Francesco Grillo (compositore e pianista), Frame. Comprende: Northwind, Presentimento, Jumpy, Attesa, Egloga, Nettuno, Giocolieri, Senza risposte, Fuori servizio, Andorinhas, Siede sola, Toccata, Regard infini, Piano americano. 1 CD Sony Classical 2013.
È quasi ingenuo il tocco rapido del pianoforte in Northwind, il brano che apre la raccolta Frame di Francesco Grillo, pianista e compositore che ha esordito nel 2011, e che si è distinto collaborando con Stefano Bollani, Enrico Rava, Nico Gori, Yuri Goloubev. Frame è il terzo disco dell’artista, dopo HighBall (2011) e Otto (2012), ed è certamente animato da forte senso narrativo, nell’alternarsi delle sezioni, nel variare dei ritmi, nelle riprese di ritornelli. Tutto concorre, nelle musiche di Grillo, a “raccontare una storia” o a rappresentare un quadro, di cui l’ascoltatore intuisce le fila o immagina i contorni grazie al titolo e alle qualità peculiari della scrittura musicale. Il melodismo è ridotto al minimo, perché il compositore preferisce lavorare su moduli ritmici (dagli accenti sempre ben definiti), sottoposti a continua variazione armonica. E questa impostazione scongiura ogni tentazione romantica o post-romantica (tranne forse nell’attacco, quasi schumanniano, di Senza risposte). A volte è un arpeggio iniziale, seguito da scale e progressioni, a costituire lo schema musicale dell’intero brano (come in Attesa). Un titolo classicistico come Egloga, pur non avendo proprio nulla di bucolico o di agreste, riesce comunque come bel pezzo antologico, in chiave delicatamente elegiaca; altro titolo evocativo è il successivo Nettuno, le cui modulazioni suggeriscono uno scenario marino, privo però di qualsiasi caratterizzazione epico-mitologica. No, il mito, l’epos, la fiaba, sono orizzonti lontanissimi dalla poetica musicale di Grillo; in queste “musiche facili per immagini (anche) difficili” l’orizzonte di partenza e di arrivo è sempre quello della realtà concreta (per questo motivo lo stesso Nettuno è un omaggio delicato a stilemi di Debussy, magari rivisitati dalla brillantezza sorniona di Ravel).
L’ascolto sortisce un duplice effetto: sul piano compositivo Grillo vuole interessare con procedimenti discorsivi, stili di conversazione pianistica molto garbata; sul piano esecutivo l’artista insiste invece sulla brillantezza, e fa scorrere via la musica rapida e leggera, come per cancellare – o almeno occultare – la ricerca armonica e ritmica nascosta dietro di essa.
Ormai è divenuto frequente (popolare?) lo stile che reinterpreta i moduli classici della musica con le sonorità apparentemente leggere del pianoforte; ma, a differenza di esiti decisamente più commerciali, il merito principale di Grillo pare proprio quello di una ricerca che nasconda se stessa, che non ostenta l’esattezza di simmetrie e corrispondenze interne, perché preferisce far sentire a suo agio anche l’ascoltatore più timoroso. Persino in Toccata – titolo coraggioso – si apprezza con quanto umile garbo le strutture della passacaglia e della musica barocca (bachiana) siano sottoposte a una metamorfosi novecentesca che le trasforma in amabili e cangianti passi di danza, all’inizio un po’ compassati, poi sempre più gai. L’ambito d’appartenenza più schietto di tale produzione parrebbe quello cinematografico, di una musica cioè funzionale alla proiezione d’immagini; e infatti l’ascolto di Frame suscita il ricordo di numerose “colonne sonore” realizzate dal pianoforte solo. Ma non è giudizio diminutivo, quello dell’analogia al mondo del cinema; anzi, i brani di Grillo riescono quasi tutti nell’intento narrativo di cui si diceva all’inizio, ossia svolgere un racconto luminoso, in piena autonomia. E non può che essere simpatica una musica che sintetizzi un intero secolo di sperimentazione pianistica, da Scott Joplin agli Avion Travel.