Torino, Teatro Regio, Stagione Lirica 2013/14
“SIMON BOCCANEGRA”
Melodramma in un prologo e tre atti. Libretto di Francesco Maria Piave e Arrigo Boito, dall’omonimo dramma di Antonio García Gutiérrez
Musica di Giuseppe Verdi
Simon Boccanegra ALBERTO MASTROMARINO
Maria Boccanegra (sotto il nome di Amelia Grimaldi) ERIKA GRIMALDI
Jacopo Fiesco MICHELE PERTUSI
Gabriele Adorno GIANLUCA TERRANOVA
Paolo Albiani DEVID CECCONI
Pietro FABRIZIO BEGGI
Un capitano dei balestrieri ALEJANDRO ESCOBAR
Un’ancella di Amelia SABRINA BOSCARATO
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Direttore Gianandrea Noseda
Maestro del coro Claudio Fenoglio
Regia, scene e costumi Sylvano Bussotti
Regia ripresa da Vittorio Borrelli
Luci Andrea Anfossi
Direttore dell’allestimento Saverio Santoliquido
Allestimento Teatro Regio
Torino, 15 ottobre 2013
La funzione “museale”, spesso irrisa da registi e critici progressisti, è intimamente connaturata al ruolo dei teatri d’opera dei nostri giorni, dal momento che essi, notoriamente, non dedicano la maggior parte del cartellone a titoli di compositori viventi. Tale funzione è tuttavia nobilissima, come quella dei musei delle arti figurative, perché consiste nel rendere disponibili ai contemporanei i capolavori che il teatro d’opera, questa forma d’arte per eccellenza italiana e come tale riconosciuta in tutto il mondo, ha prodotto nel corso dei secoli. Ora, fatta questa scelta di repertorio, pare altrettanto lecito che le opere vengano riproposte, non dico sempre ma almeno talvolta, con allestimenti che riproducano il tipo di spettacolo cui assistevano gli spettatori che videro la nascita dei capolavori; o con allestimenti significativi nella storia della regia dei decenni passati. Del resto una regia d’opera funziona e va valutata non per il suo grado d’originalità, ma per la sua aderenza alla drammaturgia musicale. La regia di Sylvano Bussotti, con le sue belle suggestioni scenografiche marine, i suoi gesti scultorei nei momenti topici del dramma, le sue luci, ora soffuse ora taglienti, risponde a questa esigenza. Non mi soffermerò ulteriormente sul lato scenografico, dato che di esso ha già riferito nella sua recensione il collega Michele Curnis, così come non mi soffermerò sulla direzione di Gianandrea Noseda, della quale si è potuta apprezzare una maturazione nella lettura verdiana che lo ha portato a valorizzare le pagine orchestrali e gli interventi solistici degli strumenti senza che ciò andasse a discapito delle voci e dell’equilibrio buca-palcoscenico. Peccato solo per le campane che concludono il prologo, verosimilmente in playback.
La sera del 15 ottobre, due sorprese attendevano gli spettatori: l’introduzione di un intervallo alla fine del prologo, comune a tutte le recite della seconda compagnia, e la sostituzione dell’indisposto Giacomo Prestia, nel ruolo di Fiesco, con il basso titolare della prima compagnia Michele Pertusi. Quanto all’intervallo, il confronto diretto con la rappresentazione della sera successiva a intervallo unico mi ha confermato che le suddivisioni in atti non sono un mero accidente ma hanno una loro funzione drammaturgica, e che sarebbe bene rispettarle nella prassi esecutiva. In specie, poi, è quanto mai opportuno sottolineare lo scarto cronologico (25 anni) che separa l’elezione di Boccanegra dagli avvenimenti che seguono. Quanto alla sostituzione del basso, si è potuta ancora una volta apprezzare la grande classe di Michele Pertusi, manifestatasi nello splendido legato dei cantabili, nella fluidità della linea melodica e nelle sapienti sfumature di colore, che hanno abbondantemente compensato uno strumento non sempre adeguatamente voluminoso, specie nel registro più grave, per sostenere il ruolo e l’orchestrazione verdiana. La parte tenorile di Gabriele Adorno è stata affidata a Gianluca Terranova, dallo strumento sontuoso e squillante, come s’è dimostrato ripetutamente nel finale I; non si può dire che la sua tecnica sia molto raffinata, avendo essa piuttosto l’impronta naïf da tenore d’altri tempi, ma Terranova non manca di sensibilità interpretativa, come si sente nelle opportune inflessioni baritonali dell’introduzione all’aria del II atto, ed in specie sui versi «Pietà, gran Dio, del mio martire», che delineano la lacerazione interiore del giovane innamorato. Dell’interpretazione del soprano Erika Grimaldi (nel ruolo di Amelia/Maria) hanno colpito in particolare la bellezza e la luminosità nel registro acuto, che si manifestano in particolare nei passi di più chiaro lirismo, come i duetti con Gabriele, e in specie il cantabile «Sgombra dall’alma il dubbio» del II atto, quando la voce è perfettamente scaldata; per dipingere a 360° la figura di Amelia (che è pur sempre una trentenne e non un’ingenua adolescente) le occorrerebbero solo risonanze ombrose più evidenti nel registro medio-grave.
Se fin qui si è parlato di una buona recita, dove la serata è caduta, e non lo si può tacere, è stato sul protagonista. Il baritono Alberto Mastromarino, infatti, risulta privo di quei tratti vocali di cui necessita la figura del Doge; riesce a risolvere con dignità dove se la può giocare sul declamato, generando un effetto realistico, colloquiale, che a tratti non è dispiaciuto, come quando interviene, all’inizio del duetto con l’ancora ignota figlia, interrompendo il cantabile di Amelia con la domanda «In Pisa tu?»; ma quando Simone dovrebbe ergersi ad un’altra statura politica e morale, sfoggiando il carattere veemente o l’umanità del legato, la voce ingolata e nasale non risponde alle intenzioni. Al confronto, è parso più schietto il baritono Devid Cecconi nei panni del viscido Paolo Albiani. Il cast è stato ben completato dal basso Fabrizio Beggi (Pietro), dal soprano Sabrina Boscarato (Ancella di Amelia) e dal tenore Alejandro Escobar (Capitano dei balestrieri); i primi due nomi sono comuni alla prima compagnia, il terzo, nitido e incisivo nel proclamare l’ordine pacificatore del doge, riservato alle serate con il cast alternativo.
Tra gli elementi “tradizionali” di questa produzione si registra il ritorno in auge della figura del suggeritore: non si sa se ciò sia motivato dalla struttura dell’allestimento che impediva la collocazione dei monitor visibili agli artisti che oggi vengono spesso usati nei teatri d’opera, o piuttosto da una minore sicurezza dei protagonisti; fatto sta che la voce che suggerisce gli incipit dei versi, alla quale non si è più abituati da tempo, è suonata fastidiosamente spiacevole. Speriamo che, almeno in questa funzione, il suggeritore torni nei ricordi del passato. Foto Edoardo Piva