Solisti dell’Orchestra del Teatro San Carlo di Napoli diretti da Jeffrey Tate; Enrico Pieranunzi (pianoforte), Gabriele Pieranunzi (violino), Alessandro Carbonare (clarinetto). Kurt Weill: Concerto for violin & wind orchestra, Op. 12; Igor Stravinsky: “Histoire du soldat” (Suite for clarinet, violin and piano); Darius Milhaud: Suite for violin, clarinet and piano, Op. 157b. Registrazione: Teatro San Carlo di Napoli, ottobre 2006 e maggio 2012. 1 CD Concerto 2071.
Meravigliose sonorità novecentesche, quelle del cd Concerto che propone due registrazioni dal vivo presso il Teatro San Carlo di Napoli, con un repertorio senz’altro inusuale nell’abbinamento del luogo alle scelte esecutive: non l’opera, non la sinfonia, ma il concerto cameristico, e per di più sul filo del rasoio tra sentieri del Novecento, jazz e musica d’ispirazione popolare. Il disco è suddivisibile in due parti, non tanto per l’avvicendarsi degli autori o degli interpreti, quanto piuttosto per l’organico, dal momento che il primo brano è una composizione strumentale di Kurt Weill, il Concerto per violino e orchestra di fiati, risalente al 1924, mentre le due suites che seguono, di Stravinsky e di Milhaud, limitano gli strumenti impegnati a un trio composto da clarinetto, violino e pianoforte. Lo stile e le ambizioni comunicative, però, si ritrovano in ottima consonanza, sia nella ricerca di quelle sonorità tipicamente novecentesche (espressioniste), stagliate in modo netto dagli strumenti a fiato, sia nelle cadenze ritmiche, che fano perno sul tango, e dunque dimostrano l’apertura a forme di origine popolare, da rivisitare in termini meditativi, sperimentali, ironici.
L’Andante con moto che apre il Concerto di Weill, per esempio, è tornito sulla rivisitazione del tango e di altri ritmi di danza popolare, al pari del Notturno. Allegro un poco tenuto che segue. La trasparenza del suono cameristico è affidata a uno dei direttori più competenti nel repertorio novecentesco come Jeffrey Tate: un artista di straordinaria generosità e meticolosità interpretativa, indimenticabile e autentico “interprete” di qualsiasi genere cui si accosti, dall’opera britteniana al sinfonismo bruckneriano. Tate guida apparentemente senza farsi notare il complesso dei solisti del San Carlo, e forse soltanto al termine dell’ascolto ci si accorge quanto prezioso sia il ruolo del direttore nel trattenere le fila ritmiche di un discorso musicale continuamente teso sulla dialettica del ritardando e dell’accelerando. La tromba che apre la Cadenza. Moderato guida il movimento più virtuosistico del concerto, nel cuore della struttura, prima che la Serenata. Allegretto ritorni ai ritmi del tango, cadenzati da un tenue brillio di triangolo (che emerge dalla perfezione della registrazione dal vivo, nitido come da studio d’incisione). L’Allegro molto. Un poco agitato conclude nervosamente il Concerto, permettendo al violino protagonista di tornare a cadenze più cupe, quasi lugubri, come liberato dalle tentazioni melodiche dei movimenti precedenti. Il violino solista di Gabriele Pieranunzi è del resto in ogni sezione tagliente e misurato: non eccede nelle sonorità, eppure sovrasta sempre in maniera riconoscibile la compagine di fiati e percussioni, con una calibratura perfetta tra l’unico strumento a corda – che però è il main character – e tutti gli altri. Pieranunzi realizza molto bene una sorta di vocazione di Weill alla freddezza espositiva dei numerosissimi disegni melodici e ritmici affidati al violino: le agilità, le volate, i trilli, sono enunciati con naturalezza, e con intensità crescente nel finale, ma senza compiacimento lirico o sentimentale. Sopra ogni altro carattere musicale predomina infatti l’intento architettonico, costruttivo dello spazio sonoro, secondo un approccio che meglio non potrebbe introdurre – nel seguito ideale che il cd propone – la suite di Stravinsky dall’Histoire du soldat.
Il violino di Gabriele Pieranunzi, dunque, è adesso affiancato dal pianoforte del fratello Enrico, per la prima volta impegnato in un repertorio “classico”, e dal clarinetto di un grande virtuoso come Alessandro Carbonare; ed è bellissimo il nuovo effetto ritmico, poiché sulla ripresa del tango (come in apertura del lungo brano di Weill) s’innesta la cadenza del valzer (Tango – Valse – Rag è la didascalia del I movimento). Seguono, senza soluzione di continuità, il n. 3 dai Three Pieces for Clarinet solo (in cui Carbonare incastona una gemma stravinskyana della sua arte solistica), un fantastico “Improigor”, che pare improvvisazione jazzistica di Enrico Pieranunzi al pianoforte, e il ritorno (poco filologico, ma irresistibile) allo Stravinsky della Danse du diable, a coinvolgere nuovamente i tre strumentisti nella ridda finale.
Composta nel 1936, la brevissima Suite di Milhaud per gli stessi tre strumenti si apre con una gaiezza tutta francese (Ouverture), che mancava sicuramente nell’ironico e brillante cinismo dei brani precedenti; appena più malinconico il Divertissement che segue, in cui si contemperano, anziché inseguirsi come in Stravinsky, soprattutto violino e clarinetto; Jeu è un’altra fulminea fanfara, avviata e conclusa con la gaiezza dell’Ouverture ma ripiegata sulla malinconia centrale; Introduction et Final è didascalia del IV movimento, il più articolato della Suite, in cui Milhaud sembra stemperare in una dolcezza struggente i ritmi del tango (ancora!), con una trasformazione quasi irriconoscibile rispetto ai modelli. Come se alla sardonica vena di Stravinsky o all’ombrosa ispirazione di Weill si sostituisse un macchinario capace di alterare e alternare le velocità: rallentate in chiave elegiaca, accelerate in chiave sbruffoncella; una memoria, forse un poco malinconica e tardiva, degli sberleffi del Boeuf sur le toit del 1919.