Romaeuropa Festival 2013: “Continu” di Sasha Waltz

Roma, Auditorium Conciliazione, Romaeuropa Festival 2013
“CONTINU” 
Coreografia Sasha Waltz
Drammaturgia Jochen Sandig
Musica Iannis Xenaxis, Edgar Varese, Claude Vivier, Wolfgang Amadeus Mozart
Percussioni Robyn Schulkowsky
Interpreti: Liza Alpizar Aguilar, Ayaka Azechi, Jiri Bartovanec, Justin Billy, Davide Camplani, Maria Marta Colusi, Juan Kruz Diaz de Garaio Esnaola, Luc Dunberry, Edivaldo Ernesto, Delphine Gaborit, Florencia Lamarca, Sergiu Matis, Todd McQuade. Thomas Michaux, Virgis Poudziunas, Sasa Queliz, Zaratiana Randrianantenaina, Orlando Rodriguez, Mata Sakka, Yael Schnell, Xuan Shi, Niannian Zhou.
Scene: Thomas Schenk, Pia Maier Schriever, Sasha Waltz
Costumi Bernd Skodzig
Luci Martin Hauk
Produzione Sasha Waltz & Guests
Roma, 3 ottobre 2013 

Nato per inaugurare il Neus Museum di Berlino prima e ripreso per il MAXXI di Roma poi, “Continu” è il frutto di quasi dieci anni di ricerca coreografica. L’opera di Sasha Waltz – coreografa tedesca residente a Berlino – nasce per animare e celebrare questi grandi spazi espositivi. Nella versione per il teatro, sintesi del 2010 dei due lavori sopra citati, l’intenzione rimane la medesima: un continuo dialogo tra spazio e corpo. “Continu”, appunto.
Lo spettacolo, un concerto coreografico come lo definisce la coreografa stessa, si divide in tre sezioni distinte e allo stesso tempo incatenate tra loro. Nella prima, sei donne in morbidi abiti neri si muovono al ritmo di “Rebonds B” pezzo percussivo diIannis Xenakis eseguita dal vivo dalla straordinaria Robyn Schulkowsky. La danza sembra quasi tribale, fatta di oscillazioni e volteggi, salti e cadute. Non ci sono linee pulite o morbide, ci sono spigoli e scatti, pulsazioni infinite, respiri forzati. Ogni donna è una coreografia a sé stante, anche quando eseguono tutte lo stesso movimento, anche quando entrano in interazione una con l’altra, ognuna ci trasporta in un mondo proprio, unico.
La seconda parte si apre con ventitrè danzatori in scena, la compagnia al completo. Tutti vestiti di scuro. Ventitrè eccezionali protagonisti provenienti dall’Europa, le Americhe, l’Asia, l’Africa. Ci raccontano lo spazio: lo percorrono, lo tagliano, lo ingoiano, lo modellano a loro piacimento. L’atmosfera è cupa, drammatica, violenta, a tratti ricorda “La Sagra della Primavera” di Pina Bausch. Lunghi pezzi corali da cui si distaccano coppie e soli per poi tornare ad essere fagocitati nel gruppo. C’è rabbia e lotta, ribellione e prepotenza. Un momento carnefici, un attimo dopo vittime. Scene di guerra e di fuga, di rassegnazione e rivolta. La qualità del movimento rievoca la “Modern Dance” alla Graham, eppure a volte la danza risulta costretta nel corpo dei danzatori, come se premesse in tutte le direzioni per uscire fuori: dalle braccia, dalle gambe, dalla testa, persino dalla voce. La partitura sinfonica di Edgar Varese “Arcana” accompagna i danzatori, mentre nei momenti di silenzio, sono essi stessi a creare il sottofondo sonoro utilizzando i respiri e le battute dei piedi in terra.
Dopo la pausa, quando si riaccendono le luci sul palco, è stato steso un tappeto di linoleum bianco. La terza ed ultima parte dello spettacolo è pura poesia. Il nero dei costumi ha lasciato spazio al bianco, al beige, al marrone; in alcuni casi i danzatori sono seminudi. Ora i movimenti acquistano quella fluidità e morbidezza che è mancata fino a questo momento. Niente più scatti, tutto è scivolato, i respiri spezzati diventano silenziosi sospiri. I piedi lasciano segni neri e rossi sul tappeto bianco, come se fosse una tela su cui dipingere, cerchi e strisce, segni indelebili dei passaggi avvenuti. E’ la musica di Claude Vivier a prenderci per mano nell’ultima parte del viaggio. Si viene trasportati in una dimensione completamente nuova, quasi onirica, in cui lo spazio pare perdere le sue regole e ci ritroviamo ad osservare quattro donne che camminano sulla parete o il pavimento che si solleva mentre è in corso un commovente passo a due su un Adagio di Mozart. Il finale ci lascia senza fiato: l’ultimo danzatore rimasto in scena, solleva il tappeto e correndo lo lancia fino a sparirci dentro. Ci rimaniamo anche noi là sotto, sopresi e ammaliati, come se quello spazio bianco avesse ricoperto tutto il pubblico, rendendolo parte dello spazio. Successo entusiastico!