Verona, Teatro Filarmonico, XXII edizione del Settembre dell’Accademia
Junge Deutsche Philharmonie
Direttore David Afkham
Soprano Christiane Oelze
György Ligeti: Lontano
Richard Strauss:“Vier Letzte Lieder”
Bela Bartok: Concerto for Orchestra. SZ 116
Verona, 26 settembre 2013
In occasione del settimo appuntamento della rassegna “Il Settembre dell’Accademia” di Verona sale sul palco del Teatro Filarmonico l’orchestra giovanile tedesca, Junge Deutsche Philharmonie, impegnata in un programma piuttosto interessante che va a discostarsi della linea guida generale degli appuntamenti precedenti della stagione, focalizzati maggiormente sui grandi classici del repertorio. Il progetto di base della JDP è fondamentalmente lo stesso della nostra Orchestra Giovanile Italiana (che con gran dispiacere non vediamo mai comparire nel cartellone veronese): i giovani partecipanti sono i vincitori di selezioni che hanno luogo in tutta la Germania, e si ritrovano periodicamente per preparare programmi da concerto che poi porteranno in giro per le sale da concerto europee.
In apertura di concerto la platea veronese ha avuto il raro piacere di ascoltare Lontano di György Ligeti, la cui complessa scrittura ormai totalmente slegata da ogni genere di procedimento tonale o seriale a favore del solo cromatismo mette in luce la preparazione musicale dei giovani ragazzi tedeschi. Il brano –composto in modo totalmente astratto, senza l’uso del pianoforte- procede per agglomerati sonori che vanno a crearsi nell’intreccio di frammenti melodici (spesso ovviamente dissonanti) tra i vari strumenti, cosicché il ritmo non possa essere percepibile dall’esterno e che la platea risulti invasa dall’incedere lento di un unico e atemporale alone sonoro. Il risultato è agghiacciante ma al contempo geniale nel porgere all’uditorio uno scenario alienante come scorcio su una nuova modalità di ricerca espressiva che rifiuta categoricamente le forme “pathetiche” precedenti. L’orchestra si dimostra in grado di affrontare in modo complessivamente adeguato la gestione di tale intricato avvicendarsi di macchie sonore. Seguono gli splendidi Vier Letze Lieder di Richard Strauss, purtroppo non resi in maniera entusiasmante né dal direttore David Afkham né dalla giovane compagine: quest’ultima pagina che Strauss compose prima della morte racchiude in sé l’immensa sfida di restituire un ultimo dono alla vita da cui ebbe ogni genere di merito, onore e felicità in pacifica attesa di una morte serena. Intrinseca dunque è la maturità musicale necessaria per affrontare questi “ultimi quattro lieder” e per renderne efficacemente il carattere ed il messaggio di totale riappacificazione con l’eterno attraverso la perfezione immutabile della natura e del tempo. L’orchestra è tecnicamente preparata per affrontare le non poche difficoltà tecniche del brano, che risolve in effetti impeccabilmente; quel che manca probabilmente non può essere imparato se non con l’esperienza che per ovvi motivi ancora non possiedono. Lo stesso discorso vale per il direttore, altrettanto giovane, che nonostante il gesto chiaro e gli spunti musicali più che interessanti in parte manca di quell’ispirazione e profondità di interpretazione adatta per gestire l’ampia complessità di respiro della pagina. La solista, la tedesca Christiane Oelze, non sembra a suo agio in questo tipo di repertorio: il registro basso pare piuttosto vuoto e spesso viene a mancare il supporto adeguato per sostenere le lunghe linee melodiche. Il tutto è condito da una gestualità esagerata che di certo non va a facilitare l’emissione, in effetti piuttosto aggressiva. Il pubblico, in ogni caso, gradisce ed applaude calorosamente facendo rientrare più volte in proscenio Afkham e la Oelze.
L’interpretazione che ha convinto maggiormente è stata invece quella del Concerto per Orchestra di Bela Bartok, forma particolare e non molto diffusa probabilmente ispirata dall’amico Kodaly ma nota anche a Paul Hindemit. Scritta come omaggio alla Boston Symphony Orchestra, la composizione si rivela perfetta per mettere nuovamente in luce la solidità tecnica e strumentale dei giovani tedeschi. Chiaro è inoltre il riferimento alla struttura barocca ad arco che fa principiare il concerto con un movimento austero per farlo terminare con un finale scoppiettante e colorito. Proprio in quest’ultimo movimento la Junge Deutsche Philharmonie si è rivelata una formazione coesa e animata da un grande entusiasmo giovanile, fondamentale per rendere giustizia alla frenesia del moto perpetuo iniziale e alla conclusiva trionfale fanfara. Afkham, tra le giovani bacchette più lanciate verso una carriera ai massimi livelli, ha diretto con gesto elegante e sempre puntuale nel mettere in evidenza i molti contrasti del concerto bartokiano. Curiosamente, nonostante gli insistenti applausi, non è stato concesso nemmeno un bis. Foto Brenzoni