Chieti, Teatro Marrucino, Stagione lirica 2013
“DIE ZAUBERFLÖTE”
Siengspiel in due atti. Libretto di Emanuel Schikaneder.
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Sarastro FEDERICO BENETTI
Tamino PABLO KARAMAN
Oratore IVO RIZZI
Primo sacerdote, Secondo armigero ALESSANDRO CATALDO
Secondo sacerdote, Primo armigero DAVIDE CIARROCCHI
La regina della notte GIULIA DELLA PERUTA
Pamina GIULIA DE BLASIS
Prima dama SARA DI GIAMPIETRO
Seconda dama ANTONELLA SCHIAZZA
Terza dama CECILIA BERNINI
Papagena TANIA BUCCINI
Papageno FELIPE OLIVEIRA
Monostatos MORENO PATTERI
Primo fanciullo ELISA COCLITE
Secondo fanciullo FEDERICA DI DOMENICANTONIO
Terzo fanciullo LORENZO SPECA
Orchestra Sinfonica Abruzzese
Coro del Teatro Marrucino
Direttore Maurizio Colasanti
Maestro del coro Paolo Speca
Regia Enrico De Feo
Scene e costumi Massimo Marafante
Light designer Ivano Ursini
Chieti, 24 novembre 2013
In un territorio primo di fondazioni liriche di primissimo livello che sappiano captare grandi nomi e produzioni, il Teatro Marrucino di Chieti, unico teatro di tradizione nella fascia adriatica fra Macerata e Lecce, si affida alla ricerca di nuove voci del territorio per popolare i cast delle sue produzioni che, sia per motivi meramente di spazio (si consideri che la sala conta a malapena cinquecento posti) che di difficoltà economiche, hanno il merito di essere godibili seppur con pochi mezzi. A tal proposito si pensi che solamente in occasione di questo spettacolo il teatro ha finalmente fornito il servizio dei sovratitoli!. Secondo titolo dell’unica stagione lirica abruzzese è Die zauberflöte di Wolfgang Amadeus Mozart, compositore amatissimo a Chieti, al punto che a luglio di ogni anno gli viene dedicata una “Settimana mozartiana”.
L’allestimento e i costumi sono curati da Massimo Maraffante. Un unico impianto scenico costituito da una alta struttura di tubi metallici nudi. In tutto ciò si inseriscono quasi casualmente,vecchi mobili e suppellettili. I costumi hanno un sapore retrò, a cavallo tra gli anni ’40 e ’50. È piuttosto chiaro che il regista Enrico De Feo ha voluto reinterpretare l’iniziazione misterica al culto di Iside e Osiride nel complesso dei rituali proprio di un tipico “matrimonio all’italiana” dove la famiglia è sempre al centro di ogni evento della vita, nella buona come nella cattiva sorte: ecco dunque i parenti (in luogo del serpente del libretto originario) che tediano Tamino all’inizio dello spettacolo, gli “uomini della casa” (i sacerdoti) che tengono consiglio su cosa è opportuno fare e poi ancora i parenti “serpenti” (la Regina della Notte, le sue dame e Monostatos), personaggi loschi che seducono, aizzano e seminano discordia. La loro essenza negativa è accentuata dal loro entrare in scena sempre attraverso botole. Alla fine, ecco tutto il parentado colorito e chiassoso e gli amici di infanzia (Papageno e Papagena) che festeggiano le nozze di Tamino e Pamina. A completare il semplice ed efficiente impianto scenico è Ivano Ursini, che usa intelligentemente le luci: evitate le proiezioni (come spesso si ricorre in opere come questa), le luci evocano in modo quanto mai efficace la presenza dell’acqua, del fuoco, dei fulmini.
Passi pure l’impianto stereo per rendere i tuoni e il ruggito del leone, ma qualche problema di continuità stilistica (anche se sicuramente sempre molto apprezzato per chi non è avvezzo al tedesco) è dato dalla scelta dell’italiano per i dialoghi parlati: la discrepanza dell’alternarsi di due lingue assolutamente differenti tra l’italiano (recitato) e il tedesco (per i numeri musicali) è evidente. In questo spettacolo i due principi Tamino e Pamina sono convertiti in due adolescenti ancora ingenui ed estranei alle malizie del mondo che andranno a conoscere con gli eventi che si presenteranno lungo il loro cammino. Il primo è interpretato dal tenore italo-argentino Pablo Karaman, voce dal bel colore, espressivo e musicalissimo, nonché molto apprezzabile anche sul piano interpretativo. La seconda è l’abruzzese Giulia De Blasis, che da poco è uscita dalla scuola di perfezionamento dell’Accademia di Santa Cecilia di Roma e ne mostra i frutti: interprete emotivamente sensibile e cantante raffinata e dalla vocalità omogenea. Eccellente nel ruolo della Regina della Notte è Giulia Della Peruta, bravissimo soprano, nonchè ottima attrice, che ha ben caratterizzato le due arie del personaggio: il finto carattere malinconico-seduttivo dell’aria del primo atto “O zittre nicht, mein lieber Sohn!” ben contrapposto dal furore di “Der hölle racke kocht meinem herzen” del secondo atto affrontata con impavida sicurezza vocale e con un piglio da autentica virago. Federico Benetti, con un fraseggio sicuro e costante pacatezza interpretativa (sia vocalmente che nei gesti) rende al meglio il personaggio di Sarastro, così come è concepito dal regista: il sapiente, il go’el della famiglia la cui saggezza è riscontrabile anche nella proverbiale pacatezza con cui dà voce ai suoi pensieri.
Tra i personaggi principali una nota di merito va al baritono brasiliano Felipe Oliveira (Papageno): un madrelingua portoghese che finge di essere un italiano che finge di essere un madrelingua tedesco che finge di sforzarsi di parlare in italiano con tutto il carico di cadenze e accenti tedeschi. Nonostante questo complicato intreccio di di lingue, il cantante ha abilmente costruito il suo personaggio che, ovviamente, ha conquistato il pubblico, in particolare quello dei giovanissimi. Ha ben figuarato anche la Papagena di Tania Buccini, soprano con una bella coloratura sfumata del timbro. Meritevole di citazione ogni componente del cast: il grottesco, ma non caricaturale Monostatos di Moreno Patteri, Ivano Rizzi (Oratore), Alessandro Cataldo (Primo sacerdote e Secondo armigero), Davide Ciarrocchi (Secondo sacerdote e Primo armigero), e il canto omogeneo delle tre dame: Sara Di Giampietro, Antonella Schiazza e Cecilia Bernini. Hanno ben figurato anche le tre voci bianche provenienti dal Coro di voci bianche Nisea di Teramo: Elisa Coclite, Federica Di Domenicantonio e Lorenzo Speca, che hanno vissuto quest’esperienza come un gioco. L’orchestra Sinfonica Abruzzese, in una location limitante come quella del Marrucino, si è presentata in una formazione che si può tranquillamente definire “cameristica”, facendo di questo limite virtù, sfoderando una bella omogeneità e qualità di suono, consoni a Mozart. Il merito va anche alla concertazione di Maurizio Colasanti che, dopo un inizio un po’ lento, ha saputo recuperare freschezza e scorrevolezza. Ottimo e ben coeso il Coro del Teatro Marrucino, diretto da Paolo Speca. Calorosi e ben meritati applausi per tutti da parte di un pubblico festoso in un teatro completamente esaurito.