Torino, Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, Stagione Concertistica 2013-2014
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore Dima Slobodeniouk
Violino Sergej Krylov
Sebastian Fagerlund: “Isola”, per orchestra
Jean Sibelius: Concerto in re minore op. 47 per violino e orchestra
Sergej Prokof’ev: Sinfonia n. 7 in do diesis minore op. 131
Torino, 17 ottobre 2013
Il primo tratto accomunante del secondo concerto della stagione OSN RAI di Torino è l’origine moscovita di direttore d’orchestra e di solista al violino: entrambi musicisti molto giovani, capaci di lasciare un segno interpretativo originale nell’esecuzione del concerto di Sibelius, al centro del programma. Anche il brano d’apertura, però, si collega all’atmosfera di tale opera, poiché di origine finnica è il compositore Sebastian Fagerlund (nato nel 1972), la cui Isolavanta i caratteri della novità: commissionata da Slobodeniouk per conto del Festival Musicale di Korsholm, la composizione fu eseguita per la prima volta nell’estate del 2007, ed è ora alla prima esecuzione italiana. Anche l’isola del titolo è in Finlandia, perché si tratta di Själö, nell’arcipelago sud-ovest. «La musica non è in alcun modo una descrizione dell’isola. L’impressione, però, si è fissata nella mia mente e si è manifestata come una sorta di ispirazione astratta per questo brano». Così scriveva l’autore nel 2007; l’esecuzione musicale è senza dubbio molto accurata, ma che dire della qualità della musica? Considerato il grande organico impiegato e la durata di circa un quarto d’ora, un tempo si sarebbe chiamata in causa la parola decorativismo, per individuare uno stile pretenzioso ma attardato: se in esordio si percepisce l’andamento della musica destinata al cinema, nel prosieguo la struttura si assesta su di un grande flusso sonoro sinusoidale, sostenuto ora dagli ottoni ora dalle percussioni ora dagli archi. Il finale non evita qualche ammiccamento che dal cinema ambizioso scende piuttosto alle colonne sonore della serie spilberghiana di Indiana Jones.
Più “spirabil aere”, perché autentico, sorgivo, con il concerto per violino di Sibelius, per cui entra in scena Sergej Krylov; sin dall’Allegro moderato si staglia il suono non molto caldo, ma terso e pulitissimo nel timbro, del violino fabbricato dal padre del solista, celebre liutaio russo. E Krylov si accosta a Sibelius con ambizione di collocare sempre il giusto accento, e allo stesso tempo di collegare sempre melodicamente le frasi del discorso musicale; nella cadenza del I movimento domina infatti il legato, anche a rischio di appianare qualche agilità, in funzione del melodismo. Sia nell’apporto direttoriale sia in quello solistico la cifra principale dell’esecuzione è comunque la pacatezza (salvo qualche sporadica accelerazione improvvisa, come nel finale I). La stessa pacatezza che, sotto forma di calma tesa, apre il II movimento (Adagio di molto), non senza qualche incidente d’intonazione. Il senso interpretativo di esacerbazione che non trova vie d’uscita, di angoscia coatta dal mondo, forse dalla bellezza stessa del mondo, si sprigiona soltanto nel cuore del concerto. Nel finale (Allegro ma non tanto) alcuni passaggi di agilità sono nuovamente semplificati, mentre il direttore – per converso – rende nel dettaglio le frasi affidate ai fiati. Grandi applausi salutano l’esecuzione “melodistica” di Krylov, che a sua volta ringrazia con un bis bachiano tutto improntato al gusto per il legato.
Nella seconda parte del programma, come d’abitudine, è protagonista l’orchestra da sola, impegnata con un Prokof’ev che si congeda dalla musica e dal mondo: la Sinfonia n. 7è del 1952, anno che precede quello della morte del compositore. Il direttore imprime, sin dall’avvio (Moderato), uno stile cantabile e brillante al tempo stesso, con ottime sonorità di fiati e ottoni che si gonfiano in ampie volute, per cedere poi spazio al vibrato degli archi; delicatissimi lo xilofono e il triangolo, capaci così di evocare l’atmosfera del balletto Cenerentola. Anzi, tutto il II movimento, nella sua composita articolazione ritmica, diventa nella direzione di Slobodeniouk una perfetta scena di balletto, guidata da trasparenza e leggerezza (secondo un’opzione molto intelligente, capace di evitare una lettura troppo semplicistica e popolareggiante). Nell’Andante espressivo si avvicendano voci strumentali impegnate in diversa misura: arpa, corno, tromba, oboe; tutti magistrali nell’espressività. E quindi parte la galoppata del finale (Vivace, il segmento più conosciuto di una sinfonia assai poco eseguita; basti dire che alla RAI di Torino mancava dal 1965); il direttore regge comunque le briglie con molto garbo, preferisce continuare a essere trasparente più che reboante, come per non rimarcare troppo una forzata positività. Solo alla fine il tema principale rivela la sua brillantezza anche un po’ sfrontata, prima che la sinfonia si concluda nel segno della piacevolezza e della simpatia (oltre che del conseguente, giusto successo).