutamente messo in evidenza – è pervasa di una aurorale lucentezza: un sereno profluvio di luce musicale. Segue il classicissimo e giovanile op. 18 n. 5, considerato per molto tempo un plagio di un quartetto mozartiano (KV 464), giudizio assai ridimensionato in quella che appare, semmai, una aemulatio cum imitatione; in quest’opera è più palese lo studio che il giovane Beethoven faceva − cercando un linguaggio suo proprio (per quanto, certo, l’opera non manchi di una sua ragione stilistica personale) −, spaginando i quartetti dei suoi più anziani idoli, Mozart e Haydn. E proprio osservando gli autografi dei vari quartetti per archi di Mozart si scopre quanto anche lui, che un’aurea leggenda vorrebbe compositore in grado di trascrivere la sua musica su partiture intonse, senza il minimo ripensamento, abbia tentato e ritentato, con correzioni e revisioni, nel trovare la strada compositiva di una forma musicale, il quartetto appunto, che mal cela una sua intrinseca difficoltà di composizione. Dopo le prime due esecuzioni e uno scroscio di meritati applausi, i membri del QdC ci deliziano con una vera e propria lezione sulla figura di Beethoven e i suoi quartetti: partendo dall’infanzia – m’è rimasta impressa la lettura di un articolo di giornale in cui si esaltavano le doti del giovane di Bonn per cercare un nobile finanziatore dei suoi studi viennesi, auspicandosi che, hegelianamente, accogliesse la reincarnazione dello Spirito della Musica dopo Haydn e Mozart−, dai suoi problemi famigliari (in primis, l’alcolismo del padre), terminando con nozioni più squisitamente tecniche, sulle strutture della sua musica e l’uso scelto delle diverse tonalità, con il corollario dei loro valori semantici tradizionali. Dopo l’intervallo, l’esecuzione dell’op. 131, un quartetto-monstrum composto da ben sette tempi e formato da materiale vario – come l’autore stesso riporta: una struttura complessa, quasi esemplificativa dell’intera vita compositiva di Beethoven. Tutte le esecuzioni sono notevolissime; il QdC è vellutato, preciso, rigoroso nell’agogica, ma capace di un intensissimo lirismo, spolpando ogni nota o frase per trarne l’interpretazione più consona a una visione d’impianto che impasta assieme i rigori d’una austera (ma mai pedante) classicità e l’afflato, le maree dell’interpretazione personale, mai tradendo il testo musicale (né essendo da esso traditi).