“Lost For Words” di Mauro Astolfi

Roma, Teatro Tor Bella Monaca
“Lost For Words” – L’invasione delle parole vuote
La Trilogia ( Studio I, II, III )
Coreografia e regia Mauro Astolfi
Spellbound Contemporary Ballet
Musica Loscill, HIF Biber, B. Frost, D. Bjarnason, A Winged Victory for the Sullen, Carlo Alfano
Interpreti: 
Sofia Barbiero, Maria Cossu, Alessandra Chiurilli, Mario Laterza, Giovanni La Rocca, Gaia Mattioli, Giuliana Mele, Marianna Ombrosi, Giacomo Todeschi
Disegno luciMarco Policastro
Roma, 1 novembre 2013

Lost For Words” è la sintesi di tre studi coreografici creati tra il 2011 e il 2013. Il fulcro su cui ruota il progetto sono le parole. Anzi, le parole vuote. Ne siamo invasi al punto da cedere e adattarci a queste parole vuote, lasciando che esse penetrino nel linguaggio arrivando ad ostacolare addirittura il pensiero. Quello che ci propone Mauro Astolfi – coreografo romano direttore, creatore ed autore della Spellbound Contemporary Ballet –  è una ribellione, la rivincita sulle parole, utilizzando il movimento come mezzo di espressione e ritenendo la muta relazione tra i corpi molto più autentica di qualsiasi discorso. E in effetti di movimento ne troviamo in abbondanza in “Lost For Words”. Sei donne e tre uomini, danzatori eccellenti in possesso di tecnica sopraffina che permette loro di sapersi districare con facilità anche in intrecci improbabili, di creare contorsioni sbalorditive, evoluzioni incredibili. Astolfi gioca con le qualità dei suoi danzatori in maniera quasi smodata, organizzando una serie infinita di passi a due e assoli che si susseguono senza sosta. Sembra che voglia fare sfoggio di tutto il materiale a sua disposizione: i danzatori entrano in scena camminando, si incontrano, danzano, escono camminando ed entra una nuova coppia. Va avanti così per tutta la mezz’ora della prima parte. Una “semplice” dimostrazione di ciò che si può realizzare con dei corpi ben allenati. La musica cambia, cambiano le relazioni tra le coppie (uomo-donna, donna-donna, uomo-uomo), ma l’energia non si modifica mai, non c’è mai un respiro, qualcosa che rallenti. É movimento allo stato puro, velocità, a tratti “isteria”, senza divagazioni, senza spinte emotive. Quello che al principio ci coinvolge, alla lunga risulta ripetitivo, annoia. La seconda parte è una battaglia. All’inizio un gruppo che vuole assoggettare un singolo, per diventare poi un tutti contro tutti. Assistiamo ad un momento molto interessante in cui si inscena un combattimento spietato: i danzatori si colpiscono e si atterrano senza mai toccarsi, si aggrediscono da lontano, come se delle forze sconosciute fossero state liberate dalla costrizione del corpo. Purtroppo rimane un unico momento isolato, ci sarebbe piaciuto uno sviluppo più ampio di quello che ci è concesso vedere. Poi si ritorna ai passi a due e agli assoli, sempre diversi eppure sempre uguali.
Di parole ne troviamo nella musica che fa da colonna sonora, contaminata da frasi e discorsi in lingue diverse. Parole scandite, sussurrate, ripetute al contrario. In fondo una parola che non comprendiamo diventa una parola vuota. La guerra contro l’eccesso di parole vuote continua senza esclusione di colpi, in questo caso hanno provato a cotrastarla schierando in campo una dose sproporzionata di movimenti, forse sperando di bilanciare l’esagerazione con altrettanta esagerazione. Ma un movimento dietro il quale non riusciamo a scorgere un bisogno emozionale, un movimento che non arriva a scaturire in chi lo osserva nessuna suggestione, non è anch’esso vuoto?