Fidenza, Teatro Magnani, Stagione lirico-concertistica 2013/2014
“JÉRUSALEM”
Melodramma in quattro atti, libretto di Alphonse Royer e Gustave Vaëz
Musica di Giuseppe Verdi
Gaston, Visconte di Béarn ROSARIO LA SPINA
Il Conte di Tolosa DONATO DI GIOIA
Roger, suo fratello CARLO COLOMBARA
Ademar de Montheil, legato pontificio CESARE LANA
Raymond, scudiero di Gaston SEUNG-HWA PAEK
L’Emiro di Ramla MASSIMILIANO CATELLANI
Hélène, figlia del Conte di Tolosa DARIA MASIERO
Isaure, sua ancella STEFANIA MAIARDI
Un soldato SILVIO AGNESINI
Un ufficiale dell’Emiro GIOVANNI MARIA PALMIA
Un araldo NORIS BORGOGELLI
Primo ballerino GIUSEPPE PICONE
Orchestra Giuseppe Verdi di Parma
Coro dell’Opera di Parma
Balletto di Siena
Direttore Marco Dallara
Regia e luci Riccardo Canessa
Scene e costumi Artemio Cabassi
Coreografia Marco Batti
Fidenza, 17 novembre 2013
Con la ripresa di Jérusalem al Teatro Magnani di Fidenza si chiude un capitolo importante per quanto riguarda l’esecuzione contemporanea delle opere di Giuseppe Verdi. Molto semplicemente perché nessun teatro (in primis il Teatro Regio di Parma che pur si era ripromesso di portare in scena l’intero catalogo verdiano entro il 2013) è riuscito a mettere in scena questo raro titolo in occasione del bicentenario. Quindi chi avesse avuto anche solo la curiosità di vedere Jérusalem rappresentato, viene così soddisfatto. L’esecuzione del primo grand-opéra di Giuseppe Verdi, de facto conosciuto più per essere il “rifacimento” parigino de I Lombardi alla prima crociata, è stata integrale, Airs de Ballet comprese.
Spiace riferire della povertà di idee che ha contraddistinto la regia di Riccardo Canessa, artefice un paio di anni fa di una Bohème squisita, per non parlare della bellissima Adriana Lecouvreur del 2009: passi pure il fatto che lo spazio sia ridottissimo con tutto ciò che ne consegue, ma vedere crociati e donne dell’harem quasi sempre schierati al proscenio è un po’ poco. Anche per quanto riguarda le interrelazioni fra i personaggi cosa si è visto se non qualche abbraccio e una calligrafica gestione di entrate e uscite? Cosa avrà voluto significare poi Hélène che sbatte il velo in giro per il palco durante l’esecuzione della polacca… Più che felicità, isteria. L’unico momento ben costruito e risolto in modo intelligente è stata la scena dell’ingresso nella cappella con la conseguente invocazione di Roger all’atto primo: niente calca e caos, la scena completamente libera si focalizza sul futuro fratricida anche grazie a bel disegno luci (sempre a firma di Canessa), enfatizzandone l’aspetto sinistro. Le scene e i costumi sono opera di Artemio Cabassi: se le scene corrispondono alla povertà della regia (scena fissa, incorniciata ai lati da quinte di vago gusto neoclassico e in alto da un vistoso drappo rosso), lo stesso non si può dire dei costumi. Per quelli femminili vengono preferiti i colori viola e blu – colori che connotano anche buona parte dei costumi di Hélène -, mentre le donne dell’harem sono caratterizzate da colori verde-tenue e aranciati. Per i personaggi di rango – Hélène, Roger, il Legato pontificio… – vengono privilegiati i tessuti damascati mettendone così in risalto lo status (il damasco viene da sempre associato all’impiego della seta). Costumi veramente bellissimi, in contrasto col grigiore della scena, in particolar modo quelli realizzati per il personaggio di Hélène, sfarzosi e ricchi di richiami (si veda, ad esempio, il costume ideato per Hélène prigioniera dell’Emiro, orientaleggiante sì nella concezione – la gonna sopra il pantalone – ma nella foggia di gusto più occidentale, molto vicino a quello che nell’ ‘800 prenderà il nome di Bloomer Suit).
Molta cura è riservata anche ai costumi delle ballerine del Balletto di Siena, acconciate coi copricapi comunemente noti come “alla turca” (un po’ come per la celebre Schiava del Parmigianino). All’esecuzione dei ballabili, è corrisposta una coreografia creata da Marco Batti e eseguita dall’étoile Giuseppe Picone e dal Balletto di Siena, che si ritrovano qui dopo la spettacolo che li ha visti protagonisti quest’estate al Giardino della Reggia di Colorno. Il balletto, nel suo impianto originario, prevede quattro numeri (pas de quatre, pas de deux, solo, pas d’ensemble) che qui vengono scardinati. L’idea che sta alla base della coreografia di Batti non è certo nuova ma si è rivelata funzionale e molto gradevole: il balletto nel balletto (come già per notissime partiture: da un classico brano “di bravura” come Études di Harald Lander fino ad una raffinatissima miniatura come Pavlova and Cecchetti di John Neumeier). Dopo l’assolo di Giuseppe Picone (l’andante del pas de quatre), si susseguiranno i vari numeri eseguiti dalle giovani danzatrici del Balletto di Siena (da brevi assoli, fino ad un pas de quatre di gusto protoromantico per poi chiudere col pas d’ensemble) sotto lo sguardo di Picone – maître à danser. Una coreografia, quindi, ben bilanciata tra aspetto formale e interpretativo.
Carlo Colombara, interprete del personaggio di Roger anche alla ripresa del titolo al Teatro Carlo Felice di Genova nel 2000, è stato giustamente il trionfatore della serata: con voce ben timbrata e omogenea, favorita da un’emissione sempre morbida, ha offerto un chiaro esempio di come un canto ‘composto’ possa rendere merito ad un personaggio così proteiforme, da fratricida a penitente. Daria Masiero, da un paio d’anni, va affrontando personaggi verdiani molto diversi fra loro: dal canto ‘strumentale’ di Leonora del Trovatore fino ad Aida. A parte un paio di puntature un po’ spinte, è stata un’Hélène pregevole: a suo agio anche nel canto fiorito, si è messa in evidenza per la zona centrale sempre piena e tornita e per i bellissimi filati, sonori e sostenuti. Più problematica la prova del tenore Rosario La Spina come Gaston: tanta voce ma costantemente ‘inscatolata’, con enormi difficoltà in acuto. Di questo personaggio, diviso tra canto eroico e amoroso, giunge molto poco. Donato Di Gioia, ad onta di un timbro un po’ opaco, ha interpretato con autorevolezza e pertinente varietà d’accenti il ruolo del Conte di Tolosa. Molto alterna la prova di Cesare Lana come Ademar de Montheil: funzionale al primo atto ma alla grande scena della degradazione ha mostrato un canto muscolare e, di conseguenza, quasi afono. Sufficienti Stefania Maiardi (Isaure), Seung-Hwa Paek (Raymond) e Massimiliano Catellani (l’Emiro di Ramla). Completavano il cast Silvio Agnesini (Un soldato), Giovanni Maria Palmia (Un ufficiale dell’Emiro) e Noris Borgogelli (Un araldo). Marco Dallara, a capo della Filarmonica delle Terre Verdiane, ha diretto con bel gesto, chiaro ed elegante, riuscendo sempre a tenere le briglia di questa vastissima partitura che è stata restituita nella sua unitarietà senza cedimenti musicali e narrativi. Un po’ sottotono la prova del Coro dell’Opera di Parma guidato da Fabrizio Cassi. Molti applausi per tutti, con punte di vero entusiasmo per Colombara e Masiero. Foto per gentile concessione del Gruppo di Promozione Musicale “Tullio Marchetti”